Alcune alluvioni della Sieve nel passato

Alcune alluvioni della Sieve nel passato

 

 

Il Collegio dei Priori in seguito alla luttuosa e deplorevole circostanza della straordinaria inondazione di quattro quinti di questo paese avvenuta nelle prime ore pomeridiane del 31 ottobre scorso, aveva non solo dovuto distribuire una quantità di pane ai miserabili, ma eziandio trovar ricovero ad alcune famiglie della contrada della Sieve , le quali furono fortunate di essere riuscite in tempo a fuggire dalle loro abitazioni , facendo aprire alcune stanze del casamento Maganzi, e provvedendole di paglia , fuoco e lume. “ Furono stanziate 109 lire per distribuire pane , legna e brace alla popolazione più povera che era rimasta alluvionata e 809 lire per liberare questa parte del paese dalla “mota depositata dalla inondazione”. L’anno era il 1851 e non era certo la prima volta che l’abitato e le campagne venivano interessate dall’esondazione della Sieve. Nel 1844 il 3 novembre un’altra alluvione interessò la parte bassa del paese ed ebbe come conseguenza anche la diffusione di una febbre tifoide.
Nel corso dei secoli gli episodi alluvionali si ripetono con una certa frequenza e la Sieve e i suoi affluenti per il loro carattere torrentizio con le piogge che solitamente si concentrano tra fine di ottobre i i primi di novembre sono spesso protagonisti di inondazioni che interessano le campagne e i paesi.
In alcuni casi sono gli stessi nomi dei fiumi o torrenti a indicare le caratteristiche di un corso d’acqua, ad esempio Stura deriva dal tedesco sturm che significa tempesta o bufera, lo stesso nome Sieve sembra derivi dal latino saeva traducibile anche come selvaggio o feroce.
Come scrive il Niccolai nella sua guida del 1914 “la portata, dato il suo regime irregolare e torrentizio ed il variare della sua profondità, varia assai fra i periodi di magra e di piena, né è facilmente calcolabile.(…)La velocità (delle acque), dipende dalla portata più che dalla pendenza, aumenta con il contributo degli affluenti di sinistra, specialmente alla stagione delle piene, e allo stato normale è minore là ove il letto del fiume, soprattutto nel suo tratto longitudinale, si allarga in un suolo eluviale e sedimentizio su cui posa e si ammassa ogni sfasciume fluitato, consistente in ciottoli, ghiaia e sabbia fina. Assai di frequente l’acqua del fiume s’ingorga formando
tori che riempiono concavità più o meno profonde. Le rive sino a a circa due chilometri a valle di Vicchio sono basse, talora piatte, e si estendono su la destra e su la sinistra allargando l’alveo del fiume, per cagione delle piene autunnali il fiume s’ingrossa, le acque torbide esondano, straripano ed allagano la bassura lasciandovi depositato un limo fertile. Ma da sotto Vicchio a Pontassieve le acque costrette come sono in un più stretto alveo vi sono assai meglio regolate”. A parte alcune discutibili affermazioni del Niccolai , la sostanza è che la Sieve esondava spesso e insieme alla Sieve provocavano allagamenti anche alcuni suoi affluenti maggiori e soprattutto alcuni fossi come quello di Sn Giovanni e le Cale a Borgo san Lorenzo.
Dopo l’alluvione del 1844 fu decisa la deviazione delle Cale dal suo percorso originario a quello attuale. Il terrente non correva lungo “Paliano” ma percorreva l’attuale viale della Repubblica fino al piazzale Curtatone e Montanara per poi gettarsi in Sieve (non a caso questa zona di Borgo viene ancora chiamata via de’ Fossi). Questo però non eviterà nuove inondazioni come ci ricordano anche varie cronache del novecento.

Mi soffermo su tre eventi tra il 1926 e il 1932 come ci vengono raccontati sul Messaggero del Mugello perché contengono alcune spiegazioni del ripetersi di episodi alluvionali anche in tempi abbastanza ravvicinati e anche alcune proposte di intervento che in realtà non troveranno per la gran parte attuazione.

