“IL PAESE DEI PARADOSSI”

“IL PAESE DEI PARADOSSI”
INTERVENTO SVOLTO  da  PAOLO COCCHI ALL’INIZIATIVA DI
MERCOLEDI 4 MAGGIO

cocchi

Un celebre paradosso filosofico, attribuito a Zenone, afferma che Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga che cammina lentamente di fronte a lui perché, quando egli arriverà nel punto in cui si trovava la tartaruga nell’istante di inizio della sua rincorsa, essa avrà già compiuto un piccolo passo in avanti. E così via all’infinito. Se provate a immaginarvi la rincorsa troverete impossibile che Achille superi la tartaruga. Però noi sappiamo che così non è, nella realtà.
Il paradosso è un tipo di ragionamento impeccabile nelle sue premesse e nel suo svolgimento che conduce però a conclusioni che esperienza e buon senso ci dimostrano sbagliate.
Stasera mi è toccato il compito di riflettere sui rapporti tra politica, giustizia e informazione nel nostro paese. Rapporti che molti giudicano anomali. Vorrei argomentare che le anomalie riscontrabili sono classificabili sotto la specie del paradosso. La situazione italiana cioè non è solo anormale, o anomala, bensì paradossale.
Con ciò voglio intendere una situazione nella quale, nella realtà, le azioni producono un effetto opposto a quello che i principali attori politici, sociali, istituzionali dichiarano di voler perseguire: la sete di giustizia produce ingiustizia, la lotta alla corruzione favorisce la cattiva politica, la richiesta di informazione e trasparenza produce sistematica distorsione della verità. Le migliori intenzioni, di cui tanti si dicono armati, entrano in una particolare e paradossale alchimia che produce risultati inattesi. Tanto che la situazione italiana attuale appare peggiore e non migliore di quella esistente nella tanto deprecata Prima Repubblica.
La situazione paradossale non è più o meno grave della situazione anormale. E’ una situazione diversa. L’anormalità si può correggere attuando le giuste soluzioni, i correttivi che ristabiliscono la norma. Nel paradosso le giuste soluzioni sembrano aggravare il male.
Vorrei fare alcuni esempi.
La giustizia è lenta e i processi sono lunghi? Sembrerebbe che ci fossero troppi procedimenti e pochi magistrati. La soluzione quindi consisterebbe nel dotare la magistratura di maggiori mezzi e nel rafforzare il lavoro inquisitorio. Ma il buon senso sospetta che questo avrebbe il risultato paradossale di far crescere il lavoro giudiziario e tutte le sue inappropriatezze, in una rincorsa all’infinito verso una giustizia perfetta che non sarebbe mai raggiunta. Achille e la tartaruga.
La politica è corrotta? Bisognerebbe intentare un processo, almeno una volta, almeno a titolo preventivo, per tutti i politici così da certificarne la natura. Questa è la tentazione del giustizialismo. Ma si tratta di un altro paradosso. La cultura della sfiducia e del sospetto è il paradiso dei corrotti, di coloro che fingono, si nascondono, mentono, dei Don Rodrigo di sempre, che prosperano nel caos e nel qualunquismo.
E l’informazione? Pochi, se interrogati in privato, si fidano di ciò che scrivono i giornali. Ma siamo comunque grandi consumatori di notizie. Come far sì che il consumo di notizie aiuti il lettore a capire e non invece a rispecchiare le sue angosciose attese, i suoi pregiudizi, ciò che egli vuole sentirsi dire? In fondo è lui che “compra” la notizia e il cliente ha sempre ragione. I giornali devono vendere. La “fame” di trasparenza sotto forma di notizie, produce disinformazione. Un altro paradosso.NAVE COSTA: PROCURATORE IN TRIBUNALE PER UDIENZA GIP
A Barberino, come ha ricordato Giampiero, alcuni cittadini in guerra contro il comune per interessi molto privati, usando l’arma della denuncia approssimativa e gratuita, talvolta della diffamazione anonima, è riuscito a mandare in onda, complici i giornali, la magistratura, un’opinione pubbica distratta e una politica debole, un teleromanzo criminale che per sei anni ha raccontato una realtà inesistente. Completamente inesistente. Inventata di sana pianta.
