Il federalismo del gambero

sordiIn poco più di 10 anni siamo passati dall’infatuazione federalista al ritorno più o meno mascherato di un certo centralismo sotto l’insegna della semplificazione amministrativa. Dall’esaltazione del potere regionale e del decentramento amministrativo alla pseudo soppressione delle province, alla riforma pasticciata del senato, alla spinta anche forzata verso improbabili unificazioni comunali. Tutto questo senza aver avuto il coraggio di fare una vera riforma costituzionale che avrebbe avuto tempi forse un po’ più lunghi ma una maggiore trasparenza e funzionalità. Tutto questo porta la democrazia italiana a soffrire di quello che Francesco Tuccari ha chiamato il disturbo bipolare : da un lato “ruolo debordante di singole personalità e forti pulsioni direttistiche (iperdemocrazie del capo)” e dall’altro la ipodemocrazia “ assoggettata in misura sempre più ampia agli imperativi in qualche modo “oggettivi” dettati di volta in volta dallo spread , dalle agenzie di rating, dalle oscillazioni di Borsa, dalle procedure e i regolamenti di tecnoburocrazie ormai potentissime”.

Ma se già Max Weber, ci ricorda Tuccari, poneva l’accento su una deriva inevitabilmente plebiscitaria delle moderne democrazie ma fondata su robusti partiti politici oggi assistiamo al processo inverso con un rapporto diretto tra leader e masse, come avviene “ con il complesso di fenomeni che la categoria del “populismo”, sia pure in maniera imprecisa, si propone di descrivere e come mostra, del resto, la crescente fortuna del modello del “partito personale”. E’ una deriva preoccupante per la qualità della democrazia che non può essere risolta dalla partecipazione tramite la rete o la “singhiozzante twitter-democracy”.
“Il livello e la qualità delle democrazie e della loro leadership dipendono dal livello e dalla qualità della loro “opinione pubblica” – afferma Tuccari citando Sartori e Lippmann-, non ci si può certo nascondere che ormai da qualche tempo la situazione dei regimi democratici più avanzati è diventata preoccupante”.La dimostrazione di questa deriva viene anche dalla sempre più scarsa partecipazione dei cittadini al voto, nonostante l’interessante novità delle primarie introdotte dal Partito Democratico (che avrebbero bisogno di una regolamentazione più seria). Una disaffezione che non può essere imputabile solo alla cosiddetta “antipolitica” ma anche alla scelta dei sistemi elettorali e ad una riduzione delle occasioni istituzionali di partecipazione alla vita pubblica. Di tutto questo i cittadini sono però anche corresponsabili appoggiando proposte di riforma che con la scusa della governabilità hanno ridotto gli spazi di rappresentatività politica e campagne sui costi della politica che invece di ridurre le spese rischiano di eliminare essenziali strutture intermedie di governo del territorio, “ che sono giunte perfino a proprorre di sopprimere le Regioni, quasi che si potesse ipotizzare di attribuire a nuove burocrazie statali tutto ciò che si è in qualche misura finora dato loro e fosse anche concepibile eliminare la selezione da parte del corpo elettorale dei rappresentanti a livello regionale.”(U.De Siervo)
In pratica si sono riscritte , e si vorrebbe continuare a farlo, le regole democratiche restringendo lo spazio elettivo a disposizione dei cittadini come è già avvenuto con il pasticcio delle Province delle Città metropolitane . Si vuole eliminare la frammentazione politica ma di fatto si vuole limitare la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica in nome di una presunta governabilità ed efficienza della macchina amministrativa. “La sostanza della democrazia è il potere dei cittadini di decidere del proprio destino in modo consapevole e pacifico nel quadro di una “società aperta”, nella quale non si dia una distribuzione delle risorse materiali e culturali tale da impedire a qualsiasi cittadino di patrtecipare alla formazione delle decisioni politiche, come anche accedere ai massimi livelli di potere”(Salvadori).In realtà quello che non ha funzionato nel decentramento amministrativo, che l’Italia ha iniziato a percorrere dall’istituzione delle Regioni e poi dagli anni 90 con le leggi 142 e 241 e infine con la modifica del titolo V della costituzione del 2001, è l’incompletezza delle riforme che hanno da un lato generato conflitti istituzionali tra stato e regioni e dall’altro un’esplosione della spesa pubblica dovuta al trasferimento di competenze fondamentali alle regioni senza un’equivalente riduzione di costi da parte dei ministeri. A questo vanno certo aggiunti scelte di singole amministrazioni regionali e i privilegi delle Regioni a Statuto speciale. Il passaggio di competenze ha visto crescere il numero di dipendenti regionali senza diminuzioni in sede ministeriale dove anzi sono aumentati. Si ricorda spesso che la Sicilia ha 4 volte i dipendenti della Lombardia che è la regione con il maggior numero di abitanti, ma anche il Trentino (tra regione e province ) ha gli stessi dipendenti della Sicilia con un rapporto di 1 ogni 61 abitanti mentre in Toscana il rapporto è di 1 a 1400, in Lombardia 1 a 2500, in Sicilia e Sardegna 1 a 350/400 e in Friuli 1 a 355.

