Lo ius soli è la via italiana all’integrazione. Parola di un sindaco di destra

Lo ius soli è la via italiana all’integrazione. Parola di un sindaco di destra

Mellone, sindaco di Nardò, vuole la legge sullo Ius Soli, che non è un’apertura indiscriminata all’immigrazione, ma una via italiana all’integrazione. Da valutare seriamente

4 Settembre 2017
www.linkiesta.it

Merita di diventare un caso la presa di posizione del sindaco Pippi Mellone – Nardò, Puglia – che salta le barriere della paura e del politicamente corretto per lanciare un appello ai suoi colleghi: «Svegliatevi! Prendete la parola! Sprecare il dibattito sullo Ius Soli è un peccato mortale. Negare il futuro ai meridionali non è servito a far crescere l’Italia. Negare il futuro agli “italiani di fatto” non servirà a dare più diritti agli altri italiani». Merita di diventare un caso perché mai appello fu più in controtendenza con i tempi e con il racconto mediatico che ci descrive i sindaci come primi “nemici” della riforma. E chissà che non abbia un seguito: quanti sono i primi cittadini stufi delle manipolazioni della paura che li obbligano a inseguire fantasmi, ad adeguarsi a schemi emergenziali che non sentono loro, a “tradire” parti importanti dei loro elettorati?

Il sasso di Pippi Mellone è lanciato in un autentico stagno. La riforma dello Ius Soli temperato, approvata alla Camera nel 2015, doveva andare al voto in Senato nel luglio scorso. Si è rinviato a settembre e adesso si profila un ulteriore slittamento a fine novembre, dopo la legge di bilancio (che partirà a Palazzo Madama). Ma a quel punto è facile immaginare che basterà un minuscolo incidente di percorso per far saltare tutto. Legislatura finita, se ne parla al prossimo giro. Il premier Paolo Gentiloni ha cercato di riaprire la partita indicando la riforma come priorità, ma è difficile immaginare che in piena campagna elettorale a sinistra ci sia il coraggio di affrontare un tema così spigoloso, già da tempo bollato dal mainstream della comunicazione e dall’allarmismo leghista come “incentivo all’invasione”. Fra l’altro, sia Angelino Alfano (ormai incatenato al Pd dall’accordo elettorale in Sicilia) sia il Movimento 5 Stelle si sono sfilati. La legge che prima gli piaceva, ora non gli piace più. E il colpo di grazia l’ha data l’estate degli sgomberi, degli stupri, delle polemiche sugli sbarchi, che ha portato la politica a silenziare persino la voce del Papa, alla quale i partiti italiani di solito sono molto attenti.

Eppure le nuove norme sulla cittadinanza con l’arrembaggio alle coste italiane non c’entrano niente, né tantomeno con la gestione dell’ordine pubblico. Anzi, sono indicazioni che premiano chi ha scelto vie legali per vivere e lavorare nel nostro Paese e si è impegnato per farlo al meglio. Non sarebbe nemmeno corretto definirle “Ius Soli” perché in realtà subordinano la cittadinanza a criteri molto più stringenti del luogo di nascita. Il primo capitolo della legge dispone che un bambino nato in Italia da genitori extracomunitari diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni, dichiara un reddito non inferiore all’assegno sociale, vive in una casa rispondente ai criteri di idoneità, supera un test di conoscenza dell’italiano. È insomma un ottimo sprone per le madri e i padri stranieri a “stare in regola” a vantaggio dei loro figli. Il secondo dispositivo della legge (“Ius Culturae”) passa attraverso il sistema scolastico italiano e offre l’opportunità della cittadinanza a tutti i bambini arrivati in Italia molto piccoli, che hanno fatto le elementari e le medie qui e non hanno probabilmente mai conosciuto altri Paesi. I più grandicelli, quelli entrati nel nostro Paese tra i 12 e i 18 anni, potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Insomma, la legge scommette su una sorta di via italiana all’integrazione – trasformare gli “italiani di fatto” in “italiani di diritto” – accorciando il calvario burocratico di persone che comunque avranno accesso alla cittadinanza ma con le norme attuali ci arriveranno a 20 o 22 anni, dopo essersi sentiti “stranieri in patria” per tutta l’età che forma il carattere e le personalità. Secondo i calcoli della Fondazione Leone Moressa sono 634.592 i nati in Italia da genitori stranieri dal 1999 a oggi: molte delle loro famiglie rispondono ai requisiti di legge (reddito, casa, padronanza della lingua). Per quanto riguarda lo ius culturae, i numeri sono più piccoli: 166.008 i ragazzi stranieri che hanno completato almeno cinque anni di scuola in Italia. Hanno “l’Italia nel cuore”, come dice Mellone? Si sentono “cittadini” al 100, all’80 o al 50 per cento? In ogni caso, come ben sanno tutti gli i sindaci d’Italia, resteranno per la maggior parte qui, tra noi, nei nostri Comuni, a studiare, a lavorare, a pagare le tasse, a sposarsi e costruirsi la loro vita. Tra qualche anno, quando saranno adulti, non sarà un bene per nessuno averli trattati come esuli perenni, gente di serie B, romani, bolognesi o napoletani per il fisco e la scuola ma stranieri per tutto il resto.

Vedremo se l’esortazione del sindaco di Nardò aiuterà altri sindaci italiani ad uscire allo scoperto. Mellone fra l’altro parla senz’altro con cognizione di causa. Il suo comune non si limita ad ospitare qualche decina di richiedenti asilo: è una delle “capitali” italiane del bracciantato agricolo d’importazione, con migliaia di lavoratori di colore arruolati ogni anno per la raccolta di frutta e verdura. Ha visto le rivolte dei neri del 2011, ha respirato le paure di una comunità che si è sentita assediata per anni dallo “straniero”, e sentirsi dire proprio da lui – che viene da destra – “lo Ius Soli ci serve, serve a noi sindaci, è un passo obbligatorio” è una provocazione inaspettata ai molti che, a sinistra o al centro, magari la pensano alla stessa maniera ma non hanno più il coraggio di dirlo.

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