Le cronache di Francesco Niccolai sul terremoto del 1919 in Mugello

Quelle che seguono sono le cronache di Francesco Niccolai, il famoso autore della Guida del Mugello del 1914, pubblicate a puntate sul Messaggero nel 1919 dopo il sisma del 29 giugno che documentano i danni al patrimonio artistico e religioso nelle campagne. Non mi risulta che da quell’anno siano mai state ripubblicate mentre sono di grande interesse perchè contengono una descrizione precisa della situazione e anche indicazioni preziose sulle opere da intraprendere per una corretta ricostruzione e per riparare ai danni fatti in passato in  molti interventi su chiese e palazzi.(LR)

Terremoto del 1919 in Mugello : i danni al patrimonio artistico nelle cronache di Francesco Niccolai

La desolazione delle chiese e dei casolari distrutti

Da San Cresci a San Gaudenzio in Alpe

Un esame di sfuggita alla Pieve di S. Cresci. L’intero fabbricato ha subito uno spostamento sui suoi lati sud e ovest in corrispondenza del porticato. L’intravatura della navata destra si è scardinata dal muro di sostegno della navata centrale, ha ceduto producendo uno sfiancamento di circa trenta centimetri e la rottura di una trave maestra longitudinale casualmente arrestata nella caduta. Il campanile ha un cretto sotto la monofora frontale. All’interno si manifestano enormi cretti specie sopra l’altare di fondo a destra. Quelli della navata maggiore hanno scoperta l’architettura gotica dell’edifizio in due volte archiacute impostate forse su di una colonna mediana e due semicolonne estremali ed hanno scrostato irreparabilmente l’interno degli otto quadri di affreschi tricromi dell’Ademollo che illustravano gli atti di San Cresci e dei suoi compagni di martirio.
Non sembra possa convenire ritrovare e ripristinare la costruzione gotica, quando si abbia riguardo alle condizioni instabili del terreno socciacente e all’eterogeneità dei materiali adoperati.
Delle case coloniche le più danneggiate trovansi in Corolla e Arliano più che in Val di Strulla.
La chiesa del popolo di S. Quirico e Uliveta ha qualche cretto non grave, ma guasto n’è il campanile e sconquassata e rovinata la casa parrocchiale. Quasi ovunque inabitabili e collabenti per forti lesioni , le case coloniche sono addirittura scoperchiate e rovinate nei poggi di Uliveta. Crettata è la villa del Palagio e rovinata la cappella Magalotti di Pescina insieme con gli affreschi e le decorazioni di Bernardino Poccetti. Nel territorio di S. Quirico ho visto tracce di emanazioni ed ebollizioni termominerali in prodotti effusivi di sabbie minutissime depositatesi attorno a piccoli meati di sfogo in un pratello di erba medica nel podere delle Selve, nel podere di Ricavo, appartenente alla chiesa, nonché in un podere Gerini nel contiguo territorio di San Donato al Cistio.
Nella seconda delle cennate località si osservano , in un campo di granturco, … macchie biancastre.

