I “giacchetti gialli” e la giustizia fiscale,

 

 

I “giacchetti gialli” e la giustizia fiscale,

di Thomas Piketty

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La crisi dei “giacchetti gialli” solleva un tema centrale sia in Francia che in Europa, precisamente quello della giustizia fiscale. Dal momento della sua elezione, Emmanuel Macron ha speso un tempo considerevole nello spiegare al suo paese che “i primi della cordata”, ovvero i massimi capitali e imprenditori, dovevano essere trattati con attenzione; la priorità principale era garantire tagli fiscali ai più ricchi e, per cominciare, la tassa sulle ricchezze è stata abolita. Tutto questo è stato fatto con la massima velocità, in uno spirito di ineluttabilità e senza il minimo scrupolo di coscienza. Persino Nicolas Sarkozy era stato più saggio nel 2007 con il suo “scudo fiscale”, che ciononostante dovette cancellare nel 2012. Inevitabilmente, tutti coloro che non si ritengono “esponenti di spicco” si sono sentiti abbandonati e umiliati dal discorso di Macron, e questa è la ragione per la quale siamo ora in questa situazione. L’attuale dirigenza ha commesso una serie di errori pratici, storici e politici che a questo punto è urgente e possibile correggere.

Anzitutto, Macron ha tentato di giustificare l’abolizione della tassa sulla ricchezza dichiarando che questa tassa era determinante nell’abbandono della Francia da parte delle grandi ricchezze. Il problema è che tale dichiarazione, stando ai fatti, è totalmente infondata. Dal 1990 abbiamo assistito ad una crescita spettacolare e continua nel numero dei patrimoni e delle quantità di ricchezza dichiarate al fisco. Questi sviluppi si sono determinati in tutte le fasce della tassa sulla ricchezza, in particolare nelle fasce più elevate, dove il numero e la quantità di asset finanziari sono cresciuti persino più velocemente dei possedimenti immobiliari, che a loro volta sono cresciuti più rapidamente del PIL e degli stipendi totali. La caduta delle borse azionarie nel 2001 e nel 2008 hanno comportato un rallentamento provvisorio in questa evoluzione ma, appena le crisi sono terminate, le tendenze di lungo termine sono nuovamente risalite.

In totale, il reddito proveniente dalla tassa sula ricchezza (in francese “Imposta di solidarietà sulla fortuna”, ISF) [2] è più che quadruplicato dal 1990 al 2017, crescendo da un miliardo a circa 4 miliardi, laddove il PIL nominale era soltanto raddoppiato. Tutto questo nonostante le numerose riduzioni, esenzioni e fissazioni di tetti garantite nel corso degli anni ai contribuenti della tassa sulla ricchezza e nonostante il fatto che la soglia per l’inclusione in quella tassa sia gradualmente salita dagli 0,6 milioni di euro di ricchezza netta nel 1990 agli 1,3 milioni di euro a partire dal 2012 (dopo la deduzione del 30% del valore della principale residenza della famiglia). Inoltre, il controllo fiscale su questa tassa è sempre stato inadeguato.

Ad esempio, dobbiamo solo considerare che i rendimenti pre-compilati sono stati messi in atto da dieci anni per la tassa sui redditi, ma non sono mai stati applicati alla tassa sulle ricchezze, mentre le banche potrebbero facilmente trasmettere alle autorità tutte le informazioni richieste per tale tassa. Nel 2012, la dettagliata dichiarazione fiscale sopra i 3 milioni di euro venne perfino abolita (da allora quello che è richiesto è la quantità globale di ricchezza, senza alcuna possibilità di controllo sistematico). Con una migliore amministrazione, la tassa sulla ricchezza (ISF) potrebbe al giorno d’oggi generare più di 10 miliardi di euro. Inoltre questo non è in alcun modo sorprendente, se si tiene a mente il fatto che la tassa sulla proprietà [3] ha un gettito superiore ai 40 miliardi di euro e che la tassa sulla ricchezza è estremamente concentrata (specialmente per gli asset finanziari, che sono esenti dalla tassa sulle proprietà).

