Per una nuova convivialità di Andrea Banchi

Alla XXX edizione della Summer School on Religion, il Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo/CISRECO di San Gimignano, ha voluto dare una particolare enfasi con un tema che vuole sollecitare non solo il pensiero e la riflessione sui temi che attanagliano la nostra epoca (la guerra e il cambiamento climatico fra tutti) ma suscitare una reazione attiva in ognuno di noi affinché tali ingenti problemi vengano affrontati per trovare una giusta e salutare soluzione.

Riorientare la nostra civiltà o il nulla. Nell’era dell’antropocene e di continue guerre: le religioni, le scienze, le arti ci salveranno dall’estinzione?

Questo, appunto, il tema fortemente voluto da Arnaldo Nesti, Direttore della Summer School e del CISRECO. Su questo tema sono stati chiamati a discuterne filosofi, sociologi, giornalisti, economisti, letterati, cattedratici ecc.
La XXX edizione della Summer School, alla luce anche dei forti temi affrontati, è particolarmente dedicata alla memoria di Simon Weil nell’ottantesimo anniversario della morte (24 agosto 1943) e al centenario della nascita di don Lorenzo Milani (27 maggio 1923).

Tra i relatori della quattro giorni  troviamo anche Andrea Banchi ex funzionario del comune di Borgo san Lorenzo che già nelle edizioni passate ha portato il suo contributo di approfondimento. Il tema di quest’ anno è particolarmente interessante ed è dedicato alla nuova convivialità. Una lettura che richiede un po’ di tempo ma sicuramente stimolante.

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XXX Summer School on Religion

San Gimignano 23-26 agosto 2023

Per una nuova convivialità

Premessa

Alcuni cenni sul titolo. Convivialità riconduce al convivium (in latino “banchetto”, derivato di convivere, “vivere cum”, “vivere insieme”), al conviviale, che è diverso dalla convivenza. Sul piano etimologico convivialità fa riferimento, più che al “vivere insieme”, alle vivande che servono a vivere, al pane quotidiano. Si evoca così il cibo, la tavola imbandita, la festa. E’ dunque sinonimo di commensalità, in cui si realizza la condivisione dei beni, con il riconoscimento della destinazione universale dei frutti della terra nell’equità e nella giustizia.

Chiamo conviviale”, afferma Ivan Illich, “una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di utilizzare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni”1.

Secondo il poliedrico pensatore austriaco, la società conviviale è retta dai valori fondamentali della sopravvivenza garantita per tutti, della giustizia distributiva, della partecipazione generalizzata, del lavoro autonomo e creativo e del libero accesso agli strumenti e ai beni della comunità.

Ho steso questa relazione come un itinerario tra personaggi e pensieri, come un puzzle, le cui tessere sono tratte da storie, persone, situazioni, luoghi diversi. Se fin dall’inizio ho avuto chiaro l’epilogo, il viaggio si è invece sdipanato secondo vicende anche casuali. Mi è parso di tornare indietro nel tempo, quando ero bibliotecario, e mi trovavo a volte, la sera, stanco, a pensare quali misteriosi legami scaturissero tra libri, pagine, documenti che avevo avuto tra le mani su richiesta dei lettori.

La fase drammatica che stiamo vivendo

La chiamata a questo nostro ritrovo annuale è espressa con accenti drammatici: ci sovrasta una doppia crisi, quella ambientale e quella della guerra (la terza guerra mondiale a pezzi … ). Questi problemi si palesano insieme, si alimentano, s’intrecciano. Manifestano fenomeni nuovi: le policrisi. Le migrazioni climatiche scatenano risposte difensive cruente; i combattimenti in Ucraina mettono a rischio i raccolti di cereali e la loro esportazione; ospedali, centrali nucleari, residenze, infrastrutture divengono obiettivi militari; si provocano alluvioni delle città e dei campi con l’abbattimento di una diga per causare una palude che ostacoli il nemico …

Inutile dilungarsi a descrivere la situazione che viene esaminata con acume e competenza da altre relazioni. E’ evidente però che il protrarsi di una sostanziale indifferenza di fronte a questi problemi ci porterà inevitabilmente verso l’autodistruzione e l’estinzione della specie umana.

Cosa può contrastare l’autodistruzione ?