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Lungo la strada che girando lo sprone di Montazzi, segue sulla destra il corso della Sieve, mi avvio in macchina verso Ponte a Vicchio e le balze di Dicomano.Quasi ogni casolare e caseggiato del Cistio, di Pimaggiore, di Bovino, Celle e Villa rivela al binocolo le sue ferite e macerie. Salgo sul poggio dove era la Pieve di S. Maria a Dicomano ed oggi è una carcassa disforme sventrata ove si accumulano le rovine della parte anteriore , aggiunta, del fabbricato e della vasta torre che sopportava il campanile a vela. Due delle tre campane si frantumarono cadendo insieme con la parte superiore della torre, e solo la maggiore, fusa nel 1871, è rimasta illesa. Le pregevoli pale d’altare sono state poste al riparo in Dicomano nel palazzo dei marchesi Bartolini – Salimbeni. Una metà della popolazione di Dicomano dorme ora nelle case , ma tutte , eccetto una, in calcestruzzo, prossima al buffet della Stazione, sono più o meno gravemente lesionate.Il Palazzo della Nave è da demolirsi; le scuole funzionano all’aperto. Nel Palazzo Comunale , franato, sono rimaste abitabili solo la Sala del Consiglio e l’atrio di entratura. La popolazione desidera un maggiore interessamento del Comitato Fiorentino di Soccorso ed attende un impianto sollecito di baraccamenti di ricovero e di baracche e tendoni per le masserizie in paese e per le masserie e il bestiame nella campagna.
Delle frazioni sono state danneggiatissime Casaromana e Orticaia , ove le case sono rase e tutto il bestiame alberga fuori; né diverse sono le condizioni delle parrocchie affacciantisi nella valle del fiume di Sangodenzo. Ad Agnano la Badia è addirittura spianata , rovinata cioè completamente. A Tizzano la chiesa di Sant’ Andrea mostra bipartita da un cretto la loggetta , rovinata per metà la tettoia ed aperto un grosso cretto dietro l’abside in corrispondenza della pala robbiana del 1504.
In condizioni analoghe trovasi Vicolagna, Frascole , Celle e Villa. Le case coloniche dei relativi popoli sono in condizioni ben tristi. Minori d’alquanto, per quanto sempre gravi, si riscontrano i danni a San Detole, Vicorati, Petrio e nella frazione di Londa amministrata da Dicomano. Nell’oratorio di Sant’Onofrio cadde nella scossa del 29 la statua della Madonna sovrastante al timpano della facciata e si produssero internamente due cretti laterali omologhi nei bracci della croce greca. Enormemente danneggiato è l’appennino di Dicomano popolato quasi per intiero dalla frazione di Corella . Il fabbricato della pieve di San Martino non ha intatti che i pilastri ; le pareti e gli archivolti hanno fratture multiple, le finestre rettangolari completamente sconvolte, parte della tettoia caduta. Ogni suppellettile e i quadri ne sono stati rimossi . Veggo solo tre campane posate fuori sul piazzaletto, delle quali due fuse da Terzo Bafanelli di Pistoia a spese del pievano Giuseppe Nati vittima del terremoto, che ve le aveva inaugurate il 2 ottobre 1910, e l’altra recante l’iscrizione : ad Dei gloriam divi Martini honorem … rector dominus Andrea Andrellini … anno domini 1745. Una quarta campana ,fusa al tempo di don Antonio da Prato nel 1686 e rifusa nel 1910, trovasi in sacrestia allato di due tabernacoli in pietra e a due acquasantiere in marmo. Delle cento ventitre famiglie del popolo solo quelle abitanti al Ponte , alla Pieve , a Casanova e a Doccia hanno la casa dichiarata abitabile; tutti gli altri casolari e gli agglomeramenti maggiori sono orribilmente distrutti: così Ossarigo , Casa Federigo, con le sue nove famiglie, la Villa , Larciano, pure con nove famiglie, il Poggio, Campo Iti, Casa Gardo, Poragetta , Petrognano, ca’ Martino e casa al Tronco, gli ultimi due nel versante adriatico.La frazione riconosce, per testimonianza dei suoi terrazzani, di essere stata prontamente soccorsa e fornita di viveri. Ha anche vari tendoni della Croce Rossa Americana e della Direzione di Sanità. Si desiderano , semmai, ricoveri opportuni per il bestiame.

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Di baraccamenti o tendoni per riporre il grano e per ricoverare il bestiame mostrano desiderio i contadini del popolo di Sambavello : ugualmente desiderata è dal Pievano una tenda “Roma” per il ripristino degli uffici del culto, non essendo a ciò più idonea la chiesa ove il campanile a vela, cadendo insieme con parte della torre, ha fatto sprofondare metà della tettoia della navatella sinistra , sotterrando sotto le rovine la campana maggiore e sbattendo le altre due una al di qua una al di là del muro perimetrale. Il catino dell’abside ha una frattura che interessa anche l’archivolta della monofora ; la facciata ha parzialmente rovinato dalla parte della canonica , e tutta la navatella destra si è spostata verso di quella scardinando le intravature e producendo un rigonfiamento della parete, più di una crettatura degli spigoli e una vasta apertura nella tettoia. Parimenti è caduta la volta sull’altare della Madonna. Dei casolari di Sambavello, Pruneta ha tre case sventrate e una sola abitabile, Cafaggio , dove si ebbero due feriti, è rovinata completamente, Gugella ha sei case spalcate le altre ( eccetto tre di recente costruzione abitabili) lesionate gravemente, Boneci è ridotto in macerie. Solo ad Aiaccia e Ponte alla Massa le case sono semplicemente lesionate. Le tende distribuite sono sufficienti per le persone; ma ai bisogni agricoli non è ancora adeguatamente provveduto.

