La nave di Ulisse

La Nave di Ulisse

di Leonardo Romagnoli

 

Ricordandoci, per esempio, che c’è un po’ di Mosè in ogni individuo che cerca di fuggire per vivere meglio altrove nell’interesse delle generazioni future.(S.Jesurum)

 

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In queste settimane ho cercato di inserire sulla pagina blog del sito una serie di articoli e riflessioni sul problema dei migranti, profughi o richiedenti asilo per cercare di fornire strumenti utili per capire il fenomeno, la sua complessità e arginare l’ondata xenofoba e razzista che si sta diffondendo anche in un paese di vecchia emigrazione come l’Italia e in zone in cui progetti di solidarietà e cooperazione hanno sempre trovato terreno fertile come il Mugello. Una buona parte di responsabilità ce l’hanno i mezzi di informazione che,  volontariamente in molti casi e involontariamente in altri, pongono l’accento solo sul degrado, la paura e le difficoltà anche quando queste sono limitate e affrontabili senza  attaccarsi per forza all’emergenza.  Trovo , per esempio, assurdo il “bollettino dei migranti” ogni volta che un piccolo gruppo viene accolto in una struttura pubblica o privata che sia, quando si fanno comunicati stampa sul lavoro volontario di alcuni di questi ospiti per la risistemazione di giardini e aree pubbliche, quasi a dire “vedete li ospitiamo ma loro lavorano per noi, non c’è pericolo!”. Ormai dal nimby ambientale siamo passati, in alcuni casi,  al nimby sociale o razziale con conseguenze devastanti per la futura convivenza. Ci possono essere situazioni problematiche, ce ne saranno anche di drammatiche, ma tutto ciò non giustifica le campagne di odio e paura su cui qualcuno pensa di costruire fortune politiche o giornalistiche. Si fa la guerra ai poveri e non alla povertà, si ha paura di chi fugge dalla violenza ma ci siamo assuefatti alla guerra.

La tanto criticata Germania che aveva già ricevuto 800.000 richieste di asilo ha deciso di aprire le frontiere ai profughi dimostrando un coraggio politico che onora l’Europa. In questo gesto come ha scritto Andrea Bonanni su Repubblica “ c’è la paura e la comprensione profonda, marchiata nei nostri geni, degli orrori della guerra da cui loro stanno fuggendo come noi siamo fuggiti settant’anni fa, c’è la vergogna per le sofferenze e le umiliazioni che hanno dovuto pagare in un paese , l’Ungheria, che pure si proclama europeo, c’è la memoria esaltante dell’ultima “grande fuga” liberatoria che ha costruito l’Europa : quella seguita al crollo del muro di Berlino e delle dittature comuniste. C’è l’empatia istintiva per chi arriva in un mondo nuovo e sorride, e ci vede luci di speranza che in noi si sono forse offuscate, ma soprattutto c’è l’orgoglio di dire: ecco non abbiamo costruito tutto questo, la pace,il benessere, la libertà, per chiuderli in una fortezza ma per offrirli a chi vuole capire e condividere i valori per cui ci siamo battuti. C’è, molto semplicemente, la soddisfazione e il coraggio non tanto di essere buoni, ma di essere giusti”.

Anche una squadra come il Bayern di Monaco, oltre ad aver donato più di un milione di euro per l’accoglienza, ha aperto i propri campi ai bambini e ragazzi migranti per farli giocare, ha offerto corsi di lingua e attività formative.

Dare asilo a chi scappa dalle guerre, signi­fica ripu­diare la guerra e costruire la pace.

Dare rifu­gio a chi scappa dalle discri­mi­na­zioni reli­giose, etni­che o di genere, signi­fica lot­tare per i diritti e le libertà di tutte e tutti.

Dare acco­glienza a chi fugge dalla povertà, signi­fica non accet­tare le sem­pre cre­scenti disu­gua­glianze eco­no­mi­che e pro­muo­vere una mag­giore redi­stri­bu­zione delle ricchezze.
Sono le parole di un appello sottoscritto da varie personalità della cultura e dello spettacolo italiane che sintetizzano bene il dovere dell’accoglienza. Come ha scritto Enzo Bianchi priore di Bose, “questa “emergenza” non è tale: è un fenomeno che durerà a lungo ed è contenibile nei suoi effetti solo con uno sforzo di solidarietà. La sua portata, del resto, è tale che mette in crisi ogni tentativo di respingerlo con la forza. L’Europa sembra in piena confusione, non più sicura dei suoi valori umanistici, delle sue lotte secolari per il riconoscimento dei diritti di ogni essere umano, in qualsiasi situazione si trovi. Ritrovare questi principi decisivi non è questione solo cristiana, è innanzitutto umana e, proprio per questo, cristiana: l’accoglienza è una responsabilità umana perché l’altro è uguale a me in dignità e diritti.” Ed un economista attento alle questioni sociali come Luigino Bruni ci ricorda che “smettiamo di essere civili, umani e intelligenti quando interrompiamo la pratica antichissima dell’ospitalità. E se l’ospitalità è il primo passo per entrare nel territorio della civiltà, la sua negazione diventa automaticamente il primo passo per tornare indietro verso il mondo dei ciclopi, dove regnano solo la forza fisica e l’altezza.”