  1. non arrendersi, anzi lottare per vedere oltre gli ostacoli presenti, e sognare un futuro migliore;

  2. essere consapevoli che siamo su un’unica barca, cioè mettersi insieme, ragionare come popolo che vive sulla stessa terra, acquisire in termini culturali la globalizzazione, che nasce per facilitare l’economia capitalistica di mercato, ma è anche una inevitabile realtà di fronte ai problemi che colpiscono l’intero pianeta;

  3. mettere al centro non la razionalità ma la fiducia nel futuro, la voglia di vivere.

Tratterò dunque le tre questioni: i primi due argomenti mi sembrano chiari e forse non richiedono un grande approfondimento, punterò invece di più l’attenzione sul terzo.

1) Alzare lo sguardo per sognare il futuro

Papa Francesco invita a riprendere a pensare in grande, a sognare, a progettare ipotesi che sembrerebbero senza esito, ma che sono forse in grado di superare di slancio i cauti passi del realismo. Lo fa con un libro del 2020, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore2, frutto d’una conversazione col giornalista inglese Austen Ivereigh.

Ho dunque continuato questa ricerca sul sogno di un futuro migliore con i suggerimenti di Vittorio Lingiardi, tratti dal suo appassionato volumetto L’ombelico del sogno3, uscito pochi mesi fa.

Gli antichi guardavano ai sogni in funzione del domani, come profezie o come premonizioni. Ogni corte aveva il suo oniromante, visto che i sogni avevano origine divina. Nel Novecento anche Freud, il padre della psicoanalisi, era convinto che custodissero un messaggio, inviato però dall’inconscio, che rivela il passato nel presente. Tutti sono interessati al sogno, dai cultori della Smorfia (nome che deriva da Morfeo) che si giocano i numeri al Lotto, agli scienziati che studiano i circuiti neurali, agli scettici che li considerano una superstizione, una materia per astrologi e cartomanti.

Per lo psicoanalista inglese Wilfred Bion il sogno è un elemento strutturante della vita mentale, dello sviluppo della personalità e della formazione del pensiero. Afferma che senza fantasia e senza sogni non si hanno gli strumenti per pensare e per risolvere i problemi. La sua intuizione più famosa è che sognare non è un’attività confinata nello stato di sonno, ma un processo attivo anche nello stato di veglia, attraverso il quale si può trasformare e dare significato ad elementi grezzi, impressioni sensoriali ed emotive, facendoli divenire componenti mentali capaci di simbolizzare e rappresentare la realtà.

Questo ruminare perpetuo della mente ci suggerisce che possiamo accantonare nel sogno ogni irrazionalità sconclusionata per valorizzare invece il racconto simbolico ed utopico. E’ possibile allora un pensiero forte, senza le limitazioni di processi logici causa/effetto, con la capacità di guardare le cose da più punti di vista e in diversi momenti temporali. Attraverso questa comprensione, che possiamo chiamare “panoramica”, riusciamo ad arricchire il sogno perché abbia forza corale, di popolo, e una vitale e straordinaria potenza.

In Sette notti, una raccolta di conferenze tenute a Buenos Aires nel 1977, Borges ci insegna che i sogni “ci domandano qualcosa e noi non sappiamo rispondere; ci danno la risposta e rimaniamo attoniti4.

Non è dunque così facile utilizzare le potenzialità del sogno e la sua capacità di vedere oltre …

2) Siamo tutti sulla stessa barca

Sempre papa Francesco ci conduce a riflettere “… avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, […] e che nessuno può salvarsi da solo5

Ma è solo un problema legato all’incapacità di riuscire a superare l’individualismo o la visione di parte ciò che ci impedisce di trovare soluzioni efficaci?

3) Mettere al centro la fiducia nel futuro e la voglia di vivere

Vito Mancuso, in un recente articolo in occasione della Pasqua6, si chiede cosa sta morendo dentro di noi e che ci rende incapaci di opporci alla deriva di cui siamo testimoni. Si può credere o no alla risurrezione di Cristo, ma il simbolo che essa rappresenta va al di là della fede teologica perché rimanda alla speranza e alla visione positiva del processo vitale. Afferma dunque Mancuso che dentro di noi sta agonizzando la nostra specificità di esseri umani, che egli individua nella interiorità. La si chiami anima o in altri modi poco importa, essa è la nostra più preziosa ricchezza. Se soffriamo dunque di sfiducia in noi stessi l’unico modo per affrontare e risolvere la crisi è riacquisire fiducia.