Il settimanale mugellano nel numero del 28 novembre 1926 parla del “flagello dell’inondazione” che interessa Borgo san Lorenzo nella notte del 21 quando “ si scatenava violentissimo il temporale e l’acqua cadeva veramente a torrenti” e si sparse la voce che l’acqua “ aveva inondato il Quartiere delle Baracche adibite fin dal 1919 a rifugio dei terremotati”(…) erano il rio di San Giovanni e il torrente Le Cale che rigonfiatisi per l’acqua caduta poco prima sulle vicine colline, avevano straripato con assai irruenza”.(…) Dalla via Faentina l’acqua giallastra del Rio di San Giovanni scese improvvisamente nel centro di Borgo, inondando via Pananti, via Lapi, il piazzale Montanara, piazza Cavour e il corso Vittorio Emanuele. Per il vicolo della Fogna in discesa l’acqua arrivò fino sul Canto.” Mentre l’allarme per i fossi rientrava verso la mezzanotte si cominciò a temere per lo straripamento della Sieve ingrossata da alcuni giorni di pioggia.”I primi accorsi sul Ponte Mediceo videro il nostro fiume spaventosamente ingrossato: l’acqua percuoteva gli argini e stava quasi per oltrepassarli dalla parte di Borgo. Lo stradone di Olmi era tutto allagato, l’acqua aveva invaso molti tratti della strada Borgo- Lutiano Nuovo- Sagginale e la inondazione saliva fin quasi alla vila di Montazzi(…) Giunti fortunatamente i pompieri da Firenze al comando dell’ing. Burchi, s’intensificarono i lavori per evitare lo straripamento del fiume, lavori già iniziati ad opera dei dipendenti comunali comandati dall’ing. Lorini. Con una gran quantità di sacchetti di rena si riuscì faticosamente a serrare un’apertura prodottasi nel bastione verso Borgo . Questi lavori e una provvidenziale rottura dell’argine verso i campi di proprietà Maganzi Baldini fecero riversare molta acqua dall’altra parte impedendo e ritardando lo straripamento della Sieve.(…) Già i pompieri fiorentini, decisi a scongiurare in qualunque modo lo straripamento, avevano iniziato il taglio dello stradone di Olmi per far sì che all’occorrenza la Sieve potesse trovare sfogo in quella parte poco abitata.”.

Come ancora oggi uno delle zone del territorio più colpite dall’alluvione fu l’abitato di Sagginale dove dal 1872 non si ricordava una piena simile della Sieve, con l’acqua che raggiunse i due metri mezzo di altezza fino ai primi piani delle case. Ancora il lunedi i pompieri dovettero usare delle barche per portare soccorsi ad alcune famiglie.

Presso Mattagnano alla confluenza del Pesciola e dell’Elsa con la Sieve, le acque raggiunsero verso mezzanotte l’altezza segnata dalla piena del 1855 e mulini e case rimasero circondate dall’acqua”. Danni anche alla Torre, a San Piero e Vicchio “ danni immensi e incalcolabili, le case coloniche vicine al fiume ebbero schiantate e asportate ancora le porte (…) il ponte ferroviario di Contea sulla linea Borgo- Pontassieve è franato e la linea è completamente interrotta”.
Siamo in epoca di amministrazione fascista ma non mancano le polemiche di tipo urbanistico, intanto il governo inviava al sindaco Agostini lire 10.000 per le prime necessità delle famiglie bisognose.
Il Messaggero ricorda che Chino Chini assessore indipendente nella prima giunta fascista del sindaco Alfredo Agostini aveva criticato il piano di ampliamento redatto dall’ing. Cocchi che aveva progettato un viale di circonvallazione di 22 metri che specialmente a sud non sembrava corrispondere alle necessità, ritenendo utile ed opportuno da subito provvedere a spostare detto Viale più a sud , in modo che altimetricamente si trovi in condizioni migliori rispetto alla Sieve”. L’articolo sottolinea poi come già in passato l’ing. Niccolai e l’ing. Corrieri avessero sottolineato la pericolosità per Borgo dell’insidioso e precipitoso Rio di San Giovanni detto anche Fosso del Paoli.

Anche le cronache dagli altri paesi sono improntate alla desolazione come a Vicchio dove il corrispondente del Messaggero scrive che “la Sieve in poco tempo si gonfiò enormemente uscendo dal suo letto e strappando bastoni, ripari, danneggiando ponti, sradicando piante e allagando campi appena seminati, abbattendo vigneti e inondando case del piano”.
“Nella frazione di Ponte a Vicchio le acque circondarono le case inondandole e salirono a un’altezza così grande da impedire di portare soccorsi”. Danni furono causati anche da tutti gli affluenti e le strade comunali “hanno risentito gravi danni per le numerose frane e molte di esse hanno le massicciate scoperte”.