Da San Babila a Sambavello a San Gaudenzio all’Incastro

Meno danneggiata della Pieve di Sambavello è la Badia di San Godenzo, ove è caduta pur qualche volta e si è prodotto uno spostamento nella facciata.Le case del paese sono internamente lesionate. La scuola e l’asilo funzionano sotto tende. Danni incomparabilmente maggiori si sono verificati nelle frazioni. Ché completamente rovinata è la chiesa di San Niccolò a Casale , sopra elevata di circa centottanta metri circa sopra il capoluogo, e gran parte dei suoi caseggiati. Rasata è Santa Maria all’Eremo con le case coloniche in gravissime condizioni. Ficciana ha la chiesa non troppo gravemente lesionata; così pure Castagno , ove , peraltro, come per Castagneto , nel popolo di Petrognano , urgono baraccamenti per la ragione della rigidezza del clima e per deposito delle robe.

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Vicchio mostra distrutta e scoperchiata la cupola centrale della sua Pieve e scoperchiato in gran parte il catino dell’abside, ove le rovine del fregio dei putti danzanti si frastagliano contro il cielo con un’ironia che solo il destino può offrire. Demolita è l ‘orchestra , tutto screpolato l’arco frontale, rovinato l’altare . Le pareti e le volte sono collabenti . Solo gli archi han retto. I quadri sono stati asportati e trasportati in luogo sicuro.

Di Rupecanina e di Rostolena le chiese sono da ricostruirsi totalmente.
Alle case di Mirandola e di Fortuna e alle Caselle, tutta una rovina , seguono ammonticchiati sul piazzaletto davanti e rincassati nell’interno i frantumi della Pieve di San Cassiano in Padule. Nel caotico ammassamento affiorano pezzi di blocchi scarpellati, capitelli, gradini e colonne. Non rimangono in piedi che le due pareti esterne laterali, la volta a vela del basamento del campanile , una semicolonna, e il catino dell’abside con la parete di fondo che la sorregge. Rimasta , ben s’intende, è la cripta, le tre finestrelle trilobate dell’abside e i due tabernacolini in pietra. Le centottanta famiglie del popolo è ben noto come siano state fra le più disastrate dal terremoto. Fra i maggiori caseggiati distrutti è , oltre ai sunnominati, il borghetto di Pilarciano : fra le case coloniche quelle dei poderi di Romagnano e del Colle , nido la prima a Monna Ciuta , la madre di Giotto,ereditata la seconda da Bice , sorella di lui, sposata a Piero di maestro Franco del Borgo San Lorenzo.
Della chiesa di San Guadenzio a Incastro , ad oriente della Pieve, non è rimasto che le due campane.Le suppellettili della chiesa e le masserizie della canonica giacciono sepolte e in frantumi sotto le macerie. Come della Pieve , che ha la stessa esposizione ad ovest , è caduta a blocchi la facciata per ribaltamento in fuori , stratificando ad ondate sul terreno le sue rovine, mentre la parete di fondo col coro e l’abside rovesciandosi pure al fuori è sbalzata a circa quindici metri di distanza verso il botro del Rio dell’Arsella. La permanenza in piedi delle due pareti laterali esterne, come in tutte le altre chiese esposte ad ovest, deve essere conseguenza della direzione ovest- est della scossa come l’inclinamento della parte superiore della facciata della Pieve di Borgo san Lorenzo.

Le diciassette famiglie coloniche del popolo dell’Incastro hanno le case tutte sconventate. Nessuno più vi si accosta. Una causa determinante di tale rovina credo possa essere la friabilità e leggerezza del terreno compreso tra il fosso di Poggio Bartoli e il Rio dell’Arsella: il poggetto almeno su cui era la chiesa è tutto di tufo friabilissimo ricoperto da un sottile velo di conglomerato. Con tuttociò un edificio si è mantenuto illeso su la stradina che sale alla chiesa venendo dalla Pieve. E’ una capanna costruita totalmente di mattoni delle Fornaci Brunori ventotto anni fa circa quando questa stette impiantata provvisoriamente nel fondovalle del Muccione durante la costruzione del foro di Gattaia.

Se fosse necessaria , è questa una nuova prova di quanta parte abbiano avuto nelle rovine del terremoto del Mugello le deficienze del materiale adoperato nelle costruzioni. Col materiale fluviabile levigato, a superfici curve, la malta non lega e non ripara allo slittamento. Esso può forse solo servire come materiale di riempimento e d’inghiaiamento.