Di fronte all’obiezione che questo non è un atteggiamento razionale dobbiamo riconoscere che tutte le cose davvero importanti dell’esistenza non sono razionali. Vale per l’amore, la passione, l’entusiasmo. Irrazionale non vuol dire falso, perché la verità non coincide con la ragione. La verità è più della ragione: è forza, energia, impeto, impegno.

Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese vittima dell’Olocausto, scriveva il 3 luglio 1943 dal lager di Westerbork: “La miseria che c’è qui è veramente terribile, eppure, la sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è cosı̀, è di una forza elementare –, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un frammento di amore e di bontà che bisognerà conquistare in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere.” […] “Perciò vi raccomando: rimanete al vostro posto di guardia, se ne avete già uno dentro di voi7.

L’esperienza di resilienza mistica di Etty è un insegnamento che può sgomentarci. Ho cercato dunque esempi e personaggi diversi, tra i piccoli della vita e del mondo, senza sapienza e studi, che possano convincerci che questo profondo anelito di vita incomprimibile presente in ognuno di noi può divenire invincibile.

Si è imposta subito con evidenza la cd. favola della giungla: i quattro bambini colombiani sopravvissuti nella giungla amazzonica per 40 giorni e ritrovati l’11 giugno scorso. Lesly di 13 anni, Soleini di 9, Tien Noriel di 4, Christian di 1 anno (compiuto il 26 maggio), tre femmine e un maschio (Tien), sono sopravvissuti allo schianto del piccolo Cessna in cui è morto il pilota, un leader indigeno e la loro mamma. Stavano viaggiando per raggiungere il padre, fuggito dal suo paesino in seguito alle minacce dei narcoterroristi. Il 1 ^ maggio l’incidente nel cuore della foresta. Si mobilitano militari e indios per trovare i superstiti, ma solo il 18 maggio si rinvengono i resti dell’aereo: i tre adulti sono morti e i bambini non ci sono! Iniziano dunque i tentativi di salvarli in una selva fittissima, con frequenti piogge, con scorpioni, zanzare, serpenti, ragni. Il colonnello Sanchez è convinto di poterli salvare e si fa aiutare da alcuni indios. Vengono ritrovate tracce dei bambini: pannolini, un biberon, delle scarpe da tennis, un fiocco per i capelli. Poi, dopo tanti tentativi, finalmente la radio colombiana dà l’avviso tanto atteso: miracolo, miracolo, miracolo, miracolo!

I giornali del mondo raccontano incuriositi la vicenda. Anche in Italia vengono interpellati gli esperti per conoscere i pericoli che i bambini hanno superato. Lo scrittore Di Paolo8 parla di rivincita dell’istinto, ma subito si capisce il ruolo fondamentale di Lesly. E’ la ragazzina che si è caricata di unire il gruppo dei fratelli, di occuparsi dei due piccoli, di spronare e far coraggio. Sono indigeni Uitoto, dell’etnia Muinanes, tribù che vive sul fiume Cahuinari, nel sud ovest della Colombia, e sono stati abituati dalla nonna a conoscere la giungla. Su Robinson, alcuni giorni dopo Gabriele Romagnoli9, ricorda gli illustri precedenti letterari (da Robinson Crusoe, a Il signore delle mosche, a Una nuova storia non cinica dell’umanità di Rutger Bregman), e trae alcune conclusioni:

  • non sono bambini occidentali,

  • hanno quotidiani contatti con la natura,

  • vivono in condizioni disagiate,

  • conoscono la fatica,

  • sono abituati ad affrontare l’imprevisto,

  • hanno senso di responsabilità,

  • il fine è la salvezza comune.

Tra le poche frasi che hanno detto i ragazzini, smunti e disidratati, è che sono stati salvati dagli alberi, ma anche dagli spiriti che animano il mondo della foresta amazzonica.

