Uomini, fiumi e suolo

Uomini, fiumi e suolo

 

 

 

 

 

Alberto Magnaghi, studioso e docente universitario scomparso qualche mese fa, in una riflessione dopo il disastro causato dalle piogge in Romagna scriveva :

“Ciò che serve, oltre al blocco radicale del consumo di suolo, è un sistema di progetti integrati, multisettoriali a livello di bacini e sottobacini idrografici, capaci di ridefinire globalmente le relazioni fra sistemi insediativi e ambiente, fra versanti e pianure.
Montagne (35%) e colline (41,6) costituiscono più del 70% del territorio italiano.
E’ qui che i terreni induriti dalla siccità prolungata, franano e scaricano improvvise e rapide valanghe di acqua e fango in pianure a loro volta impermeabilizzate, i cui fiumi e torrenti non smaltiscono più e allagano campi e città, con tempi di ritorno dei fenomeni sempre più frequenti.
Si impone dunque la priorità strategica di trattenere a monte le acque nei periodi di precipitazioni violente e realizzare in tempo di siccità un rapporto virtuoso di deflusso controllato delle portate richieste per mantenere il minimo vitale ecologico dei fiumi.
Realizzare questo duplice obiettivo è meno semplice che costruire casse di espansione e collettori lungo i fiumi principali: oltre che politiche idrogeomorfologiche, richiede trasformazioni urbanistiche, ambientali, agroforestali, infrastrutturali, socioculturali, paesaggistiche di sistemi collinari e montani, storicamente abitati da comunità agroambientali, costellati da reti di piccole e medie città, paesi, frazioni che, nonostante i fenomeni di spopolamento, mantengono ancora le ricche strutture patrimoniali del loro territorio.
Ciò richiede progetti e politiche che riguardino, ad esempio: sistemi di trattenimento delle acque di prima pioggia (de-impermeabilizzazione dei suoli, riattivazione di cisterne storiche, nuovi sistemi di recupero e stoccaggio urbano e rurale nei piani urbanistici; reti di piccoli invasi multifunzionali e regolazione dei reflui urbani); recupero dei terrazzamenti e delle infrastrutture boschive e dei coltivi (ripiani e strade sostenuti da muri a secco, ciglioni, lunette, canali, fossi, scoline), in funzione produttiva e di regolazione del deflusso delle acque; riqualificazione delle strutture idrauliche di bacino (rii, torrenti, borri, briglie, ecc); infrastrutturazione delle attività agricole per il trattenimento delle acque e estensione del ruolo delle aziende a funzioni di produzione di servizi ecosistemici e di «custodi del territorio», in primis degli equilibri idrogeologici. “

Questo impone un’attenzione alle aree interne che promuova nuove opportunità economiche per stimolare un ripopolamento a cui potrebbe contribuire anche il flusso migratorio.

Il primo provvedimento da attuare è comunque il blocco del consumo di suolo attraverso una legge nazionale in discussione da alcuni anni.
Per fare un esempio il 7,3 % di consumo di suolo della provincia diventa a Firenze il 41,9%, a Campi il 32%, a Sesto il 20,6 e a Signa il 22,1%. Se si percorre l’asta dell’Arno o la FI-PI-LI si trovano molti comuni con percentuali simili per poi arrivare sulla costa dove Forte de’ Marmi ha il 46,1 % di suolo coperto e Viareggio il 38,5%. Per Prato e la valle del Bisenzio il discorso è simile.
Nel Mugello i dati Ispra segnalano un consumo di suolo che può sembrare modesto con il 5,68% di Barberino, il 3,83% di Borgo san Lorenzo e il 4,99% di Scarperia e San Piero. In termini di ettari sono in totale, per questi tre comuni, 1.895.
Se un comune ha però solo il 20% del proprio territorio pianeggiante il 5 o 6% di suolo perso in edificazioni, asfalti , etc è un’entità tutt’altro che trascurabile.

