L’economia civile come risposta alla pandemia

CISRECO

XXVIII International Summer School on Religion

S. Gimignano, 26-28 Agosto 2021

COMUNICAZIONE DI ANDREA BANCHI

È il momento della “scienza della pubblica felicità”

(ovvero l’economia civile come risposta alla crisi della pandemia)

Questa comunicazione ha lo scopo d’invitarvi a percorrere con me un itinerario di maggiore conoscenza dell’economia civile e della predicazione di papa Francesco che vi si ispira.

Nel titolo uso l’espressione “scienza della pubblica felicità” secondo la dizione degli illuministi napoletani che ne studiarono gli elementi costitutivi nella seconda metà del ’700, rifacendosi alla feconda riflessione culturale collegata all’Umanesimo e alla sua tradizione aristotelica, secondo la quale la felicità è conseguenza delle virtù, poiché ne è il loro senso e pieno compimento. La vita civile, compresi l’agorà e il mercato, quando non è ricerca della ricchezza come fine in sé, ma mezzo per vivere bene, è per Aristotele luogo di pratica delle virtù, e dunque di felicità.

L’homo oeconomicus

Sotto i nostri occhi vi è l’evidenza che l’Occidente ha portato negli ultimi decenni a compimento il processo di globalizzazione ed omologazione economica che Herbert Marcuse aveva acutamente denunciato nel 1964 nel suo celebre testo L’uomo a una dimensione1.

Marcuse vi afferma che il capitalismo, ma anche il comunismo sovietico, hanno costruito un uomo unidimensionale, attraverso il consumismo e la società industriale, per facilitare il controllo sociale da parte di un gruppo ristretto che detiene in modo concentrato il potere (anzitutto potere di dettare le percezioni collettive della libertà fornendo agli uomini consumatori l’opportunità di acquistare merci per raggiungerla). Le altre dimensioni dell’esistenza umana sono state eliminate, perfino sfere precedentemente considerate private (es. la sessualità) sono ora divenute parte del sistema di dominio, che dunque può instaurare un totalitarismo senza terrore attraverso la piena identificazione dell’uomo a questa moderna società manipolatrice. Il consumatore infatti, spinto da bisogni che ritiene insopprimibili, lavora irrazionalmente più di quanto è necessario per soddisfarli, ignorandone gli effetti psicologicamente distruttivi, ignorando i rifiuti e i danni ambientali che provoca. L’individuo perde la sua umanità e diventa uno strumento della macchina industriale e un ingranaggio della macchina di consumo. Il progresso tecnologico impoverisce tutti gli aspetti della vita contemporanea e continua a servire solo gli interessi della repressione. Si è infatti instaurata una “società benestante”, che con crescente conforto (mercificazione di ogni aspetto della vita) maschera la natura di sfruttamento del sistema e rafforza i mezzi di dominio e controllo. Questa moderna società limita quindi fortemente le opportunità di rivoluzione politica contro il capitalismo.

Solo un salto qualitativo (l’anticonsumismo, una rivolta culturale che liberi l’immaginazione) è in grado di trasformare questo apparato di distruzione in un apparato di vita.

Le vivaci proteste studentesche a metà degli anni Sessanta nei campus statunitensi contro la guerra del Vietnam, il razzismo, l’establishment, per i diritti civili e il rinnovamento della società costituirono l’inizio della contestazione del ’68 e si nutrirono spesso della lucida critica di Marcuse (“l’immaginazione al potere” fu un motto del maggio francese).

A distanza di 50 anni, il filosofo Ronald Aronson, che di Marcuse fu allievo, scrive sulla «Boston Review»2 un’ampia disamina di quanto fu importante quel libro, tanto che oggi appare più preveggente di quanto Marcuse stesso avrebbe mai potuto immaginare, e sostiene che quei suoi temi risultano ora più attuali, evidenti e rilevanti.

