“I care” . Don Milani e la scuola

“I care” , l’attualità di Lettera a una professoressa

Il 20 giugno Papa Francesco andrà a Barbiana per rendere omaggio a Don Milani a 50 anni dalla scomparsa mettendo così la parola fine alle polemiche sulla figura e l’opera del sacerdote fiorentino il cui primo libro “Esperienze pastorali” fu ritirato dal commercio, il 18 dicembre del 1958, perché dichiarato “inopportuno” con decreto del Santo Offizio.
“Il libro, pur inquadrato e collocato storicamente, dovrebbe essere, dalla Chiesa di oggi, restituito a quella dignità che deve a don Milani per averla così ben servita”, è scritto sul sito Barbiana.it, e la visita di Bergoglio deve essere letta come un segnale forte in questa direzione.

Come era prevedibile in occasione del cinquantenaraio della morte non sono mancate occasioni per ricordarne l’opera oppure per attribuire a Don Milani i mali della scuola italiana. L’impressione è che in molti casi non si sia letta la” Lettera ad una professoressa” e soprattutto non sia stata collocata nel periodo storico che la scuola italiana stava vivendo. Insomma più che leggere il testo di Don Milani e dei suoi ragazzi si sono prese per buone le esaltazioni sessantottesche che avevano trasformato “la lettera” in una specie di libretto rosso contro la “scuola borghese”. Paola Mastracola ha ribadito sull’inserto domenicale del Sole 24 ore che “la nostra scuola oggi è esattamente quella che voleva don Milani cinquantanni fa , infatti abbiamo emarginato la grammatica e la letteratura” cosa che don Milani non ha mai fatto visto l’importanza che attribuiva alla conoscenza , “l’uomo è ciò che è per la parola “ ha scritto il cardinal Martini in una sua riflessione su Don Milani che a sua volta ricordava che l’operaio conosce 100 parole e il padrone 1000 per questo è il padrone. Come ha scritto giustamente Mario Lancisi “ ai ragazzi poveri non andava e non va negata alcuna conoscenza, questo e non altro è il senso profondo della scuola milaniana”.

La Mastracola si lancia poi in una difesa della “povera professoressa” che non ha ragion d’essere in quanto l’obiettivo polemico è la scuola classista così come emerge dalla analisi del libro. Come era la scuola dei primi anni 60? Il libro dei ragazzi di Barbiana era una forzatura o le statistiche che venivano riportate evidenziavano una scuola in cui i figli di contadini e operai venivano falciati fin dalle prime classi in modo inaccettabile? E spesso a quelli che ce la facevano a superare lo scoglio la professoressa consigliava ai genitori di mandarli a lavorare o all’avviamento. In una recente iniziativa in ricordo di Andrea Salvadori a Borgo s.lorenzo si è parlato della scuola promossa nei primi anni 60 dal gruppo di “presenza operaia” e in una testimonianza tornava insistente questo “consiglio” dato dal maestro ai genitori operai/contadini. In quel caso non fu seguito e grazie all’impegno e alla collaborazione del gruppo chi raccontava riuscì a diplomarsi con ottimi voti così da poter accedere a posti di lavoro più qualificati.
Insomma don Milani aveva ragione da vendere ed è una sciocchezza scrivere che la scuola italiana è “ modellata sulla sua utopia” o addirittura che “ la colpa più grave dell’utopia donmilanista degli epigoni è stata quella di aver abolito il merito e le bocciature, pensando così ad un livellamento democratico del sapere” , aggiungendo “che, togliendo la meritocrazia, sia stata tolta ai poveri l’unica arma che avevano per sfangarla coi ricchi”(…)” nella scuola senza merito e senza autorità si va avanti per affiliazione”.
Don Milani non sosteneva questo ma diceva che non bisognava bocciare nella scuola dell’obbligo ed aveva ragione. Chi boccia nella scuola dell’obbligo anche oggi dovrebbe porsi il problema di non essere in grado di svolgere fino in fondo il proprio ruolo(“io vi pagherei a cottimo, un tanto per ragazzo che impara tutte le materie, o meglio multe per ogni ragazzo che non ne impara una “).
“Nella Lettera si distingue chiaramente -ha scritto Lancisi- la scuola dell’obbligo, in cui vale il non bocciare e l’offrire a tutti una base culturale, da quella superiore e universitaria per la quale viene invocata severità e selezione”. Infatti la seconda parte del libro si intitola “alle magistrali bocciate pure , ma…”. Don Milani faceva scuola 365 giorni l’anno, altro che scuola non meritocratica, e voleva che le scuole istituissero il tempo pieno per venire incontro ai più poveri e rivolto ai professori li rimproverava per gli orari ridotti , “coll’orario che fate la scuola è una guerra ai poveri, se lo Stato non può imporvi aumenti d’orario non può fare scuola”. E ancora “il doposcuola è una soluzione più giusta, il ragazzo ripete, ma non perde l’anno, non spende e voi gli siete accanto uniti nella colpa e nella pena”. Ma si ricordava anche come ai ragazzi venivano offerti 185 giorni di vacanza contro solo 180 di scuola , “ quattro ore di scuola contro dodici senza scuola “.
In fondo la riforma proposta dalla Lettera per le scuole dell’obbligo era ed è semplice :” I) non bocciare; II) a quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno,III) agli svogliati basta dargli uno scopo.”(p.80),” perchè non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali”. La sottolinatura posta sul doposcuola è di fondamentale importanza perchè nonostante la riforma della media lo prevedesse in realtà veniva realizzato solo molto parzialmente, “il sindaco di Vicchio , prima di riaprire il doposcuola comunale chiese il parere degli insegnati di Stato, arrivarono 15 lettere, tredici contro e due a favore” ed è qui che arriva l’accusa più pesante per gli insegnanti che “invece di rimuovere gli ostacoli lavorano ad aumentare le differenze. La mattina sono pagati da noi per fare scuola eguale a tutti. La sera prendono denaro dai più ricchi per fare scuola diversa ai signorini. A giugno , a spese nostre, siedono in tribunale e giudicano le differenze”.Tra i respinti il 55% era figlio di contadini e il 61% di loro abitava in case sparse. Guardando poi le scuole superiori su un campione di 30 solo lo 0,8 dei figli di lavoratori dipendenti si diplomava.