Parole che mi hanno riportato alla mente l’intervista che il salesiano Giuseppe Zanardini, autore di “Dio parla nella selva10, ha rilasciato sulla sua trasformazione religiosa a contatto con gli indios del Paraguay. In essa riporta una dichiarazione di Miri Poty, un indigeno guaranì, eccone uno stralcio: È importante conoscere noi stessi, conoscere il nostro percorso e il percorso degli altri per essere, stare e sentire nel mondo. L’unico modo per reindirizzare il cammino è a partire dalla forza del cuore e per questo bisogna tenere sempre acceso il fuoco nel cuore; non dobbiamo mai lasciare che si spenga. Abbiamo la grande responsabilità di essere custodi del fuoco del cuore perché sia sempre acceso. Il fuoco del cuore fa rivivere la parola, perché solo così possiamo incontrarci con gli altri e, soprattutto, reincontrarci con noi stessi. La parola che dà vita al cuore ci permetterà di parlare con amore e rispetto con lo spirito della terra, della natura e del cosmo”11.

Ci avviamo al termine. Nei ragionamenti finora svolti spero che abbiate condiviso qualche provvisoria conclusione.

– Dobbiamo pensare in grande, senza abbatterci, sognare un futuro che risponda alla nostra passione di vita, usando tutte le nostre profonde energie per individuarlo.

– Capire che stiamo decidendo un destino comune, non il mio o il nostro, ma quello di ognuno e di tutti.

Allora con quali strumenti farsi guidare nel cammino, quale potrebbe essere la nostra bussola? E cosa lasciarsi dietro, quali fardelli inutili dobbiamo abbandonare?

Quale uomo può costruire il futuro?

A questo punto riprendo alcune profonde intuizioni di Ernesto Balducci, espresse negli ultimi anni della sua vita, attraverso numerosi articoli poi raccolti soprattutto in due libri “L’uomo planetario” e “La terra del tramonto12. Sono passati oltre trent’anni, ma questi stimoli espressi con grande lucidità e trascinante capacità oratoria, restano profondamente attuali. Il grande intellettuale e l’autentico uomo del popolo amiatino anticipò molti dei temi culturali, politici, religiosi che da allora si sono affacciati ad interrogarci. Qui vorrei illustrarvi due idee forza, per tanti aspetti interconnesse.

La prima riguarda l’uomo planetario, cioè l’uomo che sta nascendo.

Nel nuovo clima di fragilità della terra e dell’uomo, Balducci rifletteva sul significato delle appartenenze e sul contributo delle religioni alla creazione di un uomo che abbracciasse in sé i valori del pianeta intero, un uomo “planetario” appunto. La bomba atomica, secondo Balducci, ha fatto imprimere alla storia una svolta epocale, l’evoluzione trova qui un punto di non ritorno. Non è infatti più possibile che l’uomo faccia la guerra, pena la totale distruzione, dunque è costretto a scegliere la pace, non può fare altro … (abbiamo visto che purtroppo non è così, ma non è questo che ora ci interessa … )

La planetarizzazione significa che, una volta che la specie umana è arrivata a percepirsi come un tutt’uno, la responsabilità di ognuno riguarda l’intero pianeta. Ogni qualifica identitaria porta alla divisione degli esseri umani e per Balducci è da rigettare, per questo anch’egli non vuole qualificarsi come cristiano. L’approccio per lui è ormai del tutto laico, benché mai dubiti della sua fede in Gesù che proprio in questo nuovo contesto vede esaltata senza pesantezze storiche e istituzionali.

Quella che io propongo non è la distruzione delle identità tradizionali, è l’opzione per un’identità nuova in cui potenzialmente si ritrovino tutte le identità elaborate dal genere umano nel suo lungo cammino. Ha poco senso, per me, il trapasso da un’identità all’altra di quelle che formano il volto policromo dell’umanità attuale […] l’uomo vero a cui dobbiamo ormai convertirci non sta lungo il perimetro delle culture esistenti, sta più in alto, ci trascende, con un trascendimento che è già inscritto nelle possibilità storiche, anzi già prende forma, qua o là”13.

Nasce un altro modo di vivere, una cultura della pace basata su due pilastri: la politica e l’ecologia. Oltre alla pace tra gli esseri umani vi sarebbe stata pace con il pianeta. Balducci fu tra i primi a cogliere non solo l’urgenza, ma anche il valore spirituale dell’ecologia, divenuta questione centrale.

Termina il suo libro con questa affermazione forte: “Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo14.