La pandemia

Inatteso e nel disinteresse generale delle popolazioni giunge a febbraio 2020 il virus Covid 19. La pandemia che si scatena nel mondo intero in pochi mesi cambia la storia e la percezione del futuro da parte di milioni di persone fino ad allora indifferenti o ignare dei reali problemi conseguenti alle modalità di produzione industriale.

Si è già cominciato a dividere il recente passato in base alle categorie “Prima che arrivasse il virus…”, “Dopo il primo lockdown…”. Questa comprensione così netta e definita, inoltre, non è patrimonio di un paese o di un’area o di un continente. La pandemia è davvero un fenomeno terribilmente globale. Più mondiale delle guerre del Novecento, che vennero chiamate mondiali quando ancora si riteneva che l’Europa fosse il fulcro di ciò che era importante sulla terra. Ma che mondiali non erano perché ci furono paesi solo lambiti dai massacri del conflitto. E l’esperienza che ha caratterizzato la pandemia, segnando intere generazioni, è quella dell’isolamento in casa, nel periodo iniziale del contagio, quando solo la separazione dagli altri poteva costituire una difesa dalla propagazione virale. Un’esperienza che nega la naturale socialità umana, che fa individuare un potenziale untore in ogni individuo che vìola le distanze, e che pone a nudo la contrapposizione tra l’esigenza di contare sull’aiuto degli altri per poter vivere e la necessità di tenerli lontani per garantire salute e sopravvivenza.

Assai più delle grandi guerre la pandemia è e sarà una cesura insanabile tra Prima e Dopo. Una indelebile cicatrice nell’esperienza individuale, familiare, collettiva. Un segno che scava profondo nelle coscienze e nell’immaginario, che determina nel tempo un riferimento obbligato e comune. La presa d’atto della fragilità e della insicurezza dell’uomo, benché si possegga denaro, assicurazioni, conti in banca, amicizie altolocate, azzera il senso di pasciuta stabilità per porci nella indeterminatezza di situazioni sconosciute ma temute.

I ricordi legati alle vicende personali o familiari caratterizzate dal periodo (chiusura in casa, smart working, didattica a distanza, comunicazioni digitali o telefoniche, cessazioni degli svaghi e degli spettacoli) rimarranno ben vivi nel tempo. Così come per altre esperienze negative diffuse e inevitabili c’è e ci sarà, anche dopo anni, per ognuno di noi, il racconto di cosa avvenne durante il periodo del virus, e si accenderà il confronto con gli altri che ugualmente lo vissero e che rammenteranno a loro volta quanto sperimentarono…

Intendo dire che quanto abbiamo vissuto tutti quanti, inevitabilmente insieme, anche se ognuno a suo modo, ci unisce perché in ognuno è rimasta un’eco immediata e diretta a quelle nascoste paure che nel nostro profondo inquietano come l’abbandono infantile o l’orribile spaesamento del buio durante un risveglio angoscioso… traumi inaspettati e, almeno inizialmente, incompresi. È come l’atto fondativo di una tribù che si forma nello stringersi insieme per contrastare l’ignoto.

Ci farà allora sentire vicini, simili, uguali, addirittura fratelli, questa esperienza condivisa?

Cambiare è opportuno, è possibile? O perfino obbligatorio per la prosecuzione dell’esperienza umana?

È una comunicazione, questa, piena di domande, ben più che di articolate risposte.

Mai nella breve storia dell’uomo si sono posti, come nell’attualità, tanti interrogativi così decisivi per il nostro futuro. Riteniamo oggi di poter conoscere dagli scienziati i probabili scenari climatici conseguenti alle scelte mondiali sull’ambiente, alla scelta delle risorse energetiche da utilizzare, alle modalità di produzione dei beni. Sappiamo ora sulla nostra pelle, prima ancora che nella comprensione razionale, che se non ci saranno drastici cambiamenti poniamo a rischio la prosecuzione della vita umana sulla terra.

