Il Blog di Riccardo Bianchini

Riccardo Bianchini è nato nel 1977 a Borgo San Lorenzo e oggi si occupa di diritto per professione , come scrive nel suo profilo,”come avvocato, come docente in corsi di formazione e come autore di articoli su riviste rivolte agli operatori del settore giuridico e (talvolta) di monografie.”
Ma Riccardo è appassionato di filosofia e la sua formazione giuridica è di tipo storico ed ama intervenire sui temi più diversi che riguardano la vita delle persone : dall’alimentazione all’ambiente, dal diritto al pensiero orientale in particolare indiano e tibetano.
Adesso ha dato vita ad un blog davvero stimolante in cui si occupa di questioni filosofiche , etiche ma anche  legate alla vita di tutti i giorni convinto che sono anche  le scelte che ognuno di noi fa nel vivere quotidiano a determinare il nostro futuro, dall’economia all’ambiente , dai rapporti tra le persone e con le istituzioni.
“Dei temi che tratterò- scrive nella prefazione –  si potrebbe senz’altro dire di più e meglio, se si avesse la pazienza di documentarsi ed approfondire ulteriormente. Ma il meglio è spesso nemico del fare.”
E invece Riccardo vuole fornire elementi di riflessione ” senza l’ambizione di costituire un punto definitivo di arrivo verso una qualsiasi destinazione”.
Il Blog si intitola academicallyincorrect.it

academicallyincorrect.it

Ho scelto per introdurvi al blog un pezzo che parla di urbanistica e scelte personali che è molto di attualità così come sarà sicuramente di interesse per molti uno scritto sul veganesimo.
Potrebbe nascere anche una collaborazione tra il sito di Radio Mugello e Riccardo Bianchini intanto buona lettura.

LR

L’urbanistica fra volontà generale e acquisti on line

di Riccardo Bianchini

Siamo definiti dalle nostre azioni, non dalle nostre parole”. Con queste parole – seguite però subito dalle conseguenti azioni – l’utopistico protagonista di Captain Fantastic (2016) addestra i propri figli ad una sorta di guerriglia esistenziale, una vita crudamente vissuta a contatto con la natura unita assieme a uno studio matto e disperatissimo.
Quanto è lontana questa idea – quella della prevalenza dell’azione – rispetto alla comune idea di democrazia e rappresentanza politica.
Anche l’idea di democrazia diretta – con la retorica e la mitologia che la contraddistinguono – sfociando in una nozione di decisione ancorata al concetto di una volontà che ha molto a che fare con la ragione e con l’espressione assembleare di questa volontà, sembra il pensiero di un timido piccolo-borghese di fronte all’indomito combattente – indefesso attivista che fa della propria esistenza il campo di battaglia su cui sfidare la repressione dell’individuo – che trova nell’azione la qualificazione di se stesso.

Eppure la prevalenza della prassi sulla teoresi, come specchio dell’esatta volontà dei membri di una comunità, non è per niente insensata.
É di pochi mesi fa la notizia che negli USA grandi catene di distribuzione al dettaglio stiano chiudendo molti punti vendita, spinti dall’incedere degli acquisti on line verso l’insostenibilità economica del proprio modello di vendita.
Cosa non diversa dalla “desertificazione” urbana determinata, in molti dei nostri agglomerati cittadini, dal sorgere nella vicina periferia di quegli stessi centri commerciali che, a quanto pare, dovranno subire a breve anche da noi la stessa sorte che essi hanno inflitto ai negozianti tradizionali (se è vero il luogo comune secondo cui ciò che avviene negli USA dieci anni dopo avviene anche da noi).
Ma individuare nei centri commerciali il colpevole della chiusura del piccolo negozio, nella grande distribuzione l’assassino dell’esercizio a conduzione familiare e, oggi, in Amazon e simili l’uccisore dei centri commerciali sono soltanto comode ed edulcorate mistificazioni della realtà.


L’evoluzione delle forme del commercio più efficienti, in grado di offrire prezzi più bassi, non hanno imposto la chiusura di nessun concorrente: ne hanno creato le condizioni di possibilità, ma tutto lì.
Ciascuno avrebbe potuto tranquillamente decidere di non mettere mai piede in un supermercato e continuare la propria consueta condotta di vita. Ciascuno potrebbe liberamente decidere di non acquistare niente su internet.
Invece, nella prassi, l’informe massa – costituita però da individui che tendono a ritenersi responsabili delle proprie azioni e che si mostrano assai gelosi della propria libertà – si è mossa compatta verso i supermercati, verso i centri commerciali, e si sta adesso dirigendo verso gli acquisti on line con sempre maggiore decisione.
E’ davvero difficile capire che aumentando il volume degli acquisti on line, la conseguenza sarà la chiusura di esercizi commerciali “reali” con conseguente ulteriore desertificazione del tessuto urbano e annientamento delle relazioni umane che presuppongono, appunto, un luogo effettivo di incontro, trasformando anche i centri cittadini in “non luoghi”?
Eppure, o non lo si capisce o la possibilità di risparmiare novantanovecentesimi è così attrattiva da rendere sordi ad ogni ragionamento. Ed è sempre stato così: l’homo oeconomicus è talmente prigioniero di un egoismo materialista che non si rende conto che, sul lungo periodo, il suo stesso egoismo tradotto in una egoica prassi – che, appunto, lo definisce e qualifica al di là di ogni sua espressione verbale di proprie supposte intime convinzioni – lo porterà a subire degli svantaggi maggiori del beneficio che trae nell’immediato.


