Gisberto Ferretti e la pellagra in Mugello

Gisberto Ferretti e la pellagra in Mugello

Il dibattito sulle cause

Il dott. Gisberto Ferretti durante la sua attività di medico e direttore sanitario si è occupato diffusamente della Pellagra riportando dati molto interessanti sulla diffusione di questa malattia tra i contadini e braccianti ovvero la parte più povera della popolazione. Il Ferretti pubblicherà anche un volume dedicato espressamente alla Pellagra dove analizzerà il diffondersi del male e indicherà alcune possibili soluzioni. Il dibattito intorno alla diffusione della pellagra nella campagne del nord e centro Italia fu piuttosto acceso nella seconda metà del XIX secolo con due schieramenti contrapposti che facevano riferimento da un lato a Cesare Lombroso e dall’altro ad alcuni medici come Achille Sacchi o il Bonfigli.

Il padre della “fisiognomica” individuava la causa del male nel formarsi di muffe sul mais mal conservato mentre molti medici consideravano la pellagra una conseguenza di una cattiva alimentazione che aveva nel mais il quasi unico fondamento.

Tutti concordavano con il fatto che il mais fosse una causa del manifestarsi della pellagra anche perchè una simile patologia non era stata registrata in Italia prima della diffusione della coltivazione del granturco avvenuta tra fine 700 e inizio 800.

Quando i proprietari terrieri avvertono la possibilità che le poche spighe di mais già da decenni coltivate dai contadini negli orti possono aprire nel ciclo produttivo poderale nuove opportunità, il granturco entra di prepotenza, a partire dagli inizi dell’800, nella normale rotazione agraria e nella ripartizione dei prodotti prevista dai contratti colonici mezzadrili (M. Landi – Giotto 5 , 195).

Per avere certezze sull’eziologia della pellagra bisognerà attendere il 1914  con le analisi di Goldberg in America e gli studi del dott. Funk all’istituto Pasteur di Parigi dove dimostrarono che la pellagra era dovuta a carenze vitaminiche causate nell’organismo da un’alimentazione di solo granturco.(idem)

I due filoni di pensiero che allora di confrontavano anche vivacemente erano definiti uno “carenzialista” e l’altro “tossicozeista”, nel primo caso la causa della pellagra era dovuta alla mancanza di sostanze indispensabili all’organismo umano conseguenza di un’alimentazione di sola polenta, mentre nel secondo caso il male era causato da sostanze tossiche contenute nel mais mal coltivato e mal conservato.

Come ha notato giustamente Marcello Landi le conseguenze delle due ipotesi non erano “neutre”:

Nella prima teoria era implicito che i rimedi stavano essenzialmente nei miglioramenti dell’alimentazione dei poveri, con tutto quel che a ciò stava a monte : contratti colonici più favorevoli ai contadini, migliori salari, meno disoccupazione ecc. Nella seconda era implicita quasi una colpa degli ammalati, in quanto avevano “scelto” di mangiare granturco guasto, o non avevano saputo ben coltivarlo e conservarlo, o non avevano seguito raccomandatissime istruzioni per la torrefazione ( in forno per uccidere le muffe “tossiche”) e per una buona cottura “(M. Landi – la pellagra in Mugello alla fine dell’800).

Il prestigio, immeritato, di Lombroso fece prevalere la tesi “tossicozeista” ritardando l’attuazione di interventi che avrebbero potuto limitare la diffusione del “ mal della rosa”.(1)

Anche Gisberto Ferretti era convinto che la pellagra fosse dovuta “ esclusivamente all’uso alimentare , anche temporaneo, del granturco AMMORBATO”, ma grazie alla sua lunga esperienza clinica non manca di sottolineare come un’alimentazione variata, e con l’apporto di carne, comportasse un miglioramento delle condizioni di salute dei malati e anche la loro guarigione.(2)

Inoltre il Ferretti ricorda che secondo recenti analisi chimiche “ lo zea mais difetta di glutine , che , oltre all’ essere l’unica sostanza atta alla panificazione, è pure la meglio acconcia a riparare le perdite ingenti dell’umano organismo”, di suo quindi già insufficiente ad una normale alimentazione , “diviene quasi manchevole di proprietà nutritive per effetto del verderame, parassita che invade il granturco anche ben custodito e , che , lasciando intatta la parte corticale del seme , vive nella sua farina”.