Qualcuno di noi ha mai provato ad immedesimarsi nella realtà da cui vengono queste persone? Ha senso fare delle distinzioni tra profughi, richiedenti asilo o migranti? Sono innanzitutto persone e come tali devono essere trattate e accolte. Lo status giuridico è utile per attuare le dovute soluzioni ma non può incidere sul livello di umanità o solidarietà.

Belle parole dirà qualcuno ma poi ci sono i problemi di tutti giorni, la disoccupazione, la delinquenza, il degrado e ovviamente i primi responsabili sono gli “stranieri”. Anche in questo caso i richiami pleonastici che qualche giornalista fa alla “legalità” non c’entrano niente con l’accoglienza è solo un modo peloso per giustificare un modo di fare informazione che punta molto sull’ etnicità del reo, sulla sua appartenenza sociale. Non bisogna essere degli esperti per accorgersi come uno stesso reato viene trattato da certa stampa quando a commetterlo è un italiano o un “extracomunitario”. I reati li commettono le  persone( i popoli  o le nazioni di solito commettono i genocidi!) e come tali dovrebbero essere trattati. “Occorre affermare con chiarezza, di fronte alle lunghe marce dal sud del mondo verso un occidente  che si crede ricco e ospitale, che non c’è integrazione possibile senza legalità” ha scritto un direttore di giornale quasi che l’illegalità sia un prerogativa solo di chi arriva. Questo è falso ed anche un po’ “razzista”. Quando si citano le statistiche sui detenuti in Italia rilevando l’alta percentuale di extracomunitari si opera una lettura fuorviante in quanto si dovrebbe dire anche il perché. Solo in Italia ( e ora credo in Ungheria) c’è stato fino allo scorso anno il reato di clandestinità che è invece una condizione che una persona può trovarsi a vivere in un determinato momento( la famigerata legge Bossi-Fini) e l’altra legge demenziale  è la Fini-Giovanardi sulle droghe che ha pienato le carceri di consumatori e piccoli spacciatori condizione sicuramente più diffusa tra chi vive situazioni di marginalità.

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Ci sono anche dati interessanti che contrastano con il “senso comune” (sostenuto anche da qualche alto funzionario pubblico) per cui in galera non ci va nessuno. Premesso che per mandare in carcere chiunque è necessario un processo con prove “al di là di ogni ragionevole dubbio”, in Italia va in galera l’82% dei condannati, mentre in Inghilterra e Francia solo il 24% .” Il 61,5% dei detenuti ha una condanna definitiva, il 36,6% è in attesa di un giudizio definitivo e l’1,9% è sottoposto a misure di sicurezza. Dei 38.471 condannati detenuti in carcere, circa la metà (il 46,6%) deve scontare una pena inferiore a cinque anni.”(istat)

 