È esattamente quello che avviene nel rapporto uomo-ambiente. È esattamente quello che Socrate rimproverava ai suoi concittadini: di fare il male solo per incapacità di comprendere cosa sia il bene, solo per una miopia che fa guardare allo stretto tornaconto dell’adesso, ignorantemente.

Fa davvero sorridere allora l’idea che politiche locali possano anche soltanto minimamente influire in modo duraturo sulla conformazione del tessuto urbano di una città.
Fa sorridere soprattutto considerando la prassi schiacciante di migliaia di cittadini che fanno i loro acquisti in centri commerciali o su internet e che poi – essi stessi – votano a favore di forze politiche che si sbracciano nel sostenere concetti come “recupero del centro storico”, “esercizi commerciali di prossimità”, “tutela e valorizzazione del territorio”.

Le norme in fin dei conti sono parole. E come irrideva all’idea che una legge scritta potesse disciplinare il potere la sapienza degli antichi! “[Le parole scritte, ossia le leggi,] non differiscono affatto dalle ragnatele, ma come queste trattengono le prede deboli e piccole, mentre saranno spezzate dai potenti e ricchi”, affermava sconsolato il sapiente Anacarsi all’ottimo Solone.
Le espressioni di voto lo sono ancor di più.
Ci si proclama a favore di una data posizione, votando chi la faccia propria e contestando i governanti quanto non fanno abbastanza per realizzarla, e poi si agisce in modo da rendere impossibile la realizzazione di quella stessa posizione ipoteticamente espressa attraverso il voto.
L’urbanistica non è in mano al governo delle istituzioni: a meno che esse non si impongano con un pugno di ferro che reprima completamente diritti di libertà oggi ritenuti irrinunciabili, saranno sempre di più i comportamenti del corpo sociale a determinarla nella sua effettività.
Così come in innumerevoli altri settori normativi.

Guardando così alle cose, cosa rimane della volontà generale? Di quella fantasiosa creatura che dovrebbe sorgere come atto coscientemente deliberativo di una comunità intera, come frutto espresso delle proprie convinzioni?
Rimane ben poco, se la intendiamo come frutto di intenzioni dichiarate a parole (o voti, che è la stessa cosa). Il dire delle espressioni democratiche in cui si declina la supposta volontà generale di una maggioranza rimane superato dal mare di una prassi sempre vittoriosa, che non conosce altro che se stessa e tratta le norme come variabili di un sistema che essa stessa, più che le norme, riesce a definire.

La logica fin qui seguita porta diritti alla retorica del consumo responsabile: in un mondo in cui tutto ciò che conta è materiale, e per contare veramente deve inserirsi nello schema di produzione e consumo, l’unica effettiva possibilità di una militanza attiva viene vista nella prassi di una guerriglia fatta a colpi di acquisti criticamente etici, sebbene antieconomici. Operata da chi ne capisca la valenza, da chi ne abbia le possibilità economiche.

Quanto detto assomiglia forse alla ripresa di temi cari allo storicismo Ottocentesco (così come al corporativismo, non fosse che questa parola, così compromessa con il passato mussoliniano, risulta quasi inutilizzabile a causa del rischio di essere fraintesi). E la ragione sta nel fatto che il comune oggetto di critica è l’idea che una volontà generale, in fin dei conti, esista davvero. Una volontà generale, per esistere, dovrebbe quantomeno presupporre l’esistenza di una volontà particolare, la volontà del singolo. Ma la volontà del singolo, se non la vogliamo ridurre a sterile caratterizzazione di funzioni biopsichiche, per mantenere la sua valenza concettuale deve contenere un minimo di indipendenza dai condizionamenti, uno spazio di libertà.


Sennonché il dibattito su libertà e libero arbitrio attraversa l’intera storia dell’umanità senza saper trovare un punto di arrivo (e forse senza neppure poterlo trovare).
L’antropologia filosofica si annoda attorno alla ricerca di una soluzione di questo enigma, del paradosso di una libertà che scopre di essere prigioniera di condizionamenti di ogni tipo e pure insiste testarda nel ricercare uno spazio di assoluta autonomia contro ogni evidenza dei fatti che le si pongono davanti agli occhi, perché senza questo pur infinitesimale momento di indipendenza, perderebbe il suo essere-in-sé-qualcosa, degraderebbe a cosa fra le cose.
In termini buddhisti: scoprirebbe la propria vacuità. (Ma anche lì rimane l’inesprimibile risposta alla domanda: “chi è che scopre che cosa, se tutto è necessario?”)
Invece la prassi, l’azione, quella esiste certamente. Non sappiamo quanto sia libera, ma di certo ci qualifica più di ogni altra petizione di principio. La volontà generale – se davvero questa locuzione significa qualcosa – è allora quella definita dai comportamenti, è la volontà della massa informe che agisce.

La conseguenza è che è inutile indicare nelle grandi corporazioni multinazionali gli spietati ed immorali uccisori dei valori: lo siamo ognuno di noi ogni volta che agiamo contro ciò che riteniamo giusto, seguendo la massificata retorica della convenienza immediata, scegliendo l’investimento più conveniente per lucrare qualche spiccio di interessi, scegliendo dove fare la spesa per risparmiare qualche decina di euro, acquistando un libro su internet e contribuendo a far chiudere una libreria che domani sarà soltanto un bandone chiuso davanti al quale non avrà alcun senso passeggiare.

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