D’altra parte sempre il Ferretti ricorda che , ad esempio, i mendicanti non erano colpiti dalla pellagra pur essendo poverissimi perchè si alimentavano con ciò che trovavano e comunque in modo vario.(3)

La permanenza del Ferretti in Mugello è stata determinante per i suoi studi essendo questa la zona della Toscana dove la pellagra era più diffusa (insieme a parte della lucchesia).

La diffusione della pellagra in Mugello

Forse i primi casi apparsi in Toscana dovean essere riconosciuti nell’Arcispedale di Firenze come provenienti dal Mugello nel 1818, cioè dopo che il granturco era qui divenuto uno dei nostri principalissimi prodotti”(G.Ferretti – relazione statistica sull’ospedale del Mugello, 1877).

Negli anni presi in esame dal Ferretti dal 1872 al 1876 i pellagrosi rappresentano 1/3 dei ricoverati presso l’ospedale di Luco di Mugello e “ se vorremo osservare solamente agli infermi di Malattie Costituzionali , vedremo, certo non senza meraviglia , i medesimi pellagrosi entravi per ben sessanta su cento”. Insomma la Pellagra è la malattia dominante in Mugello ed è una patologia che colpisce le famiglie dei contadini e braccianti più poveri, “ la malattia di chi, per la miseria, era costretto a nutrirsi per lunghi periodi soltanto di polenta.”(Landi)

Per braccianti e contadini non era possibile “un regime alimentare alternativo rispetto a quello basato sul monofagismo maidico , causa scatenante l’enorme diffusione della malattia, per cui quello con la pellagra era per loro un abbraccio inevitabile”(Saverio Luzzi – ambiente e salute).

Era facile ammalarsi della cosiddetta “malattia delle tre D” (dermatite, diarrea , delirio) , “malattia contadina, della fame e delle condizioni di lavoro e di vita “(Prosperi).(4)

Per il Ferretti la pellagra era causa anche di altre patologie come quelle del cuore: “dal canto nostro siamo fortemente tentati a credere che taluni almeno di que’ vizi valvolari di cuore che , fra noi, riscontrasi in individui che già furono lungamente o sono affetti da pellagra, debbansi probabilmente ad una speciale endocardite cui potrebbesi dare il nome di pellagrosa”(Ferretti)

Per il Ferretti la diffusione della malattia procedeva per tre stadi ognuno dei quali suddiviso in due periodi (nel primo ) e due forme (nel secondo e terzo).

Nel primo sia ha la manifestazione e la conferma della malattia, nel secondo un deperimento generale dell’organismo (cachessia) e poi infine disordini del sistema nervoso fino alla follia.
Al terzo stadio si verifica la cachessia pellagrosa con alterazione organiche e intestinali e “ manifesta diviene la deficienza di azione nerveo-muscolare e vascolare, rappresentata dalla totale prostrazione, dall’annientamento delle forze vitali, e da un’emaciazione giunta al più completo marasmo”(Topografia – Ferretti). Nella seconda forma del terzo stadio il Ferretti parla di “pellagra senza pellagra” dove diminuiscono le diarree e solamente “il loro sistema nervoso rimane fortemente impressionato, la loro intelligenza si fa tarda e la motilità molto imperfetta”.(idem)

Secondo la sua esperienza medica bastano due o tre anni “per portare un individuo dalla pellagra iniziata alla cachessia pellagrosa e alla morte, pur avendosi remittenza di presso che tutti i fenomeni del morbo nella stagione invernale”.