“Quanto al trattamento delle etnie minoritarie lo Stato italiano è forte coi deboli e debole coi forti” ha scritto Michele Ainis nel suo utile libro “la piccola eguaglianza” ricordando che nel nostro paese  esiste una situazioni di disuguaglianza razziale  anche per quelli con un contratto in regola e un permesso di soggiorno : “ a parità di mansioni un immigrato guadagna il 36% in meno rispetto ad un italiano e la crisi economica ha peggiorato questa discriminazione. Nel periodo 2004-07, i mutui concessi dalle banche agli immigrati rappresentavano l’8,2% del totale; nel quadriennio 2008-11 la quota è scesa al 4,5%(…)Li costringiamo a vivere in tuguri pagati a caro prezzo, sicchè il 34% versa in condizioni di disagio abitativo, contro il 14% degli italiani. Quando  va  bene perché gli stranieri formano inoltre la netta maggioranza dei senzatetto(67%). Temiamo che ci facciano del male, ma più di frequente siamo noi stessi ad aggredirli (ogni 25 ore uno straniero subisce un atto di violenza). (…) a un cittadino bastano 30 giorni per rinnovare il passaporto, a uno straniero ne servono 291 per rinnovare il permesso di soggiorno. Arranca sul reato di clandestinità, introdotto dal centro-destra (legge 94/09) : in sintesi, se perdi il lavoro perdi anche il permesso di soggiorno e a quel punto diventi tecnicamente un delinquente. Poi nel 2014 il parlamento ci ha messo una pezza depenalizzando l’immigrazione clandestina, però l’arresto viene mantenuto per quanti rientrano in Italia dopo un provvedimento d’espulsione. In breve la discriminazione viaggia sui vagoni piombati usciti dall’officina del diritto, a partire dalla Bossi-Fini, che gli ha reso la vita assai dura, per esempio ponendo limiti drastici ai ricongiungimenti familiari. Comminando l’arresto per chi dia lavoro ad un extracomunitario irregolare, riducendo la durata del permesso di soggiorno. Stabilendo l’obbligo di lasciare le impronte digitali  negli uffici di polizia ; siccome un obbligo analogo per gli italiani vale soltanto quando varcano il portone di una caserma o di un penitenziario, la novità legislativa equivale a considerare ogni straniero un criminale.” C’è poi il problema della partecipazione dei cittadini stranieri alla vita pubblica :”No taxation without representation, senza rappresentanza niente tasse, recita l’antico motto dei coloni americani, invece una riforma costituzionale del 2000 ha elargito il diritto di voto agli italiani residenti all’estero (anche se in Italia non ci hanno mai messo piede, anche se non pagano un euro di tasse), mentre nessuna riforma lo ha mai garantito agli stranieri residenti qui da molti anni. Insomma i nostri fratelli separati votano ma non pagano dazio, gli immigrati pagano e non votano. Nemmeno alle elezioni amministrative, dove si decidono le sorti della città in cui vivono, studiano e lavorano. Significa che il 5,3% della popolazione residente è condannata all’astensione dal voto. L’unico modo per uscire dal ghetto è diventare cittadini, ma anche questa è una via tutta in salita. La legge 91 del 1992 si basa sullo ius sanguinis(è cittadino chi sia figlio di almeno un genitore italiano), anziché sullo ius soli, come negli Usa( è cittadino chi nasca nel territorio dello stato). Dunque i figli degli immigrati nati in Italia, che frequentano una scuola italiana, che magari parlano dialetto siciliano o romanesco, rimangono stranieri in patria. Potranno chiedere la cittadinanza più avanti nel tempo, quando diventeranno grandicelli; tuttavia non è un diritto, è piuttosto una graziosa concessione delle autorità amministrative e per ottenerla servono 10 anni di residenza ininterrotta nel nostro paese, che nella pratica diventano almeno 13 anni. Ma non c’è nulla di nuovo sotto il sole., anche il fascismo additava lo straniero come un nemico potenziale, e lo teneva in stato d’incertezza circa la sua permanenza nel Paese.”  Se però lo straniero è un buon calciatore….

Quando i profughi vengono nominati solo tra virgolette quasi che fossero una moltitudine di profittatori siamo un passo avanti verso la discriminazione e si rischia di non comprendere la portata del problema: “i profughi nel mondo hanno raggiunto nel 2014 la cifra record di 59,5 milioni, di questi l’86% è accolto in paesi del cosiddetto terzo mondo. I paesi più coinvolti nell’accoglienza sono Turchia (1,59 milioni), Pakistan (1,5 milioni) e Libano (1,15 milioni). L’Unione europea è toccata dunque solo marginalmente da questi flussi: in realtà  talvolta una frangia dei movimenti di profughi riesce ad approdare sul territorio europeo, anche perché la Turchia a quanto pare non riesce o non intende più trattenerli. Spesso, particolarmente nel caso dei siriani, si tratta di classi medie o addirittura di benestanti travolti dalla guerra civile. Quanto alla sostenibilità, andrebbe ricordato che il Libano accoglie secondo l’Acnur 232 profughi ogni 1000 abitanti, la Svezia 9, l’Italia poco più di 2″(M.Ambrosini)

Marek Halter su repubblica ci  ricorda che “tra le conseguenze più nefaste che può generare la paura che in questi mesi attanaglia l’Europa c’è quella di renderci tutti più insensibili, o più cattivi, e di corrompere i valori con cui i nostri padri e i nostri nonni hanno forgiato la società democratica in cui viviamo”.