Muhammad Yunus, il banchiere bengalese del microcredito, dopo aver riconosciuto che la pandemia ha fatto tabula rasa, prospetta una eccezionale opportunità di scelta: «riportiamo il mondo nella situazione nella quale si trovava prima del coronavirus o lo ridisegniamo daccapo? La decisione spetta soltanto a noi»3.

Papa Francesco ha parimenti affermato, nel videomessaggio all’Onu del 25 settembre 2020, che «la pandemia ci chiama a cogliere questo tempo di prova come un momento di scelta. […] Può rappresentare una reale opportunità di conversione per ripensare il nostro modo di vivere e i nostri sistemi economici e sociali, che stanno allargando il divario tra ricchi e poveri, a causa di una distribuzione iniqua delle risorse»4.

Ancora Yunus si chiede che tipo di economia vogliamo: «l’economia è uno strumento che ci può aiutare a perseguire gli obiettivi che noi stessi ci prefiggiamo. Non deve farci sentire tormentati e impotenti. Non dovrebbe fungere da trappola letale messa a punto da qualche potenza divina per infliggerci una pena. Non dobbiamo dimenticare mai, neppure per un istante, che l’economia è uno strumento creato da noi uomini. Dobbiamo dunque continuare a progettarlo e riconfigurarlo finché non renderà tutti felici. È uno strumento messo a punto per arrivare alla massima felicità collettiva possibile»5.

Nel 2018 l’economista Lorenzo Caselli, uno dei fondatori di “Bene comune”, in una lectio tenuta all’Università di Genova, dal titolo “L’economia non può fare a meno dell’etica”, riproponeva in termini contemporanei una discussione da sempre accesa tra gli studiosi: «Di fronte a una crisi sempre più pervasiva e incidente, si impongono grandi mutamenti culturali, l’assunzione di criteri di giudizio diversi da quelli ordinari. Gli ultimi, i poveri, in un’ottica di globalità e di interdipendenza diventano chiave interpretativa del vivere sociale». In conseguenza, proseguiva, occorre «verificare se lo sviluppo e la crescita debbano […] poggiare sugli squilibri, le disuguaglianze […] oppure non possano invece trovare stimolo ed innesco nella “solidarietà creatrice” con l’inserimento dei processi di cambiamento in una prospettiva comunitaria, con la diffusione di valori di comunicazione, dialogo, apprendimento, cooperazione, valorizzazione di tutte le risorse»6.

L’economia civile

Siamo al cuore di questa comunicazione. Dunque cambiare è possibile, ci dicono gli esperti. Cambiare è opportuno, ripetono da tempo (anche prima della pandemia) gli studiosi delle crisi economiche ricorrenti. Cambiare è l’unica via, afferma Greta Thunberg, la giovane attivista svedese per un futuro sostenibile.

Se la direzione del cambiamento ora è chiara, assai più complessa è invece l’individuazione delle modalità, dell’ambito culturale di riferimento, degli obiettivi che la svolta dovrebbe includere e indicare fin da subito.

Eccoci dunque al ruolo dell’economia civile, che nacque a Napoli a metà del Settecento con Antonio Genovesi, il primo studioso a ricoprire una cattedra universitaria di economia in Europa. Fu celebre la sua opera Lezioni di commercio ossia di economia civile7 del 1765 che fu tradotta in molte lingue. Negli stessi anni a Londra Adam Smith pubblicava La ricchezza delle nazioni8.

Interessante il paragone tra i due, entrambi filosofi e poi economisti. Critici del mondo feudale e convinti che il mercato avrebbe costruito un mondo più egualitario e libero. Mentre Smith opera in una cultura calvinista, Genovesi è abate, erede dell’umanesimo classico di Aristotele, ma anche di san Tommaso e di Vico, conoscitore di Cartesio e Locke.