Nonostante l’adesione del Ferretti al filone lombrosiano sulle cause della pellagra come abbiamo visto il direttore dell’ospedale di Luco era perfettamente cosciente che una migliore alimentazione era la cura più efficace per coloro che ne erano affetti. Questo lo spingeva oltre le sue competenze mediche a invitare pubbliche autorità e proprietari terrieri a rivedere contratti e salari di contadini e braccianti.

Noi crediamo che se dagli interessati al pubblico bene si riflettesse almeno al danno immenso che risente l’agricoltura dalla mancanza di così gran numero di lavoratori , precisamente nella stagione in cui l’opera loro è più che mai necessaria e proficua, ed allo straordinario dispendio per spedalità cui sono forzati i nostri comuni e quindi tutti i contribuenti, non resterebbero più a lungo intentati i mezzi acconci a riparare a tanta jattura”. A questa considerazione il Ferretti fa seguire anche un calcolo economico del danno che questa situazione crea all’economia locale in mancate giornate di lavoro e maggiori spese pubbliche per diverse migliaia di lire considerando solo i pellagrosi ricoverati nell’ospedale del Mugello e in quelli fiorentini. “Che se ai pellagrosi ricoverati negli Ospedali si dovessero aggiungere quelli che , nel medesimo quinquennio, vissero incurati e inoperosi nelle povere loro case , vedremo senza dubbio più che duplicarsi questa già enorme cifra, sebbene sempre molto al di sotto del vero!”.

Anche trascurando l’aspetto umanitario , “che pur tanto dovrebbe prevalere”, esiste anche un problema economico rilevante e non bastano le generose donazione anche per la nascita del nuovo Ospedale del Mugello a risolvere il problema. L’ospedale può curare ma non prevenire ricorda il Ferretti che polemicamente sottolinea che “è santa cosa che la carità pubblica e privata abbia provveduti specialmente i pellagrosi del Mugello di un ricovero nel quale risanare in breve tempo o morire in pace , pietosamente e largamente assistiti : ma assai meglio sarebbe che scomparisse affatto dall’amena vallata , o che almeno si riducesse il loro numero a minime proporzioni”.

Come incipit del suo libro sulla pellagra pubblicato a Modena nel 1880 il Ferretti riporta questa frase . “ Se la Pellagra ( ci diceva or non è molto un povero pellagroso ricoverato all’ospedale del Mugello) pigliasse anche i signori sparirebbe in breve dal mondo”(5)(..) e se grave è l’accusa, neppure apparirà totalmente immeritata”.

La pellagra, l’ambiente e l’alimentazione

Il ragionamento del Ferretti era a 360 gradi perchè teneva conto anche delle caratteristiche ambientali dei luoghi parlava dei disboscamenti, dell’assetto idrogeologico, si occupava di coltivazioni e allevamento dando indicazioni puntuali per migliorare una situazione non certo favorevole alle classi meno agiate.

ma non è certo scusabile il delirio di sùbiti guadagni che distrusse in brevissimo tempo le superbe foreste di abeti e di faggi anticamente esistenti sulle vette del nostro Appennino, e le grandi selve di castagni che , non sono ancora molt’anni, coprivano tutta la zona inferiore de’ nostri monti, nella quale ora crescono a stento pallidi e rari steli di un tisico granturco!”. Per Ferretti bisognava tornare a coltivare altri cereali che avrebbero dato maggior profitto come segale, avena , orzo, grano saraceno e anche il miglio. Quest’ultima coltivazione era “estesissima nel secolo scorso in tutto il Mugello., il minuto e delicato cereale che qui allora convertivasi in buon pane e in eccellenti minestre, cedè il posto, sul principiare di questo secolo, al formentone, con quel vantaggio della pubblica salute che ognuno può rilevare dalla statistica de’ pellagrosi che ora popolano questa bella e fertile regione d’Italia”.La descrizione del Ferretti ci consegna un quadro dell’agricoltura mugellana che contrasta fortemente con i toni elegiaci, per esempio, di padre Lino Chini nella sua Storia del Mugello (6) e sottolineano alcune arretratezze che verranno superate solo tra fine 800 e inizio 900.