Un altro aspetto preoccupante generato dalla paura è la convinzione che chi viene “ruba” risorse ai pensionati, alle fasce povere della popolazione, “ruba” il lavoro agli italiani. Anche in questo caso i dati dicono cose molto diverse : “Molti studi, in realtà, dimostrano “dati alla mano” che l’impatto dell’immigrazione sulla finanza pubblica italiana è, tutto considerato, positivo e che il fenomeno migratorio rappresenta per molti versi un beneficio sul piano non solo dei conti pubblici, ma del sistema di welfare, del sistema previdenziale, del mercato del lavoro.Di particolare rilevanza è l’apporto degli immigrati al sistema previdenziale. Per farsi un’idea della centralità di questo tema basta far riferimento ai dati Eurostat sull’incidenza della spesa per prestazioni di vecchiaia sul totale della spesa statale destinata alla protezione sociale: in Italia, secondo paese UE con la più alta quota di popolazione anziana, la parte della spesa per prestazioni di vecchiaia sul totale della spesa destinata alla protezione sociale è la più elevata d’Europa e si attesta al 60, 5 %. In un settore della spesa pubblica così incidente sul totale non solo della spesa sociale ma della intera spesa corrente, l’immigrazione ha un importante effetto benefico e “riequilibratore” del sistema secondo i dati diffusi dall’Inps e dal dossier statistico Caritas Migrantes 2012. A fronte del versamento di circa 8, 3 miliardi di euro (di cui oltre 2,9 miliardi direttamente provenienti dai lavoratori stranieri) si osserva una spesa previdenziale di 1,5 miliardi di euro. Sembra evidente quindi che, attualmente, gli immigrati rappresentano dei “contribuenti netti”, cioè pagano contributi in misura più elevata di quanto ricevono in termini di prestazioni previdenziali. Tutto ciò è dovuto essenzialmente alla sfasatura temporale che si verifica tra il momento del versamento dei contributi e il momento della percezione della prestazione pensionistica. Per dirla con le parole di Moscarola e Fornero “ l’effetto transitorio è positivo poiché l’afflusso di immigrati ha un riflesso immediato sull’occupazione, e perciò sulle entrate contributive del sistema previdenziale, mentre ha un effetto “ritardato” sulla spesa, mediamente sfasata di circa 30/35 anni rispetto al versamento dei contributi”.  Nei paesi Ocse in media gli immigrati assorbono il 2% dei fondi per l’assistenza sociale, l’1,3% dei sussidi di disoccupazione e lo 0,8% delle pensioni (in Italia addirittura lo 0,2%). Ciò significa che molti immigrati versano i contributi per le pensioni ma poi non la riscuotono contribuendo però all’equilibrio del sistema.Molto spesso i lavoratori immigrati non ricevono indietro le risorse che hanno versato perchè tornano nel loro paese d’origine senza aver maturato i requisiti minimi richiesti per richiedere l’assistenza previdenziale e come ha scritto l’attuale direttore dell’Inps Boeri “con molti paesi non ci sono accordi bilaterali per trasferire i contributi (ammesso che ci sia un ente previdenziale a cui trasferirli). Molti immigrati non conoscono i loro diritti e quindi non presentano domanda anche se idonei a richiedere servizi previdenziali”.

Lo stesso vale per il lavoro “gli immigrati tendono a occupare i posti di lavoro che chi è nato in occidente preferisce abbandonare e su quei lavori pagano le tasse.(…)Gli stranieri hanno pagato circa 6,8 miliardi di euro di Irpef nel 2014, su redditi dichiarati per oltre 45 miliardi e la fondazione Leone Moressa ha calcolato che il rapporto costi-benefici dell’immigrazione per l’Italia è largamente positivo: le tasse pagate dagli stranieri(fra fisco e contributi previdenziali) superano i benefici che ricevono dal welfare nazionale di quasi 4 miliardi di euro”(M.Ricci)

Con questo nessuno deve nascondere che affrontare il problema che ci troviamo di fronte è complesso e richiede capacità politica , senso di umanità , coordinamento e cooperazione a livello europeo.

 “ La storia dell’Europa – ha scritto Andrea Bonanni-  è quella di un perenne confronto tra le sue due anime: paura , rabbia e disprezzo da una parte; speranza, rispetto e solidarietà dall’altra. La tragedia dei migranti ci costringe a ancora una volta a scegliere, non ci sono vie di mezzo : non si può accogliere i migranti avendone paura, non si può respingerli fingendo di rispettarli. Non solo i nostri governi, ma tutti noi, nelle nostre case, davanti ai nostri televisori, sulle piazze delle nostre stazioni prese d’assalto, dobbiamo scegliere. I leader di domani saranno quelli che ci aiuteranno a farlo”, gli altri rischiano di farci rivivere gli incubi del peggior 900.

Dall’utopia dell’Europa senza frontiere alla distopia di un futuro fatto di muri ed esclusione. La democrazia può fare una sola scelta senza paure.

 

Leonardo Romagnoli

8.9.15

 

 

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