I terremoti sull’Appennino associati al rilascio di 1,8 mln di tonnellate di CO2

Lo studio Ingv e Università di Genova condotto sui dati dell’ultimo decennio

I terremoti sull’Appennino associati al rilascio di 1,8 mln di tonnellate di CO2

Il nostro pianeta rilascia CO2 di origine profonda anche in aree sismiche in cui non sono presenti vulcani attivi

[27 Agosto 2020]

www.greenreport.it

I terremoti appenninici nel periodo 2007-2019 (inclusi gli eventi catastrofici del 2009 e 2016) sono stati accompagnati da picchi evidenti nella quantità di CO2 trasportata dalle grandi sorgenti in Appennino: è quanto emerge dalla ricerca Correlation between tectonic CO2 Earth degassing and seismicity is revealed by a ten-year record in the Apennines, Italy, condotta da ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e dell’Università di Perugia.

«Per la prima volta è stata condotta un’analisi dei dati geochimici e geofisici raccolti dal 2009 al 2018 – spiega Giovanni Chiodini, ricercatore Ingv e coordinatore dello studio – Gli esiti di questa ricerca hanno evidenziato una corrispondenza tra le emissioni di CO2 profonda e la sismicità mostrando come, in periodi di elevata attività sismica, si registrino picchi nel flusso di CO2 profonda che man mano diminuiscono al diminuire dell’energia sismica e del numero di terremoti».

Lo studio è stato condotto attraverso il campionamento di sorgenti ad alta portata (decine di migliaia di litri al secondo) situate nelle vicinanze delle zone epicentrali dei terremoti verificatisi in Italia centrale tra il 2009 e il 2018. «Tali campionamenti hanno permesso di caratterizzare l’origine della CO2 disciolta nell’acqua delle falde acquifere e di quantificare l’entità della CO2 profonda – dettaglia Carlo Cardellini, dell’Università di Perugia».

Come ricordano dall’Ingv il nostro pianeta rilascia infatti naturalmente CO2 originatasi in profondità nel sottosuolo, prevalentemente dai vulcani; tuttavia tali emissioni avvengono anche in aree sismiche in cui non sono presenti vulcani attivi. In particolare, questo fenomeno risulta più intenso nelle regioni caratterizzate da tettonica estensionale, come l’area degli Appennini.

«Per quanto le relazioni temporali tra il verificarsi di un evento sismico e il rilascio di CO2 siano ancora da studiare – prosegue Chiodini – in questo studio ipotizziamo che l’evoluzione della sismicità nella zona appenninica sia modulata dalla risalita di CO2 accumulata in serbatoi crostali e derivata dalla fusione di porzioni di placca che si immergono nel mantello».

Questa produzione continua di CO2 in profondità e su larga scala favorisce la formazione di serbatoi sovrapressurizzati. «La sismicità nelle catene montuose – precisano i ricercatori Ingv Francesca Di Luccio e Guido Ventura – potrebbe essere correlata alla depressurizzazione di questi serbatoi e al conseguente rilascio di fluidi che, a loro volta, attivano le faglie responsabili dei terremoti».
I risultati dello studio forniscono, dunque, delle evidenze su come i fluidi derivati dalla fusione di placca nel mantello svolgano un ruolo importante nella genesi dei terremoti, aprendo nuovi orizzonti nella valutazione delle emissioni di CO2 a scala globale.

«La stretta relazione tra il rilascio di CO2 e l’entità dei terremoti, unitamente ai risultati di precedenti indagini sismologiche – conclude Chiodini – indica che i terremoti dell’Appennino registrati nel decennio analizzato sono associati alla risalita di CO2 profonda. È interessante rimarcare il fatto che le quantità di CO2 coinvolte sono dello stesso ordine di quelle emesse durante le eruzioni vulcaniche (circa 1,8 milioni di tonnellate in dieci anni)».

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