Purtroppo nella programmazione urbanistica “il territorio è considerato un mero supporto tecnico inanimato, caricabile delle diverse funzioni necessarie allo sviluppo economico predefinito attraverso la suddivisione in zone: aree edificabili o trasformabili vs. aree interessate da vincoli di diversa natura; presenza di risorse più o meno ‘estraibili’; destinazioni residenziali, artigianali-industriali-commerciali, agricole. (…) la pianificazione continua in gran parte dei casi a ignorare il patrimonio territoriale, rinunciando a qualunque progetto di ottimizzazione dell’uso razionale del territorio e limitandosi a legittimare il consumo di suolo e i pagamenti da corrispondere agli enti territoriali.(marson).
Come ho già avuto modi di scrivere in altre circostanze se l’obiettivo programmatico del nostro territorio è quello di un distretto rurale e biologico a questo dovrebbero essere adeguate anche le previsioni urbanistiche tenendo conto dell’andamento demografico e dell’attuale patrimonio immobiliare inutilizzato. Già in occasione del rapporto 2017 di Ispra ricordavo che il suolo è una risorsa non rinnovabile per cui dovrebbe essere nell’interesse comune salvaguardarne la funzione ecologica e produttiva. Mentre il consumo di suolo impoverisce la collettività, la sua tutela può stimolare nuove opportunità economiche anche sotto il profilo edilizio.

Tornando alla citazione iniziale la realizzazione delle opere indicate da Magnaghi sarebbero sufficienti a mettere in sicurezza il territorio da un punto di vista idrogeologico e quindi dalle esondazioni che si sono verificate anche in questi giorni?
Si è citato Bilancino, che in questa circostanza avrebbe preservato Sagginale dalla piena (Su Firenze sarei più cauto), come esempio di infrastruttura indispensabile a questo scopo. Nel 2017 la regione ha presentato il Piano di laminazione per l’Invaso di Bilancino dove è espressamente scritto : “Fin da subito , però, è bene sottolineare che il bacino sotteso dall’invaso di Bilancino – scrivono gli autori- – rappresenta soltanto una minima parte dell’intero bacino della Sieve (149 kmq a fronte di 840 kmq, circa il 18%) e che a valle dell’invaso esistono almeno tre affluenti della Sieve (il torrente Carza, il Moscia e il san Godenzo) i cui deflussi contribuiscono in maniera decisiva ( soprattutto per quanto riguarda il Carza) alla formazione, ai valori di picco e ai tempi di trasferimento dell’onda di piena a valle.
Pertanto, sia per la porzione più a valle del fiume Sieve (verso l’immissione in Arno) che a maggior ragione per l’intera asta del fiume Arno, gli effetti benefici della laminazione delle piene operando sulla diga di Bilancino sono decisamente meno importanti”. Lo studio prevede quindi alcuni scenari di gestione dell’invaso per evitare di superare la quota di 200 mc/s al ponte di Annibale considerata la soglia critica e lo fa anche tenendo conto dell’eventuale apporto del Carza considerato l’affluente più significativo ( e pensare che dopo l’impatto dei lavori Tav il torrente ha per molti mesi l’anno portate poco significative , se non nulle, nella sua parte finale). Non vengo no citati ma ci sono altri affluenti molto significativi dal Levisone all’Ensa.

Infatti restano ad oggi ancora in piedi progetti per la realizzazione di casse d’espansione anche lungo la Sieve nel comune di Borgo san Lorenzo, Dicomano e Rufina (che sono servitù non da poco).
In occasione dell’addendum sull’alta velocità era prevista in Mugello la realizzazione di piccoli invasi soprattutto nella zona tra Borgo e Scarperia che sono stati via via ridimensionati nel corso del tempo e quelli attualmente in fase di progettazione hanno soprattutto una funzione agricola e non sembrano capaci di incidere sensibilmente in occasione di eventi meteo come quelli di queste settimane.

I corsi d’acqua hanno modellato nel corso della storia i paesaggi e i territori che poi l’uomo ha trasformato in senso abitativo e produttivo ma come dice Stefano Fenoglio “abbiamo perso quella conoscenza dei fiumi che ci ha accompagnato sin dall’alba della nostra storia e le conseguenze non sono da poco(…)non riconoscere o non voler considerare il comportamento dei fiumi ci ha portato ad esempio a costruire dove non dovremmo e quindi a incorrere in frequenti e ripetuti disastri.”(Uomini e fiumi – storia di un’amicizia finita male. Rizzoli 2023).

