Giovedi 24 aprile è prevista la presentazione del libro della Baldanzi a Barberino. Ripropongo la recensione pubblicata al momento dell’uscita del volume alla fine di marzo.(lr)
Da pochi giorni è uscito il nuovo libro di Simona Baldanzi che si intitola “il Mugello è una trapunta di terra, a piedi da Barbiana a Monte Sole” e fa parte della collana “contromano “ dell’editore Laterza. Una collana molto interessante in cui alcuni scrittori raccontano in modo molto originale i loro luoghi del cuore, tra quelli che ho letto vi consiglio “Sul lungomai di Livorno” di Simone Lenzi dei Virginiana Miller o il divertentissimo “Romagna” di Cristiano Cavina , è invece di qualche anno fa il volume su Firenze di Elena Stancanelli. Nel caso della scrittrice barberinese il racconto è diviso in due parti che sembrano non collegate tra loro : il viaggio a piedi da Barbiana a Monte Sole e la storia della Emmelunga di Barberino vissuta attraverso le testimonianze di alcuni ex dipendenti.
La camminata da Barbiana a Monte Sole unisce due luoghi simbolo dell’appennino e due sacerdoti che con la loro opera hanno segnato profondamente la storia del secondo dopoguerra , cioè Don Milani e Don Dossetti. Don Milani per il riscatto delle classi subalterne attraverso la cultura e l’insegnamento in una scuola , quella di Barbiana, che durava 365 giorni all’anno. Don Dossetti come protagonista della Resistenza e soprattutto della fase costituente che porterà all’approvazione della Costituzione della repubblica Italiana. Ambedue sepolti nella massima semplicità, “senza foto e senza orpelli”, uno a Barbiana e l’altro a Casaglia(Monte Sole).
“A Barbiana tutto era scuola : le strade, i prati,gli oggetti, anche Don Milani, la sua stessa vita. Fece lezione persino sulla sua malattia, sulla morte(…) Spiegò ai ragazzi il suo male nei minimi particolari. La morte diventava una semplice cosa naturale. I ragazzi non piansero, non sentirono l’atrocità o la paura”(p.35”) e ancora oggi questo insegnamento resta vivo in tutti coloro che passano da questa sperduta chiesa di campagna dove Don Lorenzo era stato “esiliato” dalla Curia fiorentina e che lui aveva accettato con rispetto e abnegazione. Ed è durante questa camminata che Simona racconta ai suoi compagni di viaggio del lavoro che sta realizzando sull’ Emmelunga e che si alterna nel libro al racconto dei luoghi ricchi di storia che la comitiva attraversa. La storia della Emmelenga diventa così il paradigma di una certa evoluzione dell’industrializzazione in un territorio come il Mugello ma più in generale del nostro paese fino all’implosione determinata dall’insipienza, dalla rincorsa la massimo profitto e, perchè no, dalla globalizzazione. Da un’azienda a conduzione familiare che vive un rapporto di forte condivisione con i dipendenti ad un’impresa tentacolare senza nessun legame con il territorio di nascita che perde man mano le sue caratteristiche di originalità e genialità (la descrizione delle prime campagne pubblicitarie sulle televisioni locali è veramente illuminante). Fino alla vendita ad una banda di furfanti che la porteranno al fallimento lasciando tanti dipendenti sulla strada e tanti acquirenti senza mobili. Lo sguardo della Baldanzi è pieno di complicità verso coloro che hanno lavorato e fatto la storia di questa azienda e se nella “Vestaglia blu” era la madre che faceva da tramite tra la famiglia e il mondo del lavoro barberinese della Rifle, in questo caso è il padre che guida Simona dal mobilificio ai sentieri dell’appennino. Ci sono momenti veramente divertenti che rendono perfettamente il clima amichevole che si viveva nei primi anni dell’azienda ( tanto amichevole che non c’era bisogno neppure del sindacato) e dalle testimonianze emerge chiaramente che la situazione si degrada man mano che le succursali aumentano in tutta Italia fino alla vendita che si conclude nel luglio del 2010. “il vecchio(vincenzo) non l’avrebbe mai fatto. Forse si sarebbe pure ribellato alla scelta del figlio” dice uno dei testimoni, ma non credo che sia vero. La vendita era diventata inevitabile tanto che “il vecchio” pur di non abbandonare la sua “passione” per i mobili era tornato all’inizio della storia aprendo la New Stile Idealform in viale Gramsci a Barberino nei primi mesi del 2010.
Ma il cammino è anche un modo per riflettere sul Mugello e la sua evoluzione, come lo sviluppo economico abbia cambiato questo territorio , “un patchwork scomposto fatto di grandi opere, autodromo,centrale idroelettrica,palazzine, Tav, capannoni, outlet, Mc donald’s, autostrada , variante di valico, agriturismi, centri commerciali, un grande invaso. Il mugello – scrive la Baldanzi- ha accettato di tutto e come un camaleonte ha vestito ogni ruolo, si è adoperato in ogni mestiere, ha messo in gioco ogni identità”(p.46) e ancora “ una terra cantiere che si trasforma per rimanere sempre come è, che si fa ferire senza un lamento e poi sa così bene nascondere le cicatrici vestendosi a festa” (p.82). Un giudizio duro frutto di un grande affetto ma non sempre vero, che dimentica il dibattito durissimo che dalla fine degli anni 70 ha accompagnato proprio le opere che le lei cita a partire dall’autodromo per non dire di Bilancino. C’era già chi nella seconda metà degli anni 70 parlava di consumo del territorio, di sostenibilità, di grandi opere. Così come le vicende Tav non sono iniziate nel 1996 dopo la firma dell’accordo romano ma nel 1992 con una battaglia durata quattro anni che aveva portato ad una revisione del progetto e persino a un emendamento alla finanziaria del 95 che avrebbe comportato una revisione complessiva dell’impostazione Tav nazionale se solo fosse stato fatto rispettare.
Nel 1996 ormai la guerra era persa, tutto quello che è successo dopo era stato già in parte evidenziato nelle osservazioni e nei documenti elaborati nel corso di quegli anni ma non avrebbe inciso né sulla realizzazione del progetto né sulla filosofia dell’AV proposta nel nostro paese.
“Le nostre montagne sono fatte di terra, d’acqua, di fori per far passare treni e autostrade e di morti” è una delle tante frasi lapidarie che costellano questo racconto che porta il lettore a conoscere la storia di Emmelunga, quando il lavoro era un’altra cosa, quando la dignità veniva prima del denaro ma anche quando è iniziato il grande cambiamento e “orde di mezzadri hanno lasciato le campagne del Mugello per poi finire a lavorare in capannoni nei paesi o nella periferia della città”(p.62).
Quando il viaggio finisce e l’autrice si appresta tornare a casa con il babbo arriva il messaggio finale che riguarda la nostra terra ma anche il nostro lavoro e che si può solo condividere :
“Dovremmo tornare ad abitare davvero l’Italia, ad averne cura come se fosse sempre casa nostra, dalle pianure alle montagne, dalle coste alle rive dei fiumi, dalle piazze alle strade, dalle salite alle discese, dalle grandi città ai minuscoli paesi. Ogni angolo, ogni minimo pezzettino oltre le nostre case, oltre i nostri muri. Oltre i nostri giardini, averne cura più dei nostri mobili e delle nostre stanze ricolme”. Ritrovare il nostro senso di comunità.
Leonardo Romagnoli
24.3.14
SIMONA BALDANZI “il Mugello è una trapunta di terra – a piedi da Barbiana a Monte Sole. ed. Laterza p.150 12 euro