Per Ferretti siamo molto indietro nell’allevamento del bestiame ,“ che pure forma una delle maggiori nostre rendite”, sia bovino che ovino, va un po’ meglio con i suini ma “l’allevamento delle api è assai limitata fra noi, e quello razionale , introdotto dal nostro D. Giotto Ulivi, non ha fatto molto buona prova”.

Per quello che spetta alle carni , noi ci dimadiamo : – Come mai , fra le popolazioni agricole del nostro comune, ne è tanto limitato l’uso alimentare?”. Se la cosa è comprensibile per quanto riguarda le carni bovine che “pel loro prezzo, non sono e non possono essere alla portata delle borse di braccianti e contadini”, il Ferretti non comprende la contrarietà “ all’uso alimentario delle carni di montone, di castrato, di pecora e di capra, che non ha davvero la plausibile ragione che in qualche modo la giustifichi !”. Carni che invece sono di largo consumo in molti paesi europei. Se nelle campagne era abbastanza diffuso l’allevamento di polli , era invece del tutto assente l’allevamento di conigli. Per i mugellani di allora “il conigliolo” assomigliava troppo al gatto e quindi non era accettato neanche nelle mense dei poveri. Anche se il gatto entrava spesso come “ sostituto” in piatti serviti anche nelle trattorie ( a cui li portavano i cacciatori) dove diventava una gustosa fricassea di agnello.

Tutte le famiglie di contadini dovrebbero, adunque, accanto al pollajo, che troppo raramente somministra prodotti al loro povero desco, aver sempre un luogo adatto all’allevamento di una quantità di conigli della razza migliore, almeno bastevole a provveder loro gratuitamente , in ogni stagione e per più giorni la settimana, un vitto carneo sostanzioso, aggradevole e salutare.”

Seguendo queste indicazioni ci fu chi in Mugello tentò anche l’allevamento dei conigli come il Marchese Lavaggi alla fattoria il Poggiolo presso Gricignano , 2 malauguratamente però, non potendo egli venderne le carni ( che sebbene a 75 centesimi il chilogrammo, non trovavano compratori in un paese che campa di polenta!) fu costretto ad abbandonare in breve la generosa intrapresa; sicchè nel 1878, non era nel comune di Borgo san lorenzo, e forse in Mugello, che l’abate Luigi Fratini di san Giovanni Maggiore, il quale, in piccole proporzioni, curasse l’allevamento razionale di alcune ottime qualità di conigli”(ferretti).

Ma in Mugello c’era grande avversione e ripugnanza anche per le carni di cavallo, asino o mulo che invece , secondo il Ferretti, avevano eccellenti qualità organolettiche .
“Si autorizzi adunque fra noi la vendita pubblica delle carni degli equini, per qualsiasi ragione inetti al lavoro, o morti, per esempio, di asfissia, di apoplessia e di qualunque malattia lieve e benigna, od uccisi perchè epilettici, paralizzati, feriti, fratturati, storpiati, ecc; e i nostri filantropi combattano il volgare pregiudizio che non ne permette ora l’uso alimentare, dimostrando col’esempio com’esse non siano tali da doversi lasciar soltanto al basso popolo, ma ben anco da accogliersi fra i più delicati cibi delle classi più privilegiate da fortuna”.(idem).