C’è un’altra intuizione balducciana che merita un ricordo attento, fu espressa l’anno precedente alla sua morte. La crisi contemporanea, che padre Ernesto attribuiva alla scissione della ragione dall’amore, dalla creatività, dalla passione per l’uomo, lo portava a riflettere sull’ambiguità della cultura occidentale. Vi identificava due poli, uno della razionalità sotto il segno del senex (il vecchio), uno della spontaneità, dell’immediatezza, della diversità sotto quello del puer (il giovane). Finora la logica della ragione, intimamente congeniale alla distruzione e alla morte, fino all’estremo della bomba atomica, ha trionfato riuscendo a ricondurre all’ordine, alle regole, alla normalizzazione ogni rivolta contro la disciplina espressa dalle novità che il puer conduce. La paura del caos e l’angoscia di un salto senza garanzie ha sempre confermato il senex. Questa doppia polarità dovrebbe essere coniugata, ma ormai le condizioni antropologiche richiedono che l’equilibrio perduto si ricerchi con uno slancio in avanti, non c’è passato da rimpiangere, il paradiso perduto non è alle nostre spalle, è la proiezione di ciò che potremmo saper costruire.

Allora per giungere alla ricomposizione delle frantumazioni della storia Balducci utilizza categorie individuate dallo storico Ernest Bloch. Indica un uomo edito, cioè un uomo che si è espresso così com’è stato prodotto dalla cultura, ma che traduce solo in parte le potenzialità latenti dentro di sé. E poi illustra che “c’è in noi un cumulo di possibilità inattuate, un nocciolo che contiene in sè infinite virtualità che non hanno trovato ancora la primavera adatta alla loro germinazione. Questo cumulo di possibilità è l’uomo nascosto. […] Non siamo uomini se non abbiamo l’esigenza di oltrepassarci. […] La verità dell’uomo non è una identità data, è nelle sue possibilità ancora inesprimibili15.

L’uomo planetario, l’uomo inedito, quello ancora nascosto, sono le speranze che il padre scolopio ci regala nella sua riflessione. Se con Ivan Illich avevamo sentito l’afflato che la convivialità evocava nella costruzione di una umanità rinnovata, il dono di queste ulteriori idee ci porta al termine del nostro breve viaggio.

Con Balducci possiamo allora concludere: “Una cosa è certa: qualsiasi soluzione data ai nuovi problemi che non si collochi nella prospettiva della comunità mondiale è effimera e spesso perniciosa. L’impossibilità di prefigurare le forme concrete della comunità mondiale non è ragione sufficiente per lasciarsi invadere dal dubbio. La lezione che ci viene dalla storia della specie è che, messa di fronte ai dilemmi estremi, – e ormai il dilemma è tra la vita e la morte – essa è in grado di rivelare insospettate risorse creative. La novità è affidata alle viscere della necessità.16.

Andrea Banchi

1 I. Illich, La convivialità, Milano, Mondadori, 1974, p. 14.

2 Cfr. Papa Francesco, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, Milano, Piemme, 2020.

3 Cfr. V. Lingiardi, L’ombelico del sogno,Torino, Einaudi, 2023.

4J.L. Borges, Sette notti, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 41.

5 Papa Francesco, Messaggio per la 56^ giornata mondiale della pace. 1^ gennaio 2023, Roma, Libreria Editrice Vaticana, paragr. 3.

6 Cfr. V. Mancuso, “Alla ricerca della Risurrezione” in La Stampa, 8 aprile 2023.

7 E. Hillesum, Lettere 1942-1943, Milano, Adelphi, 1990, p. 87.

8 Cfr. P. Di paolo, “La rivincita dell’istinto“ in La Repubblica, 11 giugno 2023

9 Vedi G. Romagnoli, “Robinson salvato dai bambini Venerdì“ in Robinson, suppl. de La Repubblica, 17 giugno 2023.

10Vedi G. Zanardini, Dio parla nella selva, S. Pietro in Cariano (VR), Gabrielli, 2021.

11 Vedi Adista Segni Nuovi, n°11 del 25 marzo 2023, p. 8.

12 Dei due volumi esistono varie edizioni. Quelle che ho usato sono: E. Balducci, L’uomo planetario, S. Domenico di Fiesole (FI), Ed. Cultura della pace, 1990 e E. Balducci, La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Giunti, Milano-Firenze, 2005.

13E. Balducci, L’uomo planetario, op. cit. p. 172

14 Op. cit. p. 178.

15 E. Balducci, “La transizione: homo duplex” in Testimonianze, bimestrale, Firenze, n. 312, 1989, p. 20.

16E. Balducci, La terra del tramonto, op. cit., p. 212.

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