Bokassa non paga
POLPETTONE RIPIENO
Una giornata scialba, perdìo, e i settecento euro che penzolano sopra al naso da giorni. Le gomme invernali e l’assicurazione, il conto che scende la nostalgia e quelle robe varie da autunno pre-lockdown. La mattinata un fallimento: “Cosa farò da grande?”. Il caos primeggia fuori dalla scuola, i pulmini, le nonne pericolanti i guazzabugli prandiali. «Arrivederci professore».
M’avvio e la bolognese s’allunga sotto un cielo umido che sa di notte, e sono ancora le quattordici. Il ritorno è infinito e penso: “La casupola fredda va riaccesa in breve, ché ho lo stomaco in fermento. Più veloce Bokà, più veloce!”. Una volante, già occupata, mi fa cenno di calare. Ma in effetti cosa corro a fare dio madonna…
Poi la svolta, una rotonda sulla TAV, gli orti sociali: la strada, quella strada è un’illuminazione, è un madeleine urbano, per la vista! Girarci sopra, sì, e rivoltarsi indietro a quando ti fermavi al bar, quello laggiù! A destra! Il solito baretto affollato sulla sanpierina! Dio che porzioni, che bontà, solo a pensarci si accappona la pellaccia. Affare fatto gioco questa carta da due soldi, ché tanto ne ho già spesi e comunque non aprirò alcun mutuo.
Il campanello avverte sta arrivando l’ultimo cliente. «Si può ancora mangiare?».
«Avoglia, siediti là guarda, dove vuoi, tanto non c’è nessuno».
Salone vuoto, gli operai…andati, i tavoli puliti sani e profumati di spruzzino antivirale. La perfezione geometrica di un istante si condensa sulla panca di sinistra addossata alla parete, la luce che ricade placida sulla tovaglia rossa.
Lo sport i contagi che girano e rigirano sul maxischermo si mischiano nel solito tran tran. E il nazionalpopolare farfuglia s’intreccia agli ultimi fumi che escono dalla cucina. La lavagnetta nera annuncia due pietanze per portata, ma alle penne speck e zucchine preferisco lui, sapore d’infanzia perduta, il forno in festa, l’amore che dilaga: Sua Maestà il polpettone. Ripieno, per giunta, di non so che misteri succulenti. «Poi un’acqua naturale e carotine baby, la ringrazio».
Grazie, oh signora dai capelli biondi, per la dolce attesa delle proteine degli zuccheri del pane e di tutto il bendiddio che s’abbisogna a quest’ora col corpo mezzo matto di digiuno.
Ti vedo che farcisci ma mi dai le spalle perché non posso assistere all’impiattamento, ferirebbe il desiderio nevvero?
Poi sollevi un po’ le braccia, ti volti e cammini dritta verso l’unico tavolo occupato. «Ecco qua, e questa è l’acqua. Buon appetito».
«Grazie mille».
Tre pezzi grossi. Il primo è un culacciolo, lo strato di carne è circa 3-4 centimetri, più due dita di spinaci umidi e lucenti, e due fette arrotolate di maiale. La crosta s’ammanta e tutt’attorno pare ungere le mura di riflesso. Il secondo pezzo è più esteso ma meno cicciotto con una quantità inferiore di verdura ma più e più mortadella. Nel terzo pezzo, di media grandezza, l’albume rassodato di un uovo circonda un umile tuorlo che si accoppia dolcemente con carne e spinacetti. Il ripieno, che trasluce al cielo, è ben tenuto insieme, ma distinto a far sentire la diversa consistenza. Conclusasi quest’ultima con la croccantezza dei bordi tondeggianti.
A circondare come un abbraccio arancio le carotine baby, anch’esse unte nell’olio con spruzzate di prezzemolo saporito al pepe nero.
Ingurgito.
Velocità medio-alta, divoro con erotica passione. Di tanto in tanto un morsino di pane un poco di carote una sorsata. E il boccone di turno scende giù di piacere in piacere, mentre al bancone la radio ciana e la TV sul muro s’impantana condita di opinioni così affascinanti…
E allora: “Cosa fai Bokà datti un freno smetti di mangiare, pulisciti la bocca… cosa scegli? Prendi posizione, perdìo: il tuo polpettone ripieno, il vuoto nello stomaco a riempirsi di un eterno giubilo, oppure il gioco delle parti, la democrazia, il dibattito presenza-non presenza, i numeri l’economia la scuola la salute, l’allarme degli esperti le finestre affacciate sul mare degli inetti dei morti viventi…?”
L’ultimo pezzetto scivola e un nirvana bislacco mi conduce lontano sopra il tavolino rosseggiante, il lucernario, il bar deserto di operai che sono già rientrati sugli attenti. Mi sento sazio come mai nessuno, un pallone che vola per un attimo sui tempi morti. Poi mi riassetto, col tovagliolo assorbo l’olio sulle labbra. I movimenti sono lenti, affaticati, quasi ponderati. Mi alzo riprendendo la mia roba, la mascherina un cappello blu alla marinara ed un cappotto verde. Affondo i passi verso il bancone su cui poggiano un paio di tazzine consumate. «Sono otto euro con caffè compreso», ed un sorriso mi attraversa in diagonale. La signora pensa ad un congedo in grande stile, lamentando col suo ultimo cliente la chiusura serale: «Finiremo sul lastrico, su rete quattro un esperto mondiale ha detto … uscire … i soldi … la fame … così non si può andare».
Faccio spalline, non lo so che dire, sul serio. Empatia, solidarietà, lo stesso sangue umano che scorre su e giù lungo la sala vuota.
“Bokassa tocca piano, Bokassa non parlare… Il polpettone poi era squisito, devi solo ringraziare. Come dici? E’ solo un grande sogno? Beh, sotto sotto te la puoi ancora dormire, no? Da bravo, fai silenzio, torna a digerire”. Saluto e me ne vado finchè lei non mi richiama sulla soglia.
Silenzio, la scruto un attimo negli occhi e penso “Ok, questa signora ha ragione. L’avete tutti un po’, ragione, no?”
«Come dice? Cosa farò da grande? Il polpettone. Ripieno, per favore».