Nel suo utilissimo libro Fenoglio smonta luoghi comuni molto diffusi come quello che riguarda la vegetazione ripariale che , per alcuni dovrebbe essere completamente rimossa in quanto durante i fenomeni alluvionali alberi e altro materiale andrebbero a ostruire ponti provocando seri danni. “E’ vero che questo è un fatto che  spesso si verifica – scrive Fenoglio- ma sradicare tutto è la soluzione più semplice e anche la più sbagliata. In condizioni naturali, la vegetazione ripariale è formata da piante che si sono evolute negli ambienti fluviali, come ontani e salici(…) ben adattate alle variazioni di portata, con enormi apparati radicali di ancoraggio e fusti molto flessibili, difficili se non impossibili da sradicare”.Negli ultimi decenni, noi abbiamo progressivamente eliminato questi boschi ripariali soppiantandoli con specie che non c’entrano con gli ambienti fluviali e che durante le alluvioni vengono strappati dalle sponde. “la presenza invece di piante igrofile , cioè adatte alle ripe fluviali, non provoca danni ma al contrario dissipa l’energia rallentando le acque e quindi diminuisce la pericolosità degli eventi alluvionali”.


Un altro aspetto molto dibattuto riguarda le richieste di rimozioni massiccia e indiscriminata di ghiaia e sabbia dall’alveo dei fiumi per abbassarne il livello.
“Quali sono le basi tecnico scientifiche di tali asserzioni? Nessuna – risponde Fenoglio- anzi tutti i dati che abbiamo a disposizione dimostrano il contrario. In realtà il letto dei nostri fiumi non si sta sollevando e riempiendo di sedimenti, ma si sta al contrario abbassando (vale anche per la Sieve)”.
L’escavazione di sedimenti dall’alveo ha provocato l’incisione di vastissimi tratti della porzione planiziale dei corsi d’acqua, laddove il materiale inerte era più abbondante, e ha innescato un grandioso fenomeno erosivo che lentamente si sta spostando verso monte provocando il generale abbassamento dei letti fluviali che si ripercuote sulla stabilità anche dei ponti.

E’ avvenuto anche con la Sieve con la ricostruzione del dopoguerra quando il letto del fiume cominciò ad essere dragato, soprattutto nella zona fra Barberino e San Piero, la situazione peggiorò notevolmente quando iniziarono i lavori del tratto appenninico dell’autostrada del Sole, che richiese molti degli inerti menzionati per impastare il cemento necessario per i pilastri dei ponti e per le numerose gallerie, mentre la A1 cresceva l’alveo di scorrimento del fiume si abbassò in pochi anni di 3 o 4 metri e l’acqua comincio a scorrere in subalveo e a scarseggiare”(Masseini)
E durante gli eventi alluvionali anche negli anni 70/80 la Sieve in alcuni tratti erodeva le sponde con frane che incidevano in profondità i campi confinanti con il fiume. Alcuni dei danni più consistenti causati dalle forti piogge arrivano poi dal reticolo idrico minore con piccoli corsi d’acqua che con l’espandersi dell’urbanizzazione sono stati intubati provocando colli di bottiglia che portano le acque ad invadere le zone edificate.

Comunque , come scrive ancora Fenoglio, in un contesto così densamente popolato e artificializzato come il nostro territorio è sacrosanto intervenire laddove accumuli locali di sedimento oppure tratti di vegetazione spondale possono costituire un elemento di preoccupazione, mentre tutt’altro paio di maniche è invocare il dragaggio diffuso e l’estirpazione totale delle piante ripariali su interi reticoli idrografici(…) ciascun intervento deve essere ragionato, gestito caso per caso e specialmente condotto sulla base delle competenza tecniche e scientifiche e non sull’onda di spinte irrazionali e dogmatiche spesso alimentate da ignoranza o peggio ancora interessi economici più o meno mascherati”.
Dobbiamo recuperare un rapporto di rispetto verso la natura, in questo caso i fiumi, che nel corso degli anni abbiano ritenuto di poter superare con sole soluzioni tecnologiche e infrastrutturali.

Noi prendiamo senza ritegno e senza rispetto tutto quanto ci serve dai sistemi fluviali, non solo acqua ma anche spazio, energia, vita e biodiversità,(…) Oggigiorno il degrado degli ambienti fluviali, da noi stessi provocato, minaccia il nostro stile di vita, la nostra sicurezza e la sostenibilità del nostro sviluppo in una misura che molti non riescono ancora a vedere”(Fenoglio) Se non nel momento della tragedia. Non bisogna dimenticare che “i fiumi, forse più di ogni altro ambiente naturale, ci hanno aiutati a diventare ciò che siamo.”

Leonardo Romagnoli

9.11.23

la prima foto è stata scattata nel 1985 sulla Sieve prima di Borgo san Lorenzo

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