Uno sbalzo notevole nell’intensità della scossa, a giudicare dagli effetti, si ha fra le due località suaccennate e i territori di Molezzano e Gattaia. La chiesa di Molezzano non ha sofferto gran che per quanto sia caduto per metà il campanile, sia rimasta lesa una piccola torre nella canonica e sia stata danneggiata la sacrestia. Quasi illesa poi è rimasta la chiesa di Gattaia; le case coloniche dei rispettivi popoli non consentono il paragone con quelle dell’Incastro e di Padule.
Molto lesionate sono le chiese di Casole, Farneto e Villore. Da abbattersi senz’altro si giudica la chiesa di Pimaggiore. Rovinata è pure la Cappella di San Giusto a Montesassi e crollata è a Vicchio la volta della Misericordia , pur avendo risparmiato la ceroplastica del Susini. Orribilmente rovinata è la chiesa di Vespignano e La Casa di Giotto con irreparabile iattura della suppellettile del museo.

Il terremoto ha smascherato magagne di costruzione ed incurie di manutenzione; ha colpito specie nei fabbricati delle chiese, le superstrutture e la discontinuità dei materiali eterogenei. Le chiese ridotte in stato irreparabile dovranno essere ricostruite. A questo proposito sarà bene osservare che l’opera del Governo dovrà di necessità limitarsi alla ricostruzione edilizia o alle riparazioni necessarie al riassestamento statico dei fabbricati. Per tutti i lavori di decorazione interna e per il rinnuovo di tutti gli oggetti inerenti al culto e per le surrogazioni di tutti quelli ( e non sono pochi) che non è decoroso siano ricollocati in posto ( balaustre, porte , paliotti d’altare, tabernacolini, cibori, acquesantiere, vetri colorati, gradinate d’altare , ecc), occorrerebbe se ne occupasse, con mansioni specifiche, un comitato locale autonomo che potrebbe intitolarsi “Comitato per il ripristino del culto nei conventi e nelle chiese mugellane devastate dal terremoto “ al quale dovrebbero aderire i rettori delle pievi. Detto comitato dovrebbe avocare alla sua gestione, e di necessità riscattare, le somme elargite da S.S. Benedetto XV e dai giornali cattolici, non senza tentare una discreta propaganda fra il clero americano, francese e spagnolo per un concorso finanziario. Il Comitato poi parrebbe dovesse destinare una certa parte dei suoi fondi all’acquisto diretto degli arredi per il culto comuni a tutte le chiese; ma per tutti gli altri oggetti sopracitati che devono essere appositamente costruiti chiesa per chiesa, il Comitato dovrà impegnare la massima parte dei suoi fondi nell’acquisto di materiale ornamentario da costruzione e nel pagamento della manodopera artigiana di speciali maestranze. Nella scelta e nell’impiego del materiale non devono farsi taccagnerie , né si deve più lavorare a risparmio.

Nelle chiese distrutte , in molte quindi di quelle sopraricordate , si sono riaffacciati i segni di sconciature, raffazzonature e gretterie indecorose. Anche fra le rovine le cose rappezzate e ricucite difficilmente riescono ad occultarsi. Chi rifarà un imbasamento d’altare così goffo come quello della Pieve di Corella ? Chi vorrà ricombinare con lastre di marmo e legname povero l’altar maggiore della Pieve di Dicomano? Per questo occorrerebbe che il Comitato facesse questa volta un maggior onore alla Toscana così stragrandemente ricca di pietre ornamentali e materiale decorativo e curasse gli acquisti diretti di necessari quantitativi delle più varie e pregiate qualità di marmi da cedersi via via alle maestranze nella misura valutata occorrente per la costruzione di ogni singolo oggetto progettato. La bella varietà di marmo brecciato giallo con vene colorate che si stende in massa marmorea da Montarrenti a Gallena, le non men belle varietà bianche e giallo chiare che si rinvengono nella massa marmorea di Marmoraia in territorio di Sovicille, le grigio venate di Poggio alle Case , le violette carnicine i brecciati di Lucerena , i calcari rossi delle Cornate di Gerfalco ( bellissima pietra ornamentale per costruzioni architettoniche) , il marmo saccaroide di Monte Calvi , nel campigliese, il broccatello rosso o mischio della Gherardesca presso Castagneto, il marmo brecciato varicolore di Caldana; i quarzi affumicati di Chianciano, offrono, anche indipendentemente dalle serie marmifere del gruppo apuano, il miglior materiale, a relativa portata di mano,che possa occorrere per la costruzione di gradini d’altare, di ciborii, di balaustre e di tutti quegli altri oggetti di cui abbiamo fatto parola. Un tempo ci sono stati i pitocchi del culto : proprio quelli che grazie al terremoto potrebbero anche sparire.