Se per Smith protagonista del nuovo mondo è l’individuo, virtuoso, prudente e guidato da un interesse illuminato ma autocentrato, Genovesi invece ha presente una persona, una realtà relazionale fatta per la reciprocità.

Per il filosofo scozzese il bene comune e la ricchezza delle nazioni è mero frutto dei mercati in cui ognuno degli individui è guidato dal proprio singolo interesse. «Non ho mai visto fare niente di buono da chi si prefiggeva di operare per il bene comune» (1776) scriverà con cinismo. Genovesi invece vede le relazioni economiche di mercato come rapporti di mutua assistenza in un contesto di fiducia reciproca che fonda la “fede pubblica” (interessante è la sua intuizione che unisce il newtonianismo sociale, cioè la mutua attrazione dei corpi che decresce con la distanza sociale, con il tema della reciprocità).

Non ci sono opere di Genovesi di carattere sistematico, per questo ha poco senso parlarne come lo Smith italiano. Il contributo originale di Genovesi alla storia del pensiero economico può essere correttamente valutato e compreso solo alla luce dell’analisi che egli svolge sui temi al confine tra etica ed economia: scandaglia infatti elementi di contesto che rendono possibile il positivo svolgersi dei processi economici, come la fiducia, la reciprocità (mutua assistenza), la felicità pubblica. L’accento non è come per Smith sul lavoro, la sua produttività e suddivisione, ma sugli elementi di socialità all’interno dei quali si svolgono le attività economiche: «L’uomo è un animale naturalmente socievole: è un dettato comune. Ma non ogni uomo crederà che non vi sia in terra niun animale che non sia socievole. […] In che dunque diremo l’uomo essere più socievole che non sono gli altri? […] [è il] reciproco diritto di esser soccorsi, e consequentemente una reciproca obbligazione di soccorrerci nei nostri bisogni»9. Ed ancora nella Diceosina: «in natura queste parole giusto, onesto, virtù, utile, interesse non si possono se non istoltamente disgiungere»10.

Luigino Bruni, economista che ha particolarmente approfondito la figura di Genovesi, ne loda la grande attualità contemporanea e rileva tre aspetti importanti nel suo pensiero:

  • la felicità o è pubblica o non è, perché la ricchezza cercata contro gli altri produce solo malessere;

  • l’economia, come ogni attività umana, non è mai eticamente neutrale: o è civile o diviene bestiale. Se un’impresa crea posti di lavoro, rispetta l’ambiente, i lavoratori, la società, migliora beni e servizi, allora è civile, altrimenti è incivile, tertium non datur;

  • Genovesi è figlio dell’Italia e del suo modello economico e sociale: le nostre eccellenze non nascono dall’imitazione di altri modelli, ma dall’attivazione del frutto di secoli di meticciato, di incroci e di incontri tra popoli e culture, tra mercanti artisti frati montanari artigiani marinai. Gli eredi di Genovesi sono il mondo della cooperazione, i distretti del Made in Italy, la finanza etica, il turismo sostenibile, la buona agricoltura, e tutte quelle esperienze civili capaci di mettere a reddito relazioni, storia, gratuità, di generare valore dai valori11.

La scuola napoletana di illuministi, che seguirono Genovesi e s’interessarono oltre che all’economia anche a temi giuridici (Galiani, Dragonetti, Filangieri), non ebbe il successo e la diffusione che meritava. Rimase un’attenzione etica nelle amministrazioni di case di riposo, opere pie, ospedali, istituti e convitti per orfani, confinando questa ricerca all’interno di un mondo caritativo e religioso che sembrava estraneo all’economia. Solo di recente, di fronte al fallimento storico delle impostazioni economiche classiche, una nuova sensibilità ha riportato l’attenzione sulla elaborazione economica della Scuola napoletana.