Stefano Cecchi sulla Nazione annovera Don Milani fra “ gli idealisti e le loro utopie invontariamente nocive” insieme alla senatrice Merlin che “ voleva liberare le donne dal giogo dello sfruttatore maschio” ed a Franco Basaglia che “voleva cancellare la pazzia chiudendo i manicomi, non capendo che così facendo metteva nella disperazione i malati e le loro famiglie”.
Sono affermazioni prive di senso che dimostrano di non conoscere non solo gli scritti e l’opera di Don Milani ma neppure la legge 180 ispirata da Basaglia o la Merlin,  che non sono utopie ma esempi luminosi di civiltà in un mondo in cui “piacere” e “malattia” erano assimilati a costrizione e detenzione.
La scuola ha invece un grande problema oggi come allora , “i ragazzi che perde” ed è su questo che va riscoperta l’attualità di Don Milani che “ si è battuto perché ai suoi ragazzi venisse riconosciuto il diritto al sapere “(Lancisi) e per questo “ la scuola di Barbiana era una finestra sempre aperta sul mondo”.
La visione “classista” di Don Milani era ispirata ai vangeli non certo alla politica e, come ha scritto Eraldo Affinati, ha colto “ nella passione pedagogica del maestro l’essenza più autentica del cristianesimo, inteso quale raccolto di sguardi che incrociandosi, si prendono cura uno dell’altro”. Lo scrittore romano nel suo bellissimo libro “L’uomo del futuro”( a parte l’uso inappropriato del termine “mugellese”) è andato alla ricerca dell’attualità dell’opera e del pensiero di don Milani a partire dalla sua esperienza con la scuola Penny Wirton dove insegna italiano a ragazzi extracomunitari. Per Affinati la Lettera è un libro sull’educazione e lo spirito di Barbiana è ancora vivo in Italia e in molte parti del mondo . “L’esempio di Barbiana torna a imporsi in chiave multiculturale per favorire una vera integrazione, che dovrebbe combattere anche la fragilità degli adoloscenti italiani spesso inebriati dai miti del successo, della bellezza e della sanità”. La Lettera è “il manifesto contro la timidezza dei poveri”(Albinati) e come scrisse padre Balducci nel 1992 : “ Barbiana non è più in Mugello: Barbiana è in Africa, è nel Medio Oriente, Barbiana è una comunità musulmana, Barbiana è nell’America latina. Le Barbiane del mondo dicono che noi ci comportiamo come se il mondo fossimo noi”.


Don Milani era davvero un uomo del futuro che ancora oggi ci invita a stare dalla parte degli ultimi ,a non creare santi, ma a lottare perché “ gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere”. Barbiana non è un santuario ma un luogo vivo per chi crede nell’attualità del messaggio evangelico e per chi crede che investire nella scuola pubblica e nella conoscenza sia la cosa fondamentale per battere le disuguaglianze che sono tornate a ampliarsi nel xxi secolo.
Lettera a una professoressa (1967) – che ancor oggi, a decenni dalla sua pubblicazione, suscita polemiche e discussioni appassionate – è ben più che un atto di denunzia contro la scuola classista, è la rivendicazione d’una scuola al servizio della vita, che prepari ad essa con rigore e concretezza, senza vuoti formalismi.”(…)”Quella di Milani e della sua scuola è una proposta non solo di tipo scolastico o settoriale, ma complessiva, globale, in senso lato antropologica, etica, politica, culturale, ispirata a un profondo rinnovamento spirituale e morale, fondata sulla piena affermazione della laicità, dell’autonomia e libertà della coscienza,dei diritti/doveri dei cittadini sovrani. Essa investe i principi di fondo e i modi d’essere ineludibili di una civiltà democratica”.(F.Toscani)

Leonardo Romagnoli

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