Le 3 lezioni di Chernobyl (e di Fukushima)

Le 3 lezioni di Chernobyl (e di Fukushima)

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C’è un motivo se l’anniversario di Chernobyl cade nella serata di oggi, e non due giorni fa. 

E c’è un altro anniversario, quello della radioattività lasciateci in eredità da Chernobyl, che cadrà tra due mesi.

Di Dario Faccini

Con in trascorrere degli anni si consolidano leggende. Come quella degli errori umani e della sicurezza intrinseca dei reattori. O come quella della competenza e trasparenza delle operazioni.

Invece due incidenti nucleari a distanza di 25 anni l’uno dall’altro, raccontano una storia diametralmente opposta.

SENZA ELETTRICITÀ, UN REATTORE NUCLEARE “APPENA SPENTO”… ESPLODE.

La fissione nucleare crea nel reattore un gran numero di sottoprodotti instabili che decadendo contribuiscono  a generare calore (circa il 5% del calore prodotto durante la normale attività). In caso di arresto di emergenza, il sistema di raffreddamento del reattore deve continuare a garantire l’asportazione di questo calore residuo per molti giorni, altrimenti il suo accumulo porta inevitabilmente alla rottura del contenimento e al danneggiamento delle barre di controllo, senza le quali può riprendere la fissione del combustibile in una reazione incontrollata. Siccome i sistemi di raffreddamento tradizionali sono ad acqua, serve l’energia elettrica per mantenere in funzione le pompe. Ma una centrale nucleare con i reattori in shutdown non produce elettricità, quindi servono altre fonti interne (batterie nei primi minuti mentre si avviano i generatori a diesel) ed esterne (rete elettrica).

Il reattori russi di tipo RBMK all’inizio degli anni ’80 soffrivano proprio di un problema di questo tipo, che era diventato un cruccio per i Russi: non aveva un impianto a batterie in grado di fornire energia elettrica nei 60 secondi che servivano ai generatori diesel per entrare in funzione e fornire l’energia elettrica per il funzionamento delle pompe. Da qui  una domanda che si rivelerà fatale: sarebbe stato possibile, in caso di spegnimento di emergenza del reattore, utilizzare l’inerzia nella rotazione della coppia turbina-generatore per avere abbastanza elettricità da mantenere attive le pompe del raffreddamento del reattore in quei 60 secondi? L’unico modo per saperlo era quello di effettuare degli esperimenti. I primi tre fallirono, il quarto fu pianificato per il giorno 25 Aprile 1986 in concomitanza con uno spegnimento programmato per manutenzione del reattore 4 di Chernobyl. Per una richiesta di energia da parte del regolatore della rete elettrica fu realizzato solo nelle prime ore di Sabato 26.

L’esperimento prevedeva di portare il funzionamento del reattore ad una potenza di circa un quarto rispetto a quella nominale, al di fuori dei parametri di lavoro e disattivando vari dispositivi automatici di sicurezza. Una manovra probabilmente troppo veloce nell’abbassare la potenza portò quasi all’arresto del reattore. A questo punto sarebbe stato meglio fermare l’esperimento, poiché la riaccensione del reattore sarebbe stata ostacolata da un effetto noto comeavvelenamento del reattore che tende a contrastare temporaneamente la reazione di fissione nucleare. L’esperimento invece proseguì, con la disabilitazione del sistema automatico di gestione delle barre di controllo (il freno della reazione nucleare, insieme in  parte all’acqua) e alla loro estrazione pressoché totale. Il reattore venne quindi riportato a fatica ad una potenza pari a circa 1/16 di quella nominale, un livello 3-5 volte inferiore a quella prevista per l’esperimento. Con tutte le barre già estratte, l’avvelenamento temporaneo  del reattore non permetteva di aumentare ulteriormente la potenza. Si decise di  agire anche riducendo il flusso refrigerante dell’acqua, portandola più vicina al punto di ebollizione.

Alle 01:23:04 iniziò l’esperimento. Mentre si avviavano i generatori diesel, si tolse vapore alla turbina, che iniziò a decelerare abbassando la potenza elettrica prodotta dal generatore collegato. Di conseguenza venne progressivamente meno l’alimentazione elettrica alle pompe del circuito principale di raffreddamento del reattore. L’acqua nel reattore iniziò a bollire, con un effetto a cascata sull’aumento di potenza del reattore dovuto ad un difetto legato ai modelli RMBK: siccome l’acqua in forma liquida ha un effetto assorbitore sui neutroni che alimentano la fissione nucleare, quando invece passa alla forma di vapore questo effetto svanisce. Quindi ogni bolla di vapore che si andava a creare nel reattore, aumentava la potenza della reazione nucleare (e la sua temperatura) producendo ancora più bolle di vapore, in un effetto a cascata. Il reattore stava andando rapidamente fuori controllo.

Alle 01:23:40 l’operatore incaricato del controllo del regime del reattore azionò il comando per la discesa immediata di tutte le barre di controllo, nel tentativo di portare al minimo della potenza il reattore.