Papa Francesco pastore pone al centro l’economia

Nell’evoluzione della pastorale di papa Francesco i primi anni del pontificato sono stati incentrati sulle sfide che vengono individuate come urgenti dal punto di vista dei poveri e dei precari del mondo (le cd. periferie, cioè coloro mai al centro dell’attenzione) e, benché si tratti spesso di temi economici, essi sono evocati in termini morali, anche molto efficaci. Nella Evangelii gaudium12, l’ampio testo programmatico degli obiettivi del pontificato, uscito dopo alcuni mesi dalla sua elezione, anche con riferimento ai contenuti del Sinodo sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana (2012), si trovano indicazioni più volte riprese successivamente, che riguardano l’economia della esclusione (la cultura dello scarto), l’idolatria del denaro, il rifiuto dell’etica nell’attività economica e finanziaria, l’inequità che genera violenza, l’esasperazione del consumo, l’inaffidabilità di un mercato lasciato a se stesso, l’economia come amministrazione della casa comune. Ma per l’ampiezza della trattazione, il documento sinodale di riferimento e i tanti obiettivi su cui intervenire, nell’esortazione non si palesa tutta la novità che il papa nello stesso periodo comunica attraverso i numerosi discorsi tenuti nelle varie occasioni pubbliche13.

Nell’enciclica Laudato si’ del maggio 2015 Francesco punta la sua attenzione sulla salvaguardia della terra (“sulla cura della casa comune”, come è riportato nel titolo) e i tanti argomenti di ordine economico hanno questo taglio e sono evocati e organizzati secondo questa esigenza.

Nel discorso tenuto a Santa Cruz, in Bolivia, in occasione del II incontro mondiale dei Movimenti popolari del luglio 2015, papa Francesco inizia affermando che abbiamo bisogno di un cambiamento. Poi, dopo aver riconosciuto nei movimenti popolari dei «seminatori di cambiamento», enumera tre compiti importanti per questo momento storico, il primo dei quali «è quello di mettere l’economia al servizio dei popoli: gli esseri umani e la natura non devono essere al servizio del denaro. Diciamo NO a una economia di esclusione e inequità in cui il denaro domina invece di servire. Questa economia uccide. Questa economia è escludente. Questa economia distrugge la Madre Terra»14.

Questo forte impegno, posto al centro del suo intervento, viene confermato dal 10° punto della Carta di Santa Cruz, approvata nell’incontro, che è intitolato “Respingiamo il consumismo e sosteniamo la solidarietà come progetto di vita personale e collettiva”.

Nel discorso ai focolarini, nel febbraio 2017, Francesco esalta l’economia di comunione15 invitando a costruire un sistema che non solo curi le vittime, ma prevenga i fenomeni di emarginazione per ridurne il numero. Poi cita la reciprocità (avrebbe fatto felice Genovesi!), concludendo che «la comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni…».

La fraternità come principio regolatore dell’ordine economico è invece al centro della lettera del papa al Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, del 24 aprile 201716. Francesco evoca un nuovo umanesimo nel passaggio d’epoca dal mondo moderno al post-moderno, perché l’aggiornamento delle vecchie categorie di pensiero non basta più.

Il 1° maggio 2019 il papa lancia l’iniziativa “L’economia di Francesco” chiamando i giovani a elaborare un intervento che si svolgerà ad Assisi nel marzo 2020. La pandemia sposterà l’evento finale, solo on line, al 19-21 novembre 2020. Nella lettera di convocazione17 Francesco rileva la resistenza al recepimento della Laudato si’ e afferma che purtroppo «resta ancora inascoltato l’appello a prendere coscienza della gravità dei problemi e soprattutto a mettere in atto un modello economico nuovo, frutto di una cultura di comunione, basato sulla fraternità e sull’equità». Ai giovani (economisti, imprenditori, operatori del cambiamento) riconosce che «le vostre università, le vostre imprese, le vostre organizzazioni sono cantieri di speranza per costruire altri modi di intendere l’economia e il progresso, per combattere la cultura dello scarto, per dare voce a chi non ne ha, per proporre nuovi stili di vita».

