Una bella storia di integrazione che continua

Una bella storia di integrazione che continua

All’inizio di aprile la cronaca fiorentina di Repubblica ci ha raccontato un bell’esempio di integrazione e lavoro che ha coinvolto migranti africani nel territorio del Mugello.
Di questa vicenda si era occupato anche Il Filo nell’aprile di due anni fa riportando anche le foto della donazione dell’ambulanza di cui parla  uno dei senegalesi anche in questo articolo.

Per la verità di esempi in Mugello ce ne sono molti e positivi in vari settori economici dall’agricoltura ai servizi all’artigianato che non compaiono sulle pagine dei giornali perché rientrano nella “normalità” di una vera accoglienza e non alimentano episodi di cronaca nera che sembrano essere l’unico interesse di un certo modo di fare informazione.

Un po’ il famoso detto “ fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”.

La storia raccontata da Maurizio Bologni è molto significativa per i suoi risvolti umani ed economici e riguarda un gruppo di senegalesi che lavorano in un’azienda di Scarperia ormai da diversi anni con ruoli di responsabilità di gruppi di lavoro composti anche da italiani.

L’azienda è la Metalplus di Scarperia e San Piero che ha 300 dipendenti e un fatturato di 70 milioni di euro. Produce accessori metallici per i colossi della moda e tra i 300 dipendenti ci sono 50 senegalesi. Alcuni di questi dipendenti sono in azienda da molti anni e cinque di loro dirigono reaparti importanti come la galvanica o lo stampaggio. Ad esempio Mbaye Diop guida un reparto di 70 persone “ ma nel capannone, dove sono 150, italiani più che senegalesi, è riconosciuto e cercato come l’uomo della proprietà” precisa uno dei soci della Metalplus.
Questo bell’esempio di integrazione è molto conosciuto anche in Senegal tanto che in una recente visita privata in Toscana il ministro del lavoro e della gioventù del Senegal Pape Gorgui Ndong è venuto a Scarperia per visitarla.
Mabaye come tanti suoi connazionali è arrivato in Italia senza permesso e prima a Pontedera e poi a Firenze ha fatto un po’ di tutto dal venditore di accendini all’addetto alle pompe di benzina e infine operaio in un’azienda di stampaggio a Calenzano. Qui ha conosciuto uno dei proprietari della Metalplus che lo ha invitato a lavorare per loro. Dopo qualche titubanza Mbaye diventa dipendente Metalplus nel 2003 e in seguito chiama altri suoi connazionali.


“All’inizio non è stato facile – dice Diop – Scarperia è un paese piccolo, la gente non era abituata a vedere i neri in giro, giustamente i carabinieri ci controllavano spesso, e , soprattutto, nessuno voleva affittarci una casa.” Ci hanno pensato i proprietari dela Metalplus che hanno acquistato tre appartamenti. “ Ora tutto è cambiato – dice ancora Diop – i miei tre figli vanno a scuola con gli italiani, sono invitati a pranzo e accompagnati a calcio dai genitori degli amici quando io non posso. E così come me ci sono un’altra decina di senegalesi che vivono qui con la famiglia”.
Molti dei senegalesi che lavorano a Scarperia vengono dal villaggio di Thor che dista 50 km dal primo ospedale e se uno si sentiva male c’era solo l’auto usata che Diop aveva regalato ai suoi genitori. Per questo la Metalplus ha aiutato i propri operai ad acquistare un’ambulanza da donare al villaggio ed hanno anche sponsorizzato le maglie della squadra di calcio. Il legame con l’Africa è ormai così forte che hanno contribuito al trasporto della salma di Idy Diene ucciso al Ponte Vespucci a Firenze lo scorso anno.

Gli operai senegalesi , grazie ad un accordo aziendale, possono godere di 45 giorni di ferie consecutive per poter tornare periodicamente al loro paese e anche il rapporto con gli altri lavoratori italiani è positivo . “ Capiscono che non siamo in Italia per rubare il lavoro a qualcuno, ma per crearci una vita dignitosa – dice Mbaye Diop – lavorando sodo, pagando le tasse, rispettando le regole e disapprovando gli stranieri che non lo fanno.Per me l’anno più bello è stato il 2011 – dice commosso Diop – quando ho comprato casa a Scarperia insieme a mio fratello e ho ottenuto la cittadinanza italiana, come i miei tre figli”.
Un’altra storia è possibile.

LR

18.4.19

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