Resta il fatto che nella condizione legislativa ed amministrativa della tassa sulla ricchezza (ISF), che sono entrambe difettose, le entrate da questa imposta sono ciononostante cresciute da 1 a 4 miliardi tra il 1990 e il 2017. Considerata l’evoluzione della ricchezza, esse dovrebbero raggiungere quasi i 6 miliardi nel 2020. Con l’abolizione dell’imposta sulla ricchezza (ISF) e con la messa in atto dell’IFI (in francese, imposta sulla fortuna immobiliare, ovvero tassa sulla ricchezza immobiliare, con l’esclusione degli asset finanziari) il reddito è caduto a solo 1 miliardo nel 2018. Tra ora e il 2022 avremo perso 5 miliardi all’anno, per ritrovarci al punto in cui eravamo trenta anni fa.

Il secondo errore del Governo è di natura storica: sono nel momento sbagliato. È innegabile che gli Stati Uniti e il Regno Unito abbiano lanciato negli anni ’80 un processo di smantellamento della progressività fiscale e che questo movimento sia in parte stato seguito in Europa negli anni ’90 e agli inizi degli anni 2000 – ad esempio con la sospensione della tassa sulla ricchezza in Germania e in Svezia (e con un bonus sulla tassa di successione nel secondo caso).

Ma siamo davvero certi che queste politiche abbiano prodotto gli effetti attesi? Dalla crisi del 2008, e ancora maggiormente a partire da Trump, dalla Brexit e dall’esplosione del voto xenofobo in tutta l’Europa, c’è un migliore apprezzamento dei pericoli costituiti dalla crescita dell’ineguaglianza e dal senso di abbandono nella classe lavoratrice, cosicché molti adesso riconoscono il bisogno di una nuova regolamentazione sociale del capitalismo. In queste condizioni, aggiungere una ulteriore misura a favore dei più ricchi nel 2018 non è stato davvero intelligente. Se Macron vuole essere il Presidente dei futuri anni ’20 di questo secolo e non degli anni ’90, è destinato a doversi correggere rapidamente.

La cosa più triste è lo spreco spaventoso e il disastro a riguardo del riscaldamento globale. Se una tassa sul carbone deve avere successo, è imperativo che la totalità dei ricavi netti sia allocata nelle misure connesse con la transizione ecologica. Il Governo ha appena fatto proprio l’opposto: soltanto il 10% dei 4 miliardi di euro di aumento delle imposte sui carburanti nel 2018, e i 4 miliardi aggiuntivi attesi nel 2019, sono stati destinati a misure sociali, mentre il rimanente ha finanziato, di fatto, l’abolizione della tassa sulla ricchezza (ISF) e la flat tax sui redditi da capitale.

Se Macron vuole salvare il suo quinquennio al potere, egli deve immediatamente ristabilire la tassa sulla ricchezza ed allocare il ricavato per compensare coloro che sono maggiormente colpiti dagli aumenti della tassazione sul carbone, che deve proseguire.

Se non lo fa, vuol dire che avrà optato per una ideologia a favore dei ricchi fuori del tempo, a spese della campagna contro il riscaldamento globale.

[1] La tabella mostra i diversi scenari previsti nel periodo sino al 2022 a seguito di diverse scelte sulla Tassa sulla Ricchezza. La linea verde corrisponde allo scenario più elevato, coerente con le tendenze dal 1990 al 2007, ovvero al mentenimento di tale imposta secondo le prospettive migliori di incremento. Quello rosso è ancora nella ipotesi di un mentenimento, sulla base della tendenza realizzata dal 1990 al 2017. Quello celeste è anch’esso nell’ipotesi di un mantenimento, questa volta secondo la tendenza più ridotta all’incremento nel periodo 2005/2017. Quello giallo, infine, consiste nella prosecuzione di una politica di abbandono della tassa sulla ricchezza, ridotta si soli patrimoni immobiliari.

[2] Da quello che capisco, ciò che distingue la “tassa di solidarietà sulla ricchezza” è il fatto che essa si applica soltanto a contribuenti con redditi elevati (in passato 800 mila euro, oggi 1.300 mila euro). Essa è esattamente una “tassa sulla fortuna”, ovvero su particolari ricchezze mobiliari e immobiliari, e – se non sbaglio – si somma alle tasse ordinarie sul reddito e sul patrimonio immobiliare, nella forma di una imposta straordinaria di solidarietà sui più ricchi. Insomma, anche se adesso è sotto accusa la sua riduzione o eliminazione voluta da Macron, corrispondeva ad una tassa sui patrimoni elevati che in Italia è sempre solo vociferata.

[3] Si dovrebbe intendere su tutte le proprietà, a prescindere dalle “fortune” complessive dei loro possessori.

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