Luigino Bruni, l’economista direttore del Comitato scientifico per l’iniziativa18, così pubblicizza l’incontro: «per Francesco non si cambia il mondo senza cambiare la prassi e soprattutto la teoria economica»«The economy of Francesco è l’economia di papa Francesco e di san Francesco, assieme»… Nel Trecento «i teologi e i giuristi francescani cercarono [inutilmente] di convincere i papi e la Chiesa che fosse possibile consumare i beni primari senza diventarne padroni». Oggi «con il terzo millennio siamo entrati definitivamente nell’era dei beni comuni. Se continuiamo a sentirci proprietari e padroni della Terra, dell’atmosfera, degli oceani, continueremo soltanto a distruggerli»19.

Dopo alcuni giorni dall’incontro, che avrà una replica nell’ottobre 2021, Paolo Rodari, il vaticanista di «Repubblica», ne illustra i contenuti20. «Francesco mette in campo due temi importanti: la solidarietà […] e l’uscita dalla logica sacrificale».

1. «Al centro della sua visione ci sono la convinzione che la logica individualista fa retrocedere l’umanità e il “no” deciso all’idea che ciò che conta è fare progressi e fa niente se c’è chi rimane indietro. Non c’è buona economia se contempla qualcuno che viene scartato, come ha ricordato anche recentemente chiedendo vaccini per tutti, nessuno escluso». «Il papa è convinto che “la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali”», infatti ha parlato più volte di economia generativa, combattendo un deficit di senso, verificando l’impatto sociale e ambientale delle imprese. «Concretamente si tratta di aprire ad attività incentrate su nuove modalità di consumo e riproduzione, che diano senso alla vita, consumo sostenibile e responsabile, commercio equo».

2. Ed occorre superare l’assistenzialismo, il filantropismo, che «perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare». I poveri devono «sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».

Ultimo nodo è il rapporto tra l’economia e la politica. «Se la politica è il regno dei fini e l’economia è il regno dei mezzi, nel momento in cui il mezzo diventa fine lo stravolgimento della cultura e degli spazi di libertà è la tragica conseguenza».

Per non appesantire troppo il mio intervento, accennerò rapidamente all’enciclica Fratelli tutti21. Impossibile non porla al termine di questa trattazione: è il sogno di fraternità universale che si è arricchito nella stesura di una ulteriore riflessione riferita alla pandemia durante la quale «è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme»…, «si è verificata una frammentazione [di Narciso?] che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti».

Si ritrovano nell’enciclica i temi già accennati in precedenza (l’incontro di Assisi l’ha, seppur di pochi giorni, seguita temporalmente).

Dalla Guida alla lettura che ne ha redatto Alessandra Smerilli22, suora e valente economista, traggo alcuni rapidi spunti.

a) Nell’enciclica importante è il riferimento alla parabola del buon samaritano, e anche al ruolo in cui ognuno di noi va ad identificarsi. Dobbiamo rilevare che siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Il lavoro e la cura sono due dimensioni fondamentali dell’essere umano, eppure nel primo abbiamo raggiunto enormi progressi, invece siamo indietro nel prenderci cura. Forse perché la cura è relegata nell’ambito privato e svolta dalle donne? Dobbiamo imparare fin da piccoli l’attenzione, l’ascolto, l’aiuto, il prendere a cuore, siamo persone che necessitano di questa esperienza per “restare umani”, per attivare capacità di sentirci in reciprocità.

b) Non si può pensare che la funzione dell’economia e del mercato sia quella di produrre ricchezza che poi lo Stato in parte redistribuisce: il mercato deve diventare più civile (ecco Genovesi)! I meccanismi di migliore ripartizione dei risultati devono essere pensati a monte, nel momento produttivo e dello scambio, non solo a valle con la tassazione. Mentre si produce già si distribuisce il valore, mentre si raccoglie il risparmio già si pensa a trasformarlo in credito al servizio dello sviluppo.