Da San Giovanni Maggiore a S. Martino a Vespignano

La chiesa di San Giovanni Maggiore mostra sconnesso il soffitto piatto a cassettoni dipinti, lesionate le volte degli archi, staccatasi con notevole spostamento del corpo del fabbricato la loggia frontale. Contuttociò il danno maggiore è nel campanile. Il primo ripiano a sezione interna quadrata con inizio esternamente di basamento e fasciamento cilindrico non poteva certamente , per la grossezza stessa delle sue pareti spesse circa un metro e mezzo e costruito di massacci enormi, rimaner danneggiato dal terremoto. Questa parte inferiore del campanile rappresenta, fuor di ogni dubbio, un relitto di costruzione del castellum romanico-barbarico del sesto secolo edificato sull’antica strada romana tracciata ad ovest dell’attuale faentina. Romane ,del periodo della rozzezza barbarica della decadenza , sono appunto le quattro monofore rettangolari che si aprono sui quattro lati del basamento in questione.
Il secondo ripiano invece rivela subito la caratteristica costruzione a sezione e rivestimento ottagonale con otto finestrelle . Sussegue a questo primo , nel terzo ripiano, il secondo ordine di monofore che con la loro maggiore ampiezza conferiscono all’alleggerimento dell’edificio verso l’alto. Solo due conservano l’apertura originaria; quattro sono completamente otturate e l’ottava è ostruita con un velo di mattoni. Cretti e spaccature si dipartono da sopra gli archivolti dispargendo le loro incrinature lungo le pareti verticali e le cilindriche degli intradossi.

Poiché l’ultimo terzo dell’edifizio , comprendente questo e la sovrastante cella campanaria che ne costituisce un quarto ripiano, risulta tutto scommosso e sollevato da un moto vorticoso del terremoto che ha agito su pareti meno spesse e di materiale più trito e meno omogeneo, producendo anche un cretto elicoidale che ne avvolge tre lati.
Analogamente appaiono pure in questo ripiano otto finestrelle di maggiore ampiezza, delle quali quattro sono otturate e delle rimanenti qualcuna ingrandita con diminuzione dello spessore della parete. L’edifizio è stato oggetto di manutenzioni che ne compromisero sempre più la sua estetica e così malversato dal terremoto recente meriterebbe che fosse restaurato con l’esecuzione del progetto già da molti anni esistente per la riapertura dei quattro ordini di monofore e col rifacimento della parte superiore collesionata e della copertura oggi collabente.

Il territorio di San Martino a Vespignano trovasi per intero nella zona più intensamente danneggiata. Le novanta famiglie coloniche hanno avuto le loro case demolite con franature parziali di tetti e cadute di macerie. Le tre vittime del popolo ( due ragazze e una vedova tra Pesciola e Mattagnano) potevano essere molte di più , e anche centinaia se, in attesa e in preparazione della celebrazione dell’ottava del Corpus Domini e della processione che dopo cinque anni doveva proprio quella domenica rifarsi, la gente invece di venir sorpresa dalla scossa mentre si avviava alla chiesa , vi si fosse già trovata raccolta. Come la canonica e la sagrestia, la chiesa ha la tettoia in parte scoperta e nel resto scollegata e collabente . La volta a vela del presbiterio , decorata ventidue anni fa circa dai fratelli Chini, è orribilmente crettata e frantumata, mentre nell’abside, al di sopra della finestra rettangolare , scardinatasi, si è riscoperta l’originaria ad arco. Altre finestre si rivelerebbero dalle incrinature pure delle pareti. Il disegno di una finestra appare da un’incrinatura sulla pala murale d’altare ove è frescata una Madonna del Latte del secolo XV che si vuol tentare di recuperare scrostando la parete. Il campanile rivela uno spostamento nello spigolo sud est sotto la cornice grondale. Un chilometro sopra la chiesa è la Cappellina della Bruna che , volta com’è a mezzogiorno, mostra il braccio sinistro della soprastante croce di ferro girato di circa trenta gradi a Est verso nord est. Spaccature multiple ne hanno sconnessa tutta la parete di fondo in corrispondenza , