Ci sono vittorie che sembrano scritte nel destino, altre che vanno strappate con le unghie e con il cuore. La vittoria di Merano su Albatro, nella decisiva Gara 3, è un inno alla seconda possibilità, a ciò che torna quando meno te lo aspetti – ma forse proprio quando sei pronto ad accoglierlo.
Il pomeriggio del 28 maggio resterà inciso nella memoria dei tifosi come quel momento in cui la città, stretta fra le montagne e i ricordi, ha riabbracciato un sogno che mancava da vent’anni. Era dal 2004 che i Diavoli Neri non si affacciavano a una finale scudetto. Allora, contro Conversano. Oggi, ancora contro Conversano. Come in un romanzo che ha deciso di concedersi un secondo capitolo.
Nel cuore del PalaWolf, l’aria era densa di attesa e sudore, il parquet tremava sotto i colpi dei passi, dei fischi, degli applausi. I tifosi, come onde contro gli scogli, non hanno mai smesso di spingere la squadra con la voce e con gli occhi. C’erano padri e figli che non avevano mai vissuto insieme una semifinale, e c’erano vecchi cuori neromeranesi tornati a battere come allora.
Tommaso Romei, il protagonista senza maschera, ha firmato una prestazione da romanzo breve ma intenso: quattro reti che pesano come pietre sul cuore degli avversari. Ogni suo tiro sembrava urlare “noi ci siamo ancora”, ogni suo movimento era una dichiarazione d’intenti, una danza tra rabbia e lucidità. “Giocare queste partite è come camminare su una corda tesa sopra la storia”, avrebbe potuto dire uno come Gianni Mura, e Romei su quella corda ha ballato.
Ma sarebbe ingiusto parlare solo dei numeri. Questa vittoria è stata il frutto di una squadra che ha scelto la lotta. Difesa compatta, animi caldi ma teste fredde. L’Albatro ha provato a rientrare, a graffiare, ma ha trovato davanti un muro fatto di mani, urla, tattica e fede. Il tecnico di Merano non ha mai smesso di incitare i suoi, mimando schemi come un direttore d’orchestra impazzito nel crescendo.
E adesso? Adesso si torna lì, dove tutto era iniziato. Conversano. La rivincita di una generazione, l’eco di un passato che chiede di essere trasformato in presente. La finale sarà una sfida non solo sportiva, ma emotiva. Gara 1 è già in programma per sabato 31 maggio in Alto Adige. Poi la trasferta al Pala San Giacomo il 7 giugno, e se servirà, l’11 giugno si chiuderà tutto in casa dei Diavoli.
Ma questa non è solo una corsa al titolo. È una corsa contro il tempo, contro l’oblio, contro la sensazione che certe occasioni non tornino più. Merano è tornata perché non ha mai smesso di crederci, perché vent’anni non cancellano un’identità, ma la scolpiscono.
Come scriveva Candido Cannavò, “lo sport è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”: e questi Diavoli, oggi, sembrano davvero incarnare il rito di una rinascita. La finale non sarà solo un duello per il tricolore. Sarà il teatro di una storia che vuole il suo finale, finalmente, scritto in rosso e nero.