Nel terminare questa comunicazione, spero di essere riuscito nel mio intento, ovvero fornire elementi di maggiore conoscenza dell’economia civile ed evidenziare la progressiva lucidità d’analisi da parte di papa Francesco che ad essa ispira la sua predicazione. Per comprendere, altresì, come la contaminazione sia ormai il segno della conoscenza sistemica per un nuovo umanesimo.

Andrea Banchi

1 L’edizione italiana fu curata da Einaudi nel 1968. Il sottotitolo originale è “Studi sull’ideologia della società industriale avanzata”.

2 Cfr. Marcuse Today, in «Boston Review» , 17 novembre 2014, anche on line.

3 Muhammad Yunus, Coronavirus, Yunus: Non torniamo al mondo di prima, in «La Repubblica», 18 aprile 2020.

4 L’Osservatore Romano, 27 settembre 2020.

5 Muhammad Yunus, cit.

6 Lorenzo Caselli, L’economia non può fare a meno dell’etica, in «Impresa Progetto – Electronic Journal of Management», 2-2018, pp. 8-9.

7 Cfr. Antonio Genovesi, Lezioni di commercio ossia di economia civile, Milano, Vita e Pensiero, 2013.

8 Cfr. Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, Torino, UTET, 2017. L’edizione originale è del 1776.

9 Antonio Genovesi, Lezioni di commercio ossia di economia civile, cit., I, cap. I, §§ XVI, XVII.

10 Antonio Genovesi, Della Diceosina, Mariano del Friuli (GO), Ed. della Laguna, 2008.

11 Cfr. Luigino Bruni, Alle origini della crisi, in «Avvenire», 13 gennaio 2013.

12 Cfr. Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 26 novembre 2013, Libreria editrice vaticana.

13 Per tutta questa parte della trattazione si veda Papa Francesco, La dittatura dell’economia, a cura di Ugo Mattei, Torino, Ed. Gruppo Abele, 2020. Il libro è una antologia di testi papali commentati e posti a confronto con stralci di celebri autori che hanno trattato gli stessi temi.

14 Papa Francesco, Discorso al II incontro mondiale dei Movimenti popolari, 9 luglio 2015, Santa Cruz de la Sierra (Bolivia), Libreria Editrice Vaticana, on line. Gli altri due compiti indicati nel discorso sono: unire i popoli nel cammino della pace e della giustizia, difendere la Madre Terra.

15 Cfr. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro ‘Economia di comunione’ promosso dal Movimento dei Focolari, 4 febbraio 2017, Libreria Editrice Vaticana.

16 Cfr. Papa Francesco, Messaggio alla prof.ssa Margaret Archer, Presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, 24 aprile 2017, Libreria Editrice Vaticana.

17 Cfr. Papa Francesco, Lettera per l’evento “Economy of Francesco”, 1° maggio 2019, Libreria Editrice Vaticana.

18 Cfr. il sito web: https://francescoeconomy.org

19 Luigino Bruni, L’economia di Francesco, in «Il Messaggero di Sant’Antonio», 25 marzo 2020.

20 Paolo Rodari, Francesconomics, in Affari & Finanza, settimanale allegato a «la Repubblica», 30 novembre 2020. Da notare che l’argomento è trattato dal supplemento economico del quotidiano e ne occupa le prime quattro pagine. Vi si citano gli economisti Zamagni, Becchetti, e il sociologo Magatti. Nell’ultima pagina un’intervista a Giovanni Fosti, presidente Fondazione Cariplo.

21 Cfr. Papa Francesco, Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, Libreria Editrice Vaticana.

22 Cfr. Alessandra Smerilli, Guida alla lettura, in Papa Francesco, Fratelli tutti, Milano, San Paolo, 2020, pp. 5-25.

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