“Il decentramento di parte delle funzioni pubbliche dallo Stato centrale alla Periferia non è riuscito a frenare la spesa pubblica che invece ha continuato a crescere in maniera superiore alle entrate(…) mentre nei paesi federali consolidati come Spagna, Germania e Austria il costo complessivo della macchina pubblica è circa la metà dei paesi unitari, da noi, che siamo ancora a metà del guado, le uscite sono in costante crescita ed hanno spinto all’insù anche le entrate. Il risultato è che abbiamo continuato a spendere sempre di più, sia al Centro sia in Periferia, e per far quadrare i conti siamo costretti a subire un progressivo aumento del prelievo fiscale”(Bortolussi).

Invece di razionalizzare si è preferito percorrere la strada della “semplificazione “ amministrativa, e dei tagli lineari agli enti locali, alla quale gli italiani, complice un’informazione molto superficiale, hanno abboccato alla grande e dalla quale non trarranno nessun vantaggio economico e tanto meno di servizi.

Il pasticcio del nuovo assetto delle province è indicativo della confusione che regna nel nostro paese, della frettolosità con cui si procede nelle riforme senza valutarne le conseguenze e costringendo il legislatore a rincorrere i problemi invece di prevenirli. Le province sono previste nella costituzione e non si possono abolire ed hanno( avevano?) competenzeimportanti per la vita dei cittadini : dall’edilizia scolastica alla viabilità, dai rifiuti alle risorse idriche, dall’agricoltura ai trasporti, dalla formazione all’assetto territoriale. Le province sono una fondamentale istituzione intermedia di raccordo tra comuni e regione , un ambito ottimale di gestione e programmazione di alcuni servizi che ora verrà demandata, dove ci sono, alle città metropolitane dove però l’equilibrio tra centro e periferia non avrà certamente le stesse garanzie che derivavano dall’elezione diretta dei consiglieri nei vari territori. Per risparmiare qualche migliaia di euro dei politici amministratori si sono svuotate di senso queste istituzioni che esistono, con altro nome, anche in altri paesi europei che non si sono fatti prendere dalla fregola semplificatoria ma cercano semplicemente di farle funzionare come dovrebbero. E’ vero che negli anni le province si sono moltiplicate per accontentare localismi assurdi ma per porre rimedio bastava pensare ad un accorpamento che le rendesse comunque compatibili con i loro compiti. In Toscana, per esempio, si era parlato di 5 province, mentre ne sono sorte di assurde in Lombardia , Puglia, Sardegna e anche nella vicina Emilia Romagna.
Perchè invece non si aboliscono le prefetture dove un singolo prefetto costa più di un’intera amministrazione provinciale? Eppure le funzioni di questa istituzioni possono essere tranquillamente svolte da altri enti a partire dalla Regione per finire alle questure.
La Toscana si è adeguata a questo andazzo “semplificatorio” con la riduzione degli Ato di Rifiuti(3) e dell’acqua (1), dei Consorzi di Bonifica (solo 6). Si raggiungerà una maggiore efficienza ed economicità oppure si allontaneranno dai territori i centri di decisione e gestione diminuendo il ruolo di controllo e indirizzo degli enti locali? Si sono trasformate le comunità montane( che erano aggregazioni obbligatorie) in Unioni di comuni ( che non sono obbligatorie) per risparmiare “i costi della politica” rallentando un processo di gestioni associate che era già in corso e che andava semplicemente rafforzato con nuove risorse economiche.

