L’accettabilità sociale degli impianti a biomasse e biogas

L’accettabilità sociale degli impianti a biomasse e biogas


 a cura di Arpat

Fra tutte le fonti di energia alternativa, le biomasse sono quelle più integrate con il territorio e ciò accresce la sensibilità dei cittadini a possibili effetti non solo sull’ambiente, ma sulle attività economiche, sulla viabilità, sulla gestione del patrimonio forestale

Come emerge da numerosi sondaggi di opinione (vedi ad esempio Eurobarometro) i cittadini europei – e tra loro anche quelli italiani – sono favorevoli allo sviluppo delle fonti di energia alternativa, soprattutto per i benefici attesi in termini di impatto ambientale. Le energie rinnovabili vengono infatti percepite come una fonte rispettosa dell’ambiente, il cui utilizzo è prioritario per risolvere la più grave minaccia ambientale del pianeta (il riscaldamento globale).

Se l’ambiente e la sua difesa sono la principale motivazione che spinge i cittadini a sostenere queste fonti, è sempre l’ambiente a muovere gli stessi cittadini nell’opporsi alla costruzione di impianti alimentati da energia alternativa. Il problema che molti sentono è soprattutto quello di essere maggiormente informati sulle caratteristiche e le potenzialità di queste fonti e di essere chiamati a partecipare alle scelte di localizzazione degli impianti che interessano il territorio dove essi vivono e lavorano.

articoli di giornale su impianti a biomasseTra le fonti rinnovabili, quelle che sembrano maggiormente “colpite” in termini di accettabilità sociale, sono le biomasse, in particolare per questi motivi:

  • la conversione energetica avviene tramite il processo di combustione con emissione al camino di potenziali inquinanti: la combustione viene percepita come un elemento negativo diventando spesso quasi sinonimo di inquinamento dell’aria
  • l’assimilazione delle biomasse ai rifiuti, il cui incenerimento suscita una forte opposizione per il timore delle possibili emissioni di prodotti tossici, in particolare le diossine (impianto biomasse = inceneritore)
  • il rischio di sovradimensionamento degli impianti rispetto alla reperibilità della materia prima in un ambito locale e regionale (necessità di importare la materia prima, aumentando l’impatto del trasporto, trasformazione delle colture agroalimentari in colture energetiche, necessità di altro tipo di risorse es. rifiuti urbani)
  • incoerenza con la programmazione territoriale, energetica ed ambientale (eccesso di impianti sul territorio, carenza di infrastrutture di servizio, divario tra domanda e offerta di energia a livello locale, svalutazione del patrimonio ambientale, artistico ed ambientale, vocazione dello sviluppo locale, sottovalutazione dell’obiettivo di risparmio energetico)
  • mancanza di informazione e coinvolgimento della popolazione interessata e degli enti istituzionali e non presenti sul territorio (progetti calati dall’alto, esclusione dal processo decisionale, dubbi sui veri obiettivi, lotta politica, consenso sociale, accettabilità locale)
  • dubbi sugli investimenti di privati nel settore della gestione di beni comuni (business redditizio anche a causa degli incentivi pubblici che alterano il mercato)

È evidente, guardando queste motivazioni che spingono gli oppositori, che le biomasse sono – fra tutte le FER – quelle più strettamente integrate con il territorio e ciò accresce la sensibilità dei cittadini a possibili effetti non solo sull’ambiente, ma sulle attività economiche, sulla viabilità, sulla gestione del patrimonio forestale etc.

I conflitti e i movimenti contrari che si creano attorno a questi tipi di impianti hanno come prima conseguenza la dilatazione dei tempi necessari per la realizzazione delle opere. In questo contesto un ruolo importante lo giocano le amministrazioni locali che devono cercare un equilibrio tra perseguire il raggiungimento dei target e programmi nazionali di sviluppo delle fonti rinnovabili e preservare la popolazione residente da impatti negativi su salute, patrimonio naturalistico e paesaggistico. In ogni caso, l’opposizione dei cittadini alla costruzione degli impianti influenza fortemente l’operato degli amministratori cui compete il rilascio delle autorizzazioni.

il ruolo della comunicazione e dei processi partecipativiUna delle possibili strategie che possono essere messe in campo per prevenire e/o affrontare questi conflitti è l’investimento in termini di conoscenza: i cittadini infatti desiderano essere informati e la circolazione delle informazioni è lo strumento principale, sia in fase progettuale dell’impianto (es. localizzazione degli impianti) che in fase di esercizio dell’impianto stesso (es. trasparenza nei controlli). Nell’ambito di questa strategia comunicativa trova spazio anche un possibile ruolo di ARPAT, soprattutto in termini di trasparenza degli esiti dei propri controlli.

