Quando prevarremo?

Quando prevarremo?

Di Joseph E. Stiglitz 

NEW YORK – Nel 1967 scoppiarono sommosse dappertutto nelle città degli Stati Uniti, da Newark, nel New Jersey, a Detroit e a Minneapolis nel Midwest – due anni interi dopo che il quartiere Watts di Los Angeles era esploso con violenza. In risposta, il Presidente Lyndon B. Johnson nominò una commissione, guidata dal Governatore dell’Illinois Otto Kerner, per indagare le cause e proporre misure per affrontarle. Cinquant’anni fa la Commisssione Consultiva Nazionale sui Disordini Civili, più generalmente nota come Commisssione Kerner, pubblicò la sua relazione, fornendo un racconto severo delle condizioni dell’America che avevano portato ai disordini.

La Commissione Kerner descrisse un paese nel quale gli afro americani erano di fronte ad una sistematica discriminazione, pativano di inadeguata istruzione e di alloggi insufficienti, ed erano privi di accesso alle opportunità economiche. Per loro, non c’era alcun sogno americano. La causa alla radice era “l’orientamento razzista e la condotta degli americani bianchi verso gli americani neri. Il pregiudizio razziale ha modellato aspetti decisivi della nostra storia; adesso minaccia di influenzare il nostro futuro”.

Ho fatto parte di un gruppo convocato dalla Fondazione Eisenhower per stimare quale progresso sia stato fatto nel mezzo secolo successivo. La frase più famosa del rapporto della Commissione Kerner – “La nostra Nazione si sta muovendo verso due società, una nera e una bianca – separate e ineguali” – tristemente risuona ancora veritiera.

Il libro appena pubblicato basato sui nostri contributi, “Guarire la nostra società divisa: investire nell’America cinquant’anni dopo il Rapporto Kerner”,edito da Fred Harris ed Alan Curtis, provoca una lettura cupa. Come ho scritto nel mio capitolo, “Alcune aree problematiche identificate nel Rapporto Kerner sono migliorate (la partecipazione alla politica e al Governo dei neri americani, simbolizzata dalla elezione di un Presidente nero), altre sono rimaste le stesse (disparità educative ed occupazionali), ed alcune sono peggiorate (ineguaglianza di ricchezza e di redditi)”. Altri capitoli discutono uno degli aspetti più inquietanti dell’ineguaglianza razziale americana: l’ineguaglianza nel garantire l’accesso alla giustizia, rafforzata da un sistema di incarcerazione di massa largamente modellato sugli afro americani.

Non c’è dubbio che il movimento dei diritti civili di mezzo secolo fa fece la differenza. Una varietà di aperte forme di discriminazione furono rese illegali. Regole della società vennero cambiate. Ma sradicare il razzismo ben sedimentato e istituzionale si è rivelato difficile. Peggio, il Presidente Donald Trump ha sfruttato questo razzismo soffiando sul fuoco del fanatismo.

Il messaggio principale del nuovo rapporto riflette la grande intuizione del leader dei diritti civili Martin Luther King, Jr: ottenere la giustizia economica per gli afro americani non può essere separato dall’ottenere opportunità economiche per tutti gli americani. King chiamò la sua marcia del 1 agosto 1963 a Washington, alla quale io pertecipai e durante la quale pronunciò il suo squillante, indimenticabile discorso “I have a dream”, una marcia per il lavoro e la libertà. E tuttavia il divario economico negli Stati Uniti è cresciuto molto più profondamente, con effetti devastanti su coloro che sono privi di istruzione superiore, un gruppo che include quasi tre quarti di afro americani.

Oltre a ciò, la discriminazione è dilagante, pur se spesso nascosta. Il settore finanziario americano, specialmente negli anni prima della crisi finanziaria, prese di mira gli afro americani per sfruttarli, vendendo loro prodotti volatili con multe elevate, che rischiavano di esplodere e in effetti esplosero. In migliaia hanno perso le loro abitazioni, e alla fine la disparità nella ricchezza, già ampia, è cresciuta sempre di più. Una banca con un ruolo di guida, la Wells Fargo, ha pagato enormi multe per aver caricato tassi di interesse più elevati sui creditori afro americani e latini; ma nessuno è stato in realtà ritenuto responsabile per molti altri abusi. Quasi mezzo secolo dopo l’ approvazione delle leggi contro la discriminazione, il razzismo, l’avidità e il potere del mercato lavorano ancora assieme a danno degli afro americani.

Ci sono, tuttavia, alcune ragioni di speranza. La prima, la nostra comprensione della discriminazione è assai migliore. Nel passato, l’economista Premio Nobel Gary Backer poteva scrivere che in un mercato competitivo la discriminazione era impossibile; il mercato avrebbe rilanciato il salario di chiunque fosse stato sottopagato. Oggi, comprendiamo che il mercato è pieno di imperfezioni – incluse imperfezioni dell’informazione e della competizione – che forniscono grandi opportunità per la discriminazione e lo sfruttamento.

Inoltre, oggi riconosciamo che gli Stati Uniti stanno pagando un prezzo elevato per l’ineguaglianza, e un prezzo particolarmente elevato per l’ineguaglianza razziale. Una società marcata da tali divisioni non sarà il faro del mondo e la sua economia non prospererà. La forza reale degli Stati Uniti non è il suo potere militare, ma il suo ‘soft power’, che è stato eroso non solo da Trump, ma anche dalla persistente discriminazione razziale. Se essa non viene affrontata, ci rimetteranno tutti.

Il segno più promettente è il dilagare dell’attivismo, specialmente da parte dei giovani, che comprendono che è venuto il momento che gli Stati Uniti siano all’altezza dei loro ideali, espressi così nobilmente nella loro Diachiarazione di Indipendenza, secondo la quale tutti gli uomini sono stati creati uguali. Un secolo e mezzo dopo l’abolizione della schiavitù, l’eredità di quel sistema resiste. Ci volle un secolo per varare una legislazione che assicurava pari diritti; ma oggi i Tribunali controllati dai repubblicani e gli uomini politici spesso rinnegano quell’impegno.

Come ho concluso il mio capitolo, “Un mondo alternativo è possibile. Ma 50 anni di lotta ci hanno dimostrato come sia difficile realizzare quella visione alternativa”. Un ulteriore progresso richiederà determinazione, sostenuta dalla fede espressa nelle immortali parole dello spiritual che divenne l’inno del movimento dei diritti civili; “We shall overcome”.

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