Se le Ferrovie si trasformano in una nuova Iri

Se le Ferrovie si trasformano in una nuova Iri

I piani per il futuro di Fsi disegnano il gruppo come una nuova Iri dei trasporti, un “campione nazionale” sempre meno aggredibile dalla concorrenza. Ma per i cittadini e le casse dello stato sarebbe stato molto meglio adottare un modello opposto.

Fsi investe a Sud

Ferrovie dello stato ha di recente preannunciato grandi piani di investimento al Sud. Il progetto sembra puntualmente confermato dai 9 miliardi stanziati dal ministro Delrio per le ferrovie siciliane. Eppure la domanda al Sud non è particolarmente aumentata, anzi in alcune importanti regioni la popolazione è in calo. Ne segue che si tratterà di opere poco utilizzate (il ferro ha bisogno di molta domanda, e concentrata nello spazio, al contrario di quella stradale, molto più diffusa). Una ferrovia con scarso traffico è poco utile sia alla collettività che all’ambiente, mentre ha costi per unità di traffico elevatissimi per le casse pubbliche.

Parlando di Sud, non si può prescindere dalla questione del Ponte sullo stretto che, nelle parole dell’amministratore delegato di Fsi, “s’ha da fare, ma non potranno pagarlo tutto i privati”. Il ragionamento fa pensare che qualche infrastruttura ferroviaria in Italia sia pagata in parte da privati. In realtà, sono tutte pagate dallo Stato, al contrario di autostrade e aeroporti. Per quanto riguarda il Ponte sarebbe poi opportuno conoscere i costi (le voci parlano di 5-8 miliardi). Ma sarebbe anche opportuno conoscere le analisi economiche e finanziarie effettuate, almeno preliminari, come previsto dalle linee-guida per le valutazioni, promosse con molta enfasi proprio dal ministro Delrio, benché finora mai applicate agli investimenti ferroviari, per ragioni non del tutto comprensibili.

Peraltro, nel presentare i dati economici più significativi, il gruppo tende a sottolineare, in particolare, un Ebitda (Earnings before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization) molto lusinghiero, maggiore di quello di altre grandi ferrovie pubbliche europee. Si tratta di un indicatore cruciale per le aziende private, ma in questo caso lascia davvero molto perplessi. Fsi riceve dallo stato a vario titolo circa 14 miliardi all’anno. E per questo si può forse pensare che un acronimo di quell’indice più corrispondente alla realtà possa essere “Ebtdp” (Earnings before Transfers, Depreciation and Amortization). Ma, certo, i numeri cambierebbero molto radicalmente.

Sussidi o corrispettivi?

Al problema se i trasferimenti dello stato per i servizi ferroviari siano definibili come “sussidi” o “corrispettivi”, le Ferrovie obiettano con il “catalogo delle linee in perdita”, presentandone costi e ricavi attuali. E alla proprietà, cioè allo stato, ribadiscono che se intende continuare quei servizi è tenuto a coprirne la differenza tra costi e ricavi. Da qui, l’indubbia correttezza lessicale del termine “corrispettivo”, dal punto di vista delle Ferrovie. Ma non da quello della collettività. Vediamo perché: a) i trasferimenti significano che lo stato ha deciso che quei servizi generino una elevata utilità sociale (per esempio, per ambiente o distribuzione del reddito o altro). “Ha deciso”, dunque, ma non ha affatto “valutato”, pur potendolo fare. Perché? Non valeva neppure la pena di fare confronti espliciti con modalità meno costose? b) Anche assumendo che lo stato abbia “valutato”, copre comunque “a piè di lista” quei costi. Perché non tenta, prima di pagare, di metterli in gara? I costi potrebbero ridursi drasticamente, come è avvenuto per esempio in Germania per molte linee locali. Quindi sembra che rimanga l’arbitrarietà sostanziale, anche se non quella formale.

E i trasferimenti arbitrari non si esauriscono al settore dei servizi. Lo stato si assume anche due terzi dei costi operativi dell’infrastruttura e il 100 per cento dei costi di investimento. Tuttavia, non lo fa per le altre infrastrutture a pedaggio: autostrade in particolare, ma anche porti e aeroporti. Queste infrastrutture fanno pagare agli utenti tutti i costi di esercizio e, in genere, una quota rilevante di quelli di investimento. Si tratta di una scelta politica perfettamente legittima, ma di nuovo arbitraria, che in effetti non è mai stata giustificata. Per non parlare delle valutazioni economiche mai realizzate, mentre sarebbe perfettamente possibile calcolare il costo-opportunità marginale dei fondi pubblici, le perdite di surplus sociale o l’impatto occupazionale.

Quale sarà il futuro prevedibile del gruppo Fsi? Il gruppo (meglio, il governo, suo unico proprietario) tende a estendere la sua attività anche al settore stradale, attraverso la fusione con Anas, la presenza crescente nel mercato dei bus di lunga distanza e in quello dei trasporti urbani. Prevede anche di continuare a investire massicciamente in nuove opere, che ovviamente andranno a beneficiare soprattutto l’impresa dominante. In breve, si propone come una nuova Iri dei trasporti, “campione nazionale” sempre meno aggredibile dalla concorrenza.

Un modello del tutto opposto è ovviamente quello che è stato sul tavolo fino all’anno scorso, ed è costato l’allontanamento del presidente precedente: un’apertura graduale alla concorrenza, con l’alienazione di tutti i servizi che non abbiano caratteristiche di monopolio naturale (come il successo della liberalizzazione dei servizi alta velocità dovrebbe aver insegnato) e l’affidamento in gara periodica della gestione della rete.

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