Nel 2012, spinti dalla crescente attenzione che la stampa riservava agli impianti a biomassa, il Settore Comunicazione, informazione e documentazione di ARPAT ha dato avvio ad un lavoro di approfondimento sul tema, da un lato pubblicando notizie sul tema, dall’altro iniziando a censire gli impianti presenti in Toscana. Quest’ultimo lavoro ha avuto come fonte di dati da una parte la stessa rassegna stampa dall’altra l’archivio documentale ARPAT, che contiene informazioni sia sui pareri forniti da ARPAT in sede di autorizzazione a questi impianti che sui controlli effettuati dall’Agenzia sugli impianti in esercizio, soprattutto a seguito di esposti. Sin da subito sono andati quindi a confluire nell’archivio diverse tipologie di impianti, da quelli in esercizio a quelli in fase embrionale con iter autorizzativo appena avviato. Il lavoro di censimento è poi confluito nel corso del 2014 negli obiettivi del Gruppo di lavoro agenziale sulla tematica degli impianti alimentati da biogas o biomasse, che ha ultimato l’inventario.

In questa analisi specifica quello che ci interessa andare a vedere all’interno dell’archivio creato sono quelle situazioni ostative che da una parte hanno contribuito a bloccare la nascita di alcuni di questi impianti, dall’altra vedono cittadini, comitati, forze politiche “protestare” contro impianti esistenti.

Nell’archivio, aggiornato al 31/12/2014, sono stati quindi censiti non solo gli impianti in esercizio sul territorio toscano, ma anche quelli che non lo sono. Dei 117 impianti censiti, infatti, 67 impianti risultano ad ARPAT in esercizio, contro i 40 che non lo sono. Per 10 impianti non abbiamo informazioni sulla loro realizzazione: non sempre infatti ARPAT è a conoscenza dell’esatta situazione, o perché non è coinvolta nell’iter di autorizzazione o perché non ha effettuato alcun controllo sull’impianto; ugualmente accade per l’altra fonte di dati, cioè la rassegna stampa, da cui spesso non si riesce a ricavare un’informazione aggiornata.

Gli impianti non in esercizio e le forme di opposizione

Prima di passare ad analizzare gli impianti in esercizio in Toscana, guardiamo brevemente i 40 che non risultano in esercizio, analizzando in particolare i 22 che hanno registrato un qualche tipo di opposizione da parte di cittadini e/o comitati.

  • 17 i casi in cui l’autorizzazione è stata negata da parte dell’amministrazione competente: in 8 casi si è registrata un’opposizione proveniente da comitati di cittadini; in 4 casi tale opposizione si è manifestata attraverso esposti che hanno avuto come oggetto l’autorizzazione alla ditta, in un caso attraverso un ricorso alla giustizia amministrativa per la revoca dell’autorizzazione data. In 4 casi si è registrato anche il ricorso alla giustizia amministrativa da parte del proponente per la revoca dell’atto di diniego (47% di situazioni conflittuali)
  • 9 gli impianti autorizzati ma non ancora realizzati: solo tre di questi impianti non registrano un’opposizione da parte di cittadini e/o comitati; tra gli altri troviamo sia il ricorso alla giustizia amministrativa da parte dei cittadini per la revoca dell’autorizzazione data (4 casi) che esposti di cittadini che hanno come oggetto l’autorizzazione alla ditta (2 casi). In 4 casi si registra la presenza di un comitato di cittadini che si oppone all’impianto (67% di situazioni conflittuali)
  • 5 i progetti ritirati da parte della ditta proponente: in quasi tutti i casi (4) c’è stata un’opposizione da parte dei comitati di cittadini, anche supportata da esposti indirizzati ad ARPAT ed altre istituzioni, che avevano come oggetto proprio l’autorizzazione all’impianto (80% di situazioni conflittuali)
  • 7 gli impianti il cui iter autorizzativo risulta ancora in corso: in 3 casi si rileva un’opposizione da parte di comitati o cittadini singoli (57% di situazioni conflittuali)

Gli impianti in esercizio e le forme di opposizione

Dei 67 impianti in esercizio circa la metà (32) ricevono o hanno ricevuto un’opposizione da parte di cittadini, comitati, forze politiche.

In 16 casi l’opposizione è portata avanti da cittadini riuniti in comitati.

Problematiche che originano gli espostiIn quasi tutti i casi sono stati presentati esposti ad ARPAT. I motivi di tali esposti sono rappresentati nel grafico (si fa presente che gli esposti presentati possono essere originati da più di una problematica).

In 9 casi si registrano anche ricorsi alla giustizia amministrativa per la revoca dell’autorizzazione.

In 12 casi i cittadini hanno anche esercitato il loro diritto di accesso ai documenti amministrativi e/o ambientali relativi all’impianti contestato.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica degli impianti in esercizio che risultano contestati il quadro è il seguente:

Provincia N° impianti contestati % impianti contestati N° impianti censiti % impianti contestati su censiti
Arezzo 9 28,1 12 75,0
Firenze 5 15,6 11 45,5
Grosseto 5 15,6 15 33,3
Lucca 3 9,4 4 75,0
Pisa 3 9,4 11 27,3
Siena 3 9,4 5 60,0
Livorno 1 3,1 2 50,0
Massa Carrara 1 3,1 1 100,0
Prato 1 3,1 2 50,0
Pistoia 1 3,1 4 25,0
tot 32 100% 67 47,8%

arpat pdf

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