Il Ferretti non si pone limiti pur di fornire un’adeguata alimentazione di proteine animali e chiede che venga introdotto l’uso di nutrirsi di “ qualunque sorta di carni, non esclusa (oso dirlo!) quella de’ cani, che , separata dal suo graveolente grasso volatile, potrebbe trasformarsi fra noi, come a Lucerna, in eccellenti salcicce e pasticci” e lo stesso dicasi del sangue dei bovini e ovini che nei macelli viene disperso e invece “ dovrebbe servire, come a Wurtenberg e in Svezia, alla sana alimentazione de’popoli”. Chi pensava che certi tabù alimentari fossero radicati da secoli in Europa si sbagliava di grosso e sono invece frutto di scelte culturali che si sono imposte nel XX secolo.

Se si passa al bere la situazione non migliora per le classi popolari dove solo i contadini più agiati bevono un quartino di vino la domenica e per le feste. Mentre i braccianti bevono “acquerello , cioè l’acqua passata sulle vinacce dopo che ne è stato tolto il vino allo strettoio”.

Il vino che bevono i contadini, puzza spesso di muffa, perchè conservato in botti che furono mal tenute e mal preparate; e , in alcune annate, anche le buone cantine e i buoni vasi non bastano a preservare i nostri vini dalla fermentazione acida o da quella putrida, più specialmente perchè i metodi qui usati nella sua fabbricazione non sono certamente i migliori”. Insomma il vino non era buono per vari motivi ma anche perchè non lo si sapeva lavorare e allora fiorivano le adulterazioni, alcune innocue con cocciniglia, mirtillo, zucchero o alcol ma ce n’erano alcune “assolutamente venefiche od almeno assai pericolose come l’acetato di piombo, l’allume, ecc”. Non esisteva un sistema diffuso di controlli e il comune ancora non aveva pubblicato il proprio regolamento d’igiene la cui severa applicazione veniva auspicata dal Ferretti “ non soltanto per impedire lo smercio de’ vini adulterati, ma quello ancora de’ cereali avariati (del granturco specialmente), del pane cattivo, delle carni sospette o corrotte, del pesce putrefatto, delle frutte immature o fracide, ecc, al fine di evitare il grave danno che ne potrebbe provenire e certamente ne proviene alla salute degli abitanti del nostro Comune, che pur pagano quasi ogni sorta di alimenti( forse in causa della tassa di dazio consumo troppo elevata) allo stesso prezzo che a Firenze, ove ora, relativamente alle altre città d’Italia, costa tanto cara la vita!”.(p.56)

La scarsità alimentare è anche la conseguenza del diffusione del gioco d’azzardo:

Il popolo del nostro Comune – scrive il Ferretti- è molto proclive ai giuochi, specialmente delle carte. Preferisce quelli d’azzardo(la toppa); e non è, purtroppo, raro il caso che padri di famiglia perdano nella domenica e nella notte susseguente tutto il guadagno della settimana e più, senza pensare un momento alla moglie e ai figli che non hanno polenta!”.

La diffusione della pellagra comincerà a diminuire in tutto il territorio del Mugello verso la fine del secolo XIX come dimostrano anche le statistiche dell’Ospedale di Luco. Nella sua pubblicazione dedicata all’attività dell’Ospedale del Mugello fino al 1914 il dott. Barchielli, che ne era diventato direttore , analizzando tutte le cause di ricovero e di morte dedica un ampio spazio alla pellagra che nei primi 10/12 anni di attività dell’ospedale aveva rappresentato la prima causa di ricovero e riporta tutte le varie teorie sulle cause della malattia sposando in modo molto empirico quella della carenze vitaminiche e alimentari. La Pellagra era la malattia della miseria e per il Barchielli la sua progressiva scomparsa era chiaramente dovuta ad un miglioramento dell’alimentazione e delle condizioni economiche di contadini e braccianti e “ segna anche il grande progresso economico conseguito dal Mugello”.(7)