Come avviene dopo ogni evento calamitoso non mancano le proposte per cercare di evitare nuovi disastri in futuro che quasi sempre finiscono nel vuoto.
Bernardino Filippi in un articolo del 5 dicembre 1926 intitolato la Correzione della Sieve ripropone addirittura un progetto dell’allora ing. Provinciale Tempestini del 1874 , dopo un evento alluvionale, per eliminare alcune anse del fiume , in particolare quella al Forcone, nei pressi della confluenza della Pesciola. “Allora , sotto l’impressione del sinistro, si disse e si ripetè che , per liberare Borgo dalla minaccia della cattiva(Saeva), non ci fosse modo più facile di quello di togliere l’ansa pericolosa”. Oltre a questo, come già avvenuto in altre circostanze, si ricorda la mancanza di copertura arborea sull’appennino che necessita di un rimboschimento per frenare la violenza delle acque. In attesa di tale opera l’intervento sulla Sieve “è una spesa che darà tranquillità alla popolazione di Borgo e Sagginale così duramente provata”.
Si parla anche di promuovere un accordo intercomunale per attuare “ con le opportune modificazioni, il progetto di rettifica del corso già fatto dall’ing. Tempestini e dall’altro dando opera alla sistemazione dei bacini montani specie sulla sinistra della Sieve che danno il più abbondante e impetuoso contributo di acque al nostro fiume.”

Il Filippi tornerà su questi argomenti nelle settimane successive indicando “le radici del male” nel carattere torrentizio dei fiumi che scendono dall’appennino, “ temibilissimi quelli dell’alto bacino della Sieve (Lora, Stura, Sorcella, Tavaiano, Anguidola, Cornocchio etc)”, corsi d’acqua spesso con “acque quiete” ma che diventano pericolosi perchè “ hanno il loro impluvio disboscato”.

Il nostro autore cerca allora di unire gli interventi per la sicurezza con possibili ricadute economiche per il territorio indicando non solo il rimboschimento ma anche la creazione di bacini artificiali “ che serviranno da un lato a brigliare le piene e dall’altro daranno energia motrice ed elettrica all’industria” e acqua per l’irrigazione nei mesi primaverili ed estivi.
“Il rimodellamento delle selve di Monte Calvi e delle pelate sponde del Tavaiano e dell’Anguidola o della Lora non solo accrescerà il capitale nazionale di essenze forti (faggi e querce) ma servirà da briglia alle acque piovose”.
Questo bisogna fare per contenere la Sieve e senza sprezzo del ridicolo aggiunge “bisogna dargli una durissima disciplina fascista e lusingarne l’amor proprio chiamandolo a dare le sue forze per la produzione più feconda”.
Ma la Sieve e i torrenti non si piegano alla disciplina fascista e, causa lavori mai fatti, provocano un’altra grave inondazione appena due anni dopo nel novembre del 1928.

La corona dei monti alla sorgente del fiume sono ancora calvi, i torrenti senza argini né briglie e la Sieve stessa nel paese di Borgo in prossimità della caserma dei Reali carabinieri ha l’ingombrante ponte mediceo che colle sue pile chiude il letto del fiume ed in modo tale ne strozza la corrente da costringerla a saltar fuori dal letto in quel punto delicatissimo” scrive ancora il Filippi il 4 novembre 1928. L’autore continua a proporre nuove arginature della Sieve, la correzione del suo corso e la creazione accanto agli argini di fosse di scolo laterali “ che serviranno alla raccolta delle acque piovane per serbarle al tempo della siccità per l’irrigazione”. Sono delle specie di laghetti che dovrebbero svolgere anche funzioni di contenimento in fase di esondazione.

