Reagan alla decima potenza, di Thomas Picketty

Reagan alla decima potenza,

di Thomas Picketty

Trump è un UFO nella storia americana, o può essere considerato come la continuazione di tendenze di lungo periodo? Mentre non vorremmo in alcun modo negare le specificità di ‘Donald’, inclusa la sua inimitabile arte del tweet, dobbiamo ammettere che prevalgono gli elementi della continuità.

Il programma fiscale che ha appena discusso nel Congresso è eloquente. Esso può essere sintetizzato in due misure: riduzione della tassa federale sul reddito sui profitti di impresa dal 35% al 15% (una aliquota che a Trump piacerebbe anche vedere applicata agli imprenditori singoli come lui stesso); una liquidazione completa della tassa di successione. Questo programma è chiaramente la diretta prosecuzione del programma di “rottamazione” della tassazione progressiva lanciata da Reagan negli anni ’80.

Facciamo un passo indietro. Allo scopo di contrastare la crescita dell’ineguaglianza e l’eccessiva concentrazione della ricchezza (all’epoca considerate come il contrario dello spirito democratico dell’America) ed anche di evitare ogni somiglianza con la Vecchia Europa di un tempo (considerata dall’altra parte dell’Atlantico e durante la Belle Epoque,peraltro giustamente, come aristocratica ed oligarchica), tra il 1910 ed il 1920, gli Stati Uniti stabilirono un livello di tassazione progressiva, sino ad allora sconosciuta nella storia. Questa importante esperienza di compressione delle ineguaglianze comportò sia la tassazione dei redditi (tra il 1930 ed il 1980 l’aliquota applicata ai redditi più alti fu in media dell’82%) che dei patrimoni (con aliquote che salirono sino al 70% per la trasmissione delle più ampie proprietà).

Tutto questo cambiò con l’elezione di Reagan nel 1980: nel 1986 la riforma ridusse l’aliquota più elevata della tassa sui redditi ed ignorò le politiche sociali stabilite dal New Deal sotto Roosevelt. Queste politiche venivano accusate di aver “ammorbidito” e di aver aiutato coloro che durante la guerra avevano perso terreno nel rimettersi ‘in pari’. Ma Reagan lasciò una elevata tassazione sulle imprese ed aliquote progressive di tassazione sui patrimoni immobiliari. Trent’anni dopo Reagan e dieci anni dopo il primo tentativo di Bush junior di abolire le cosiddette “imposte sulla morte” [1], nel 2017 Trump ha lanciato una nuova ondata di regali sulle fortune più grandi e più ricche, e tutto questo dopo aver abolito la riforma sanitaria di Obama.

Ci sono discrete possibilità che egli venga seguito dal Congresso. I repubblicani, naturalmente, cercheranno di aggiungere una “meccanismo di adeguamento ai confini” consistente nell’autorizzare deduzioni sui profitti tassabili nelle esportazioni e, di converso, nel proibire le deduzioni sulle importazioni (il ben noto piano Ryan). Questa inedita fusione della tassa sulle imprese e di una Imposta sul Valore Aggiunto di stile europeo ha già attirato la rabbia del WTO (cosa che fa piacere a Trump), ma anche degli importatori (ad esempio i supermercati della Walmart), che sono più problematici. Teoricamente la misura potrebbe essere neutralizzata da una crescita di valore del dollaro, ma in pratica i tassi di cambio sono determinati da tanti altri fattori e nessuno vuole correre il rischio.

È probabile che coloro che si sono preoccupati verranno tranquillizzati con specifici obbiettivi per le importazioni e le esportazioni (con l’intenzione di trasmettere il messaggio che i repubblicani difendono l’industria americana meglio dei democratici, che sono dipinti come il rifugio di chi commercia e come sempre pronti a dar tutto i messicani e a tutte le altre popolazioni gelose che circondano l’America), e che un compromesso verrà trovato sia per le imposte sui patrimoni che per una massiccia riduzione dell’aliquota sui profitti d’impresa delle società, che senza dubbio si collocherà tra il 15% e il 20%, il che può rilanciare politiche di dumping fiscale in Europa e nel mondo.

Resta la principale domanda: come può un programma che è così chiaramente a favore dei ricchi ed antisociale riuscire ad attrarre la maggioranza degli americani, come è accaduto nel 1980 e nel 2016? La risposta classica è che la globalizzazione e la competizione accanita tra i paesi porta al regno nel quale ognuno si fa i propri interessi. Ma non è una risposta sufficiente: dobbiamo aggiungere l’abilità dei repubblicani nell’utilizzo della retorica nazionalista, nell’alimentare una certa misura di prevenzione contro l’intellettualismo e, soprattutto, nell’esacerbare le divisioni etniche, culturali e religiose.

Come agli inizi degli anni ’60, i repubblicani hanno cominciato a trarre beneficio dal trasferimento del voto dei bianchi e delle classi lavoratrici del Sud, irritati dal movimento dei diritti civili e dalle politiche sociali, accusate di favorire principalmente la popolazione di colore. Questo spostamento di lunga durata e in profondità continuò con la vittoria di Nixon nel 1972 (di contro al democratico McGovern, che suggeriva la messa in atto di un reddito universale di base al livello federale, finanziati da un nuovo incremento delle imposte sui patrimoni, che era il culmine del Programma Roosevelt), con quella di Reagan nel 1980 e finalmente con quella di Trump nel 2016 (che non ha avuto alcuna esitazione nello stigmatizzare il sistema di assistenza sanitaria di Obama, come avevano fatto Nixon e Reagan in precedenza).

 

Nel frattempo, l’elettorato democratico si è concentrato sempre di più nella maggioranza delle persone con istruzione superiore e nelle minoranze, alla fine in qualche modo assomigliando all’elettorato repubblicano della fine del 19° Secolo (i bianchi di fascia alta ed i neri emancipati), come se la ruota avesse compiuto un circolo intero e la coalizione rooseveltiana, che univa le classi lavoratrici al di là delle differenze razziali, fosse stata in ultima analisi soltanto una parentesi.

Speriamo che l’Europa, che è in qualche modo minacciata da un tale sviluppo, con le classi lavoratrici che hanno maggiore fiducia per la loro difesa nelle forze ostili all’immigrazione, piuttosto che in coloro che si presentano come progressisti – sarà capace di imparare dalle lezioni della storia. E che l’inevitabile fallimento sociale del ‘trumpismo’ non conduca il nostro ‘Donald’ ad una corsa militare e nazionalista a capofitto, come accadde ad altri prima di lui.

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