Mancava comunque un’organizzazione che permettesse a contadini di portare avanti le loro rivendicazioni sindacali nei confronti dei proprietari terrieri per la quale dovremmo attendere l’inizio del XX secolo, mentre già il Ferretti nella sua topografia elogiava la nascita della Società di Mutuo Soccorso a Borgo san Lorenzo che era composta essenzialmente “di operai, di capi di negozio o d’industria, di coloni e d’artigiani dell’età dai 16 ai 40 anni ” che aveva lo scopo di favorire” la fratellanza e il mutuo soccorso degli operai fra loro(…) favorire l’istruzione, la moralità, il benessere, affinché possano cooperare efficacemente al bene pubblico”. La Società aiutava i soci che si ammalavano con un sussidio giornaliero ( una lire se uomo 0,70 se donna) ma precisava che non avrebbero avuto diritto al soccorso “ i soci affetti da malattia proveniente dall’abuso del vino e dei liquori spiritosi e dal malcostume”.

Sono lontani dal modo di pensare del Ferretti i nascenti ideali del socialismo che si stavano diffondendo nelle campagne del nord e della val padana, ma nel suo testo sulla pellagra non si esime dal richiamare i filantropi al loro compito di aiutare chi soffre per la malattia, per “ajutarli a scuotere il giogo della miseria” che li obbliga a nutrirsi di granturco”avariato”. “Adoperatevi(..) a rendere (…) men gravosi a’ contadini i così detti contratti colonici , e meno scarsi i compensi all’opera de’ poveri giornalieri e de’ braccianti campagnuoli. Sopprimete i grandi affitti dividendo a mezzeria i grandi possedimenti fra molte famiglie coloniche , e moltiplicate i Comizi agrari che contribuiscono al miglioramento dell’igiene e dell’economia agricola, destinando premi a favore de’ coloni che li meritassero per allevar bene il bestiame, per la polizia delle case e delle stalle e per la coltura de’ fondi loro affidati”.
Un atteggiamento che oggi si può definire paternalistico ma comunque attento alla qualità della vita anche delle persone più umili e in difesa del “ disconosciuto.diritto all’esistenza !“.

Leonardo Romagnoli

30.8.19

NOTE

1)”ebbe infine la meglio, fu abbracciata dai medici più autorevoli e sin dal 1884 riconosciuta dal ministro dell’agricoltura Grimaldi e dal Consiglio d’agricoltura, che ad essa improntarono un piano d’intervento statale che prevedeva la proibizione dello smercio di mais guasto, l’introduzione di pubblici essiccatoi e forni per la panificazione, prescrizioni inerenti la salubrità delle case coloniche e l’istituzione di locande sanitarie che distribuissero ai contadini pasti a prezzo modico”( A. De Bernardi p. 170-183 citato da Costanza Bertolotti – La Pellagra, bibliografia degli studi 1776 -2005 – Mantova 2009)

2) “la Pellagra al primo stadio(…) può cessare di riprodursi in primavera o guarire del tutto, pel solo fatto della migliorata alimentazione”(Ferretti p.50) Nell’Ospedale di Mugello fu sempre praticata la cura restaurante e l’alimentazione carnea , il vino generoso , il pane di ottimo grano ecc avrebbero sempre bastato a ritornar risanato alla propria casa ciascun pellagroso al primo stadio, in poco più di un mese di tempo “(p.52)

3)”anche qui gli stessi mendicanti che la fame tormenta e la sozzura propria e degli umidi abituri abbrutisce ed ammorba, sono d’ordinario risparmiati dalla Pellagra, la carità pubblica fornendo loro uno scarso ma sempre variato nutrimento”(Ferretti, cit p.46)

Sull’accattonaggio Don Fratini , amico del Ferretti, usa parole durissime usando il termine piaga riferita a Borgo san lorenzo dove “il mendicare non è qui ritenuto punto vergognoso, e si adatta come sorgente di guadagno nella stessa maniera che altrove si esercita un mestiere(..) Che poi l’accattonaggio sia proprio ridotto a sistema, si prova anche da questo che vi sono perfino de’ mestieranti i quali hanno bottega aperta e che non disdegnano di andare di quando in quando a fare un giro! Questi accattoni, squallidi e ributtanti nei giorni di lavoro, son ben vestiti per le feste, e riempiono le osterie e , a suo tempo, il teatro!”