I nostri nonni eressero magnifici argini che da Barberino seguono il fiume ed ora qua e là sbocconcellati o asportati; i nostri nonni ci dettero magnifico esempio delle briglie( i tori o salti dei fiumi) che ne rompono la corrente e ne limitano la forza di tempesta delle piene e la furia devastatrice, molte ne costruì, perfezionando il sistema l’ing. Pietro Bruschi, che onorò se stesso e Borgo finché ebbe vita”. Per concludere non poteva mancare l’appello a “ riprendere fascisticamente la tradizione dei Nonni e mutar faccia alla nostra terra e rendere docile il fiume ribelle dentro il corso che gli assegneremo, né vite umane né campi opimi devon più essere lasciati in preda alla violenza cieca dell’acqua devastatrice”(1).
Ma fiumi e torrenti disobbediscono al fascistissimo imperio e tra fine novembre e il primo dicembre del 1932 tornano ad allagare Borgo e le campagne. La cronaca è simile a quella che si può leggere per eventi avvenuti anche tra gli anni 80 e 90 del secolo scorso o altri più recenti.
La pioggia fece gonfiare improvvisamente la Sieve, le cale e i vari fossi “che scendono dalle colline prossime a Borgo”.
In particolare è il Rio di San Giovani ad esondare nella notte tra il 30 novembre e il 1 dicembre, “ un fosso di natura torrentizia, reso più disordinato dai lavori edilizi e stradali eseguiti nella zona a monte di Borgo dopo il terremoto del 1919”. L’acqua invase ancora una volta il quartiere della baracche ( quelle che nel 1926 dovevano essere eliminate) per i terremotati del ’19 , via Roma, via Pananti, Via Giotto Ulivi, Largo Lino Chini. “Botteghe , magazzini, rimesse e cantine vennero invase dall’acqua, che reco migliaia di lire di danni a negozianti e industriali.”Varie baracche isolate dall’acqua alta un metro dovettero essere abbandonate. “Paurosa e furiosa apparve subito la piena delle Cale” con la casa colonica di Giuseppe Caiani circondata da due metri d’acqua e “ore veramente angosciose vissero ancora tre o quattro famiglie abitanti nei sottosuoli dei fabbricati di proprietà dei signori Brazzini e Lisi nel viale Umberto I in prossimità della stazione”. L’intervento dei operai comunali e di altri volontari evitò il peggio anche per altre famiglie.
“La cittadinanza invoca ora provvedimenti per ottenere che almeno la parte più alta di Borgo sia liberata dal pericolo e dal flagello delle piene”.

Anche in questo caso non mancano proposte tecniche che restano tutte lettera morta con la situazione che anzi andrà a peggiorare con l’aumento della pressione urbanistica e il tombamento di alcuni fossi.

Anche allora qualcuno scrive che le difficoltà non sono tecniche ma di ordine finanziario e burocratico(siamo in piena era fascista). Viene proposta di classificare il fosso in terza categoria così da far intervenire direttamente lo Stato ma le pratiche burocratiche non sono semplici.
Intanto nell’articolo si descrivono le modalità degli eventi di piena del fosso di San Giovanni:
“il suo bacino imbrifero è costituito da terreni a forte pendio, privi di qualsiasi vegetazione arborea e spesso con solcature irrazionalmente dirette secondo la pendenza del terreno, ne segue che durante le piogge intense le acque arrivano velocemente dai campi al fosso e all’abitato. I ponticelli costruiti in prossimità del viale IV novembre, delle altre vie secondarie, nonchè quello a monte del Viale di proprietà privata, hanno sezione insufficiente per il passaggio di questa ingente quantità di acqua che arriva in brevissimo tempo e l’acqua eccedente si riversa nel viale IV Novembre, via Giotto Ulivi e via Pananti”. Altra acqua per lo stesso motivo tracima dal ponticello allora presente in via Franceschi. Per i rimedi l’autore dice che “non è il caso di rivolgere l’attenzione né alla fognatura né all’aumento della luce dei ponti in Paese”(…) “bisogna impedire che le acque si riversino in paese nella quantità e nella maniera fino ad oggi seguita e non prepararsi a riceverle qualunque sia la loro entità”.
Le proposte di studio che vengono fatte sono due ovvero la deviazione delle acque del San Giovanni in altri fossi e ritardare l’afflusso delle acque nel fosso.