C’è chi per superare questa fase di incertezza propone nel nostro caso la creazione di un comune unico in Mugello continuando sulla strada tracciata da Scarperia e San Piero perchè questo porterebbe risorse economiche aggiuntive, non rispetto del patto di stabilità per alcuni anni e possibilità di mettere in comune personale spesso insufficiente alle esigenze del singolo comune. Si tratta di considerazioni legittime che però hanno alcune controindicazioni di cui tenere conto sia dal punto di vista politico che amministrativo. La Toscana rispetto ad altre regioni italiane ha già un assetto territoriale molto contenuto con comuni che hanno mediamente estensioni molto elevate ( il solo comune di Firenzuola è più grande della provincia di Trieste) ed un’ampia diffusione di unioni e gestioni associate. I comuni non sono un problema burocratico ma l’istituzione democratica che più rappresenta la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. I nostri giornalisti ci invitano spesso a guardare ai grandi paesi europei come Francia e Germania come esempi di buona amministrazione e allora è proprio il caso di dire che la buona amministrazione non è detreminata dal numero di enti ma da come li si amministra. In Francia, che è simile all’Italia per popolazione, ci sono 36.700 comuni, 22 regioni e 96 dipartimenti e così via , in Germania, che è una repubblica federale con 16 Land, i comuni sono 12.320 e poi ci sono i distretti, circondari rurali, etc. Tutto per garantire la massima partecipazione dei cittadini e delle forze politiche alla vita pubblica.
Per venire in Italia la sola provincia di Torino ha 316 comuni ovvero quasi 8 volte quelli presenti in provincia di Firenze con una superficie superiore solo del 40% (6827 kmq rispetto ai 3513 di Firenze). Trento ne ha 216, Bolzano 116, Cuneo 250 , Bergamo 242, andando nel sud Cosenza 155, Salerno 158. Si tratta di comuni spesso sotto i 1000 abitanti con territori di pochi kmq per i quali una riflessione potrebbe essere fatta senza timori di intaccare campanilismi o partecipazione democratica.

Ho giudicato positivamente la costituzione del comune unico tra San Piero e Scarperia per motivi oggettivi dovuta alla collaborazione già esistente fra le due amministrazioni in campo urbanistico, nei trasporti, nella pubblica istruzione, nella gestione delle aree produttive e perchè di fatto rafforzava il ruolo dell’Unione dei comuni aumentando il peso di questo nuovo comune che è diventato il secondo per numero di abitanti mantendo così anche un’adeguata rappresentatività democratica delle sue istituzioni a partire dal consiglio comunale che sarebbe invece stato in parte ridimensionato dalle nuove normative senza questa unificazione.

Discorso diverso per il Mugello che si configurerebbe come una provincia vista l’estensione territoriale di quasi 1132 kmq (più grande di Pistoia e altre province toscane) e con una popolazione di 64.000 abinati avrebbe invece un consiglio di soli 24 rappresentanti che non garantirebbe una necessaria rappresentatività territoriale e anche politica a tutto svataggio dei piccoli centri e delle formazioni politiche minori e delle liste civiche.

Leonardo Romagnoli

2.1.15

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