Il danno che ne hanno ricavato alcuni di noi è poca cosa se commisurato al danno pubblico: ingenti risorse sprecate; cittadini ingannati sulla realtà dei fatti; una comunità civile e la sua storia recente, infangate; cinque anni di immobilismo amministrativo.
Bisogna chiedersi come è stato possibile.
Io penso che quando la realtà viene falsificata e la verità non riesce a farsi strada vuol dire che si vuole il falso. Lo si desidera. Lo si preferisce alla realtà.
L’esito del 16 marzo, l’assoluzione, è sempre stato l’unico possibile. Nessuno di noi, nessuno dei nostri avvocati ha mai dubitato che, alla fine, l’impianto accusatorio si sarebbe dissolto.
Tutti i giudici preliminari che hanno esaminato le imputazioni, fin dal lontano 2010, le hanno giudicate inconsistenti. C’è stato persino un giudizio di proscioglimento in istruttoria, nel 2013 che non è servito a nulla. Nonostante questo ci siamo trascinati fino a un processo inutile e costoso. Anzi, a un certo punto, abbiamo avuto l’impressione che l’accanimento, dei magistrati, di certa stampa (non tutta), crescesse quanto più l’impianto accusatorio si dimostrava debole.
Anche i pubblici ministeri possono sbagliare. Succede che un medico dimentichi il bisturi nella pancia di un paziente. Ma in un sistema sanitario che funziona il medico risponde del suo operato e, soprattutto, non ci vogliono sei anni per rimuovere il corpo estraneo.
Quello che voglio dire è che, riflettendo, mi ha colpito l’incapacità del sistema giudiziario di arrestarsi in tempo, di auto correggersi, di ammettere i propri errori prima che questi diventassero una gigantesca forza inerziale.
Mi ha colpito anche l’incapacità del sistema informativo di rappresentare la realtà nelle sue sfumature. Gli articoli sembravano scritti da una stessa mano: stereotipati, pieni di cliché, fabbricati in serie. Nessuno spazio per le argomentazioni a difesa. Mai una tesi “innocentista”. A parte quella, inascoltata, di Leonardo Romagnoli.
Mi ha colpito, a un certo punto, anche che giudici coscienziosi, attenti, scrupolosi, siano stati messi lungamente a tacere da chi determina la regia dello spettacolo della giustizia: i giornali, i pubblici ministeri, le aspettative del pubblico. So di dire una cosa grave, ma è ciò che penso. C’è una parte della magistratura che è vittima dell’ansia giustizialista, che è vittima del paradosso che essa genera.
Quello che è capitato a noi non doveva accadere. E se doveva proprio accadere, giacché sbagliare è umano, doveva essere corretto rapidamente. Non trascinarsi per sei interminabili anni.Palazzo di giustizia a Firenze, tribunale
In questi anni siamo stati, di fatto, ridotti al silenzio. Non solo perché le “ragioni” innocentiste non riuscivano a farsi strada ma anche perché, se un politico critica la magistratura, nel nostro paese, viene iscritto d’ufficio al partito degli impuniti, dei prepotenti, dei difensori della “casta”. Di fatto, non è possibile criticare la magistratura sostenendo nel contempo le ragioni di una politica pulita. Anche questo è un paradosso.
A questo punto sarebbe corretto chiedersi cosa ha determinato questa situazione e come uscirne?
L’Italia è un paese profondamente diviso. Lacerato da rancori prima ancora che da conflitti sociali. Impoverito, teme, a ragione, di non farcela. E’ un paese impaurito. Per questo ovunque si gonfia il petto, ci si arrabbia, si accusa e, alla fine, si scelgono politici strafottenti e gagliardi che promettono moltissimo, che rilanciano sempre senza mai spiegare l’origine vera delle difficoltà attuali. E’ un paese che non sente più il bisogno di comprendere il proprio passato. E’ un paese che preferisce incolpare il passato senza capirlo. Cerca capri espiatori, scorciatoie. E’ un paese che cerca, disperatamente, di farsi più “furbo” e non migliore.