Per la deviazione con molta facilità e spesa non rilevante il fosso di San Giovanni potrebbe essere deviato nel fosso Rimorelli, che passa a valle del paese, all’altezza della nuova villetta Noferini alla Polveriera, così facendo circa un terzo delle acque che giungono in Paese verrebbero deviate.”
Per ritardare l’afflusso dell’acqua le proposte sono varie ,dall’invito ai proprietari frontisti ad una diversa lavorazione dei campi e alla piantumazione di alberi fino alla costruzione di piccoli invasi.
“All’altezza di Battiloro e del viadotto della Ferrovia per Pontassieve dovrebbero essere eseguiti due sbarramenti con creazione di due laghetti artificiali, tanto utili anche per l’agricoltura moderna. Detti laghetti dovrebbero invasare ,durante i periodi delle piogge alluvionali, ingenti quantità di acqua da inviarsi a valle in un secondo tempo.” L’articolo si conclude segnalando l’importanza di un intervento sulla Sieve il cui letto “ è in crescente e pauroso rialzamento”.
“L’ufficio del genio civile di Firenze ha studiato, sia pure in linea di massima, la sistemazione della Sieve da Bilancino al Ponte a Vicchio, da anni si aspetta la classifica dell’opera idraulica. Bisogna insistere anche in questo campo perché, ripetiamo, la sistemazione della Sieve è importante quanto e forse più della sistemazione del San Giovanni”.

Che la Sieve uscisse spesso dal proprio letto era dimostrato anche dalla presenza nei pressi di Borgo san Lorenzo a monte e a valle del paese di arginature perpendicolari al corso d’acqua con delle chiuse che poi servivano a far defluire le acqua verso il fiume una volta passata la piena. Erano opere idrauliche, tipo casse di espansione, che servivano a contenere gli effetti delle esondazioni che poi in epoca più recente sono state in parte abbattute per far posto ad un’agricoltura moderna con coltivazioni intensive lungo il fiume.

Mi fermo qui. Qualcuno leggendo questa storia parzialissima di alcuni eventi straordinari potrebbe pensare che quello che avviene oggi non è molto diverso da quanto hanno vissuto gli abitanti di Borgo nei secoli scorsi, anzi si potrebbe pensare che la situazione fosse in passato addirittura peggiore. Da quel tempo è cambiata la situazione dell’appennino oggi coperto da una fitta vegetazione, la creazione di alcune opere infrastrutturali da Bilancio a nuovi sistemi fognari, ma potrebbero non essere sufficienti a fronte delle conseguenze del cambiamento climatico. Nell’ultimo evento che ha interessato la piana campigiana e in parte anche il Mugello sono caduti da 140 a 160 mm di pioggia in circa 4 ore, è un dato che non ha riscontro in nessuna serie pluviometrica degli ultimi 100 anni, anche negli eventi qui descritti quella quantità di acqua cadeva in tre o quattro giorni. A questo si deve aggiungere il consumo di suolo e la sua impermeabilizzazione che riversano queste enormi quantità di acqua in fiumi e torrenti incapaci di contenerle. In questo caso si deve partire dall’agricoltura con lavorazioni che non favoriscano il veloce deflusso delle acque dalle zone collinari e montane e stabilendo il consumo zero come obiettivo delle prossime programmazioni urbanistiche che dovranno essere indirizzate al recupero edilizio e di aree dismesse evitando nuovo consumo di suolo che , ricordiamolo, regola il ciclo naturale dell’acqua, dell’aria e delle sostanze organiche e minerali .
L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali, contribuisce insieme alla diffusione urbana alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale e alla perdita delle capacità di regolazione dei cicli naturali e di mitigazione degli effetti termici locali” (Commissione Europea, 2012).

Leonardo Romagnoli

14.11.23

  1. In quel 1928 anche il Santerno a Firenzuola provocò seri problemi, nelle cronache si parla di rovina continua e lo stesso abitato di Firenzuola “ è minacciato da una tenaglia che procede dall’altezza della località le Fornaci verso il centro occidentale delle mura castellane e dall’altra parte minaccia il ponte sul Santerno e le mura di sostegno della via provinciale imolese nel tratto fra quel ponte e Firenzuola. Anche qui si richiedono lavori urgenti e si richiama un piano dell’ing, Emilio Sforazzini risalente addirittura al 1898 e mai attivato. Piano che richiedeva sistemazioni idraulico forestali di tutto l’alto bacino in destra Santerno, “considerando il male alla sua radice nelle sue cause che sono il depilamento dei monti fra la Futa e il Monte Beni e tutte le pendici che scendono a valle”.

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