SE UN REATTORE ESPLODE, C’È UN PROBLEMA DI PROGETTAZIONE. 

I reattori RBMK avevano un altro difetto di progettazione grave: l’estremità inferiore delle barre di controllo era fatta in grafite, un materiale che a differenza dell’acqua non assorbe i neutroni che alimentano la reazione, ma anzi la promuove. Se molte barre fossero state reinserite insieme per rallentare la reazione nucleare, l’effetto iniziale sarebbe stato quindi contrario, andando a sostituire una porzione dell’acqua presente nel reattore con la grafite, e producendo così un temporaneo picco di potenza nella parte superiore del reattore. Tale difetto era stato scoperto tre anni prima in un impianto simile, ma in quell’occasione i sistemi automatici erano in funzione e il reattore non era stato spinto al di fuori dei parametri di lavoro considerati sicuri. Non essendoci stato un precedente “forte”, la scoperta di questo difetto non era stata divulgata.

Il comando di abbassamento delle barre di controllo ebbe quindi l’effetto diametralmente opposto a quanto desiderato, promuovendo localmente l’aumento di potenza: dopo pochi secondi le barre si bloccarono per deformazione termica delle guide, la potenza del reattore salì improvvisamente ad un valore oltre dieci volte quello nominale, provocando due esplosioni che fecero saltare la copertura del reattore, del tetto e produssero una colonna di polveri e ceneri radioattive che si levò alta nel cielo, contaminando le aree circostanti e mezza Europa.

Il resto è storia. Come quella dei liquidatori che dagli elicotteri buttarono sabbia, argilla, piombo e boro per bloccare la colonna radioattiva che si levava dal reattore. O come quella dei tre volontari che si offrirono per entrare in tuta nelle vasche sottostanti il reattore per azionare le valvole che le avrebbero svuotate, eliminando così il rischio di una nuova esplosione che avrebbe lanciato in aria il reattore. O quella dei 1000 autobus che con colpevole ritardo evacuarono la città di Pripyat a meno di 2 km di distanza, cui seguiranno evacuazioni in molte aree circostanti.

NON ASPETTATEVI CHE VI DICANO LA VERITÀ.

Il 27 aprile furono gli strumenti di misura finlandesi i primi a registrare che c’era qualcosa che non andava, ma uno sciopero del settore pubblico bloccò la comunicazione tempestiva della notizia. In Svezia invece, la mattina del 28 Aprile, venne lanciato l’allarme presso l’impianto nucleare di Forsmark: sembrava ci fosse una fuga radioattiva in corso. Dopo una rapida verifica si scoprì che la causa non era l’impianto, ma una nube radioattiva proveniente dall’Ucraina. Alla sera del 28 il telegiornale di stato dell’URSS ammetteva l’incidente. Cadeva così il segreto con cui erano state gestite le prime 48 ore l’emergenza, e i cittadini europei scoprivano con paura che la nube radioattiva era già sopra le loro teste.

Ecco perché il disastro di Chernobyl andrebbe ricordato oggi: per non dimenticare che la verità è arrivata con giorni di ritardo.

ALTRO DISASTRO, STESSE LEZIONI

Il 30 Aprile la nube si sposterà anche sopra l’Italia, depositando per una settimana il suo carico di polveri contaminate con Iodio 131, Stronzio 90 e il temutissimo Cesio 137.

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Video della simulazione della dispersione del Cesio 137  emesso dal disastro di Chernobyl. Fonte: Istituto di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare francese.

E proprio il Cesio 137 depositato al suolo, che tende a bioaccumularsi e a risalire la catena alimentare, tra due mesi, nella prima settima di luglio, arriverà dopo 30,17 anni a dimezzare la sua concentrazione.

Anche questo sarebbe un evento da ricordare, se non altro per tenere a mente che gli effetti della radioattività non sono affatto passeggeri.

Ma più di tutto va ricordato che il disastro del 2011 dell’impianto di Fukushima Dai-ichi, ci insegna le stesse lezioni di quello di Chernobyl:

  • L’alimentazione elettrica è venuta a mancare, per il blackout della rete elettrica nazionale conseguente al terremoto e poi per l’allagamento dei generatori diesel dovuto allo tsunami. A questo punto anche se 3 reattori sono stati “spenti” subito il calore emesso dai sottoprodotti della fissione li ha portati comunque in meltdown. In pratica la situazione che a Chernobyl è stata simulata con un esperimento, a Fukushima si è presentata a causa del terremoto e del successivo maremoto.
  • L’errore di fondo risiede in una progettazione sbagliata dell’impianto: barriere di protezione dalle ondate di tsunami troppo basse e collocamento dei generatori diesel dove potevano essere allagati.
  • Le comunicazioni sulla gravità della situazione sono arrivate con giorni di ritardo, ritardando le evacuazioni e gli interventi sull’impianto.

dal blog aspoitalia

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