4)Secondo gli studi di De Bernardi su denutrizione e pellagra nelle campagne italiane fra 800 e 900, buona parte dei pellagrosi, causa le caratteristiche della malattia e l’incapacità della scienza di individuarne le cause scatenanti, venivano ricoverati nei manicomi, dove le loro condizioni non potevano che peggiorare(Luzzi) De Bernardi sottolinea che nel periodo 1865 -1879 la metà dei ricoverati nel manicomio di Brescia non fosse affetta da turbe psichiche, bensì da pellagra.

  1. nell’incipit del libro il riferimento al Mugello non c’è ma l’autore riporta l’identica citazione anche in un articolo sulla rivista Il Pananti sempre del 1880 in cui il riferimento all’ospedale del Mugello è invece esplicito.

6)“L’agricoltore mugellano coltiva con amore e con sicure regole il suolo dove abita, il quale può stare a paro delle più fertili e prospere regioni d’Italia, sì per le sue squisite proprietà, sì per i suoi abbondevoli ricolti. Infatti se poniam mente a’ suoi piani, alle sue colline non avvi produzione che non provi e non attecchisca. Imperocché oltre i grani,i formentoni e altri cereali che crescono rigogliosi e perfetti, oltre le viti che danno un liquore sì generoso e squisito che celebrati a ragione sen vanno i vini del Corniolo, di Senni,di Valdastra, di Valcava, d’Uliveta e Campestri; le pendici di Ronta e d’altri luoghi feracissimi abbondano di opimi uliveti: a lato ai campi sativi e lunghesso le pubbliche vie allignano a meraviglia frutti d’ogni specie, querci, ischie e gelsi bellissimi, fonte questi ultimi di ricchezza a non poche filande di seta , aperte qua e là ne’ castelli e nei villaggi. Praterie artificiali, pascoli naturali eccellentissimi, selve di faggi e di castagni vestono il dorso dei monti circostanti a utile allevamento di armenti lanuti, di bestie bovine, di animali neri che formano l’unica o maggior rossa de’montanini della Futa , di Razzuolo, di Polcanto, Montegiovi, Villose e San Godenzo.”(Storia del Mugello di Lino Chini 1875 p.12).

7)”Nell’ultimo ventennio la coltura del granturco in Mugello non ha certamente subite delle diminuzioni e i sistemi di coltivazione di essiccamento, quelli di preparazione delle farine sono press’a poco gli stessi di quelli in uso 40 e 50 anni fa. Del granturco raccolto ora una parte viene esportata o consumata per alimento del bestiame, ma una buona parte serve ancora per alimentazione umana. Sono però mutate notevolmente le condizioni economiche della nostra popolazione : da una parte per il maggiore e più razionale sfruttamento del suolo si sono avvantaggiate le condizioni dei contadini, dall’altra per l’emigrazione temporanea e per la maggiore retribuzione della mano d’opera nei lavori locali, sono migliorate le condizioni dei braccianti. Questo miglioramento economico permette un’alimentazione più variata e completa e se nelle classi povere la farina di granturco viene ancora consumata con una certa larghezza nella stagione invernale, alla sua deficienza alimentare viene riparato aggiungendovi buona dose di condimenti grassi o alternandola con altri cibi, a differenza di quanto accadeva nel passato quando tale farina non aveva per condimento che il sale , non sempre in quantità sufficiente, e costituiva da sola , per la massima parte dell’anno, l’alimento di tanti derelitti.(Barchielli p.46)

NB. Le foto che accompagnano l’articolo on sono riferite al Mugello salvo due che sono tratte dalla pagina Facebook Antiche Cartoline del Mugello (ACdM)

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