Per essere accettati in politica occorre trasmettere un messaggio di assoluta novità. Bisogna presentarsi e dire: con me, tutto sarà diverso, io sono il nuovo, ho rotto con il passato, l’ho dimenticato, superato, rottamato.
Il ritmo di ricambio delle classi dirigenti è diventato frenetico. Almeno in superficie, perché, sotto la superficie, sopravvive molta classe politica nient’affatto nuova, indifferente alle idee ma eterna nel potere, con un guardaroba pressoché infinito di completi per tutte le stagioni. Anche qui un paradosso.
Grazie anche a questo nuovismo, i partiti in Italia sono stati distrutti. E con essi le tradizioni culturali che essi rappresentavano. Queste culture erano strumenti di lettura della realtà. Non recepivano soltanto. Limitavano il trasformismo e obbligavano a un minimo di coerenza e di disciplina. Orientavano. Educavano. I partiti “personali” di oggi, intitolati al leader di turno, sono organismi amorfi, deboli, in balìa totale degli umori evanescenti di un elettorato disorientato e sfiduciato.barberino
Con una democrazia più solida e più consapevolmente partecipata, come ad esempio quella vigente in Italia alcuni decenni fa, un caso come il nostro sarebbe stato più difficile. Anche allora c’era chi usava il chiacchiericcio qualunquista contro la politica onesta. Ma l’organizzazione politica della società aveva capacità di filtraggio e di discernimento maggiori. Diceva Manzoni, il cattolicissimo Manzoni che credeva nella Divina Provvidenza, che non sempre ciò che viene dopo è un progresso. L’Italia di oggi, nonostante i lavacri, le rottamazioni, i ripetuti resettaggi della memoria, la sete conclamata di onestà, non pare migliore dell’Italia di ieri.
E’ un quadro pessimistico? Può darsi. Quale può essere la soluzione?
Limitare i poteri dei pubblici ministeri? Disciplinarne l’operato con una legislazione che ne amplifichi le responsabilità? Separare le carriere? Limitare la libertà di stampa? Filtrare la pubblicazione delle notizie relative alle inchieste giudiziarie? Limitare le intercettazioni telefoniche?
Ognuna di queste misure è stata proposta ed è oggetto di dibattito. Personalmente non so cosa pensarne. Ma qualcosa mi dice che ciascuna di queste misure, nella situazione paradossale in cui ci troviamo, finirebbe per sortire risultati sbagliati.
Nessuno di noi vuole che sia lasciato maggior spazio ai corrotti. Anzi, la brutta esperienza in cui siamo incorsi ci fa desiderare ancora di più una politica rigorosa in cui tra corrotti e onesti si possa tracciare una linea riconoscibile. Senza zone grigie, senza confusioni, senza giustizialismi indiscriminatamente accusatori. Perché solo così è possibile una convivenza civile.giardini barberino
Io credo che le soluzioni non stiano più nella politica, anzi, per essere precisi, nel “quadro politico”. Il quadro politico ha consumato le sue carte, è debole, è succube del meccanismo sociale che produce una falsa coscienza e false soluzioni, false immagini della realtà. Le soluzioni non stanno nemmeno nei mezzi di informazione, mercificati, lontani da ipotesi di sfida critica dei pregiudizi e di intervento sociale. Le soluzioni non stanno nemmeno in un’autoriforma della giustizia perché questa corporazione è stata sovraesposta, incaricata di compiti impropri ed è incapace di ricollocarsi con le proprie forze in un ambito di normalità.
Di fatto, una discussione costruttiva su come dovrebbero funzionare giustizia, politica e informazione in Italia, non mi pare possibile.
Io non so dove possa essere la soluzione. Forse in un cataclisma, in una rottura improvvisa. Qualcosa che obblighi a un mutamento di punto di vista, a una riforma intellettuale e morale, a un rinnovamento culturale e civile. Tutte vecchie idee del passato in cui, mi rendo conto, è difficile credere.
Ma so anche che le cose non si fermano e che il domani può portare ciò che oggi non è nemmeno possibile immaginare. La mia immaginazione riformatrice è, per il momento, spenta. Quello che non è spento è il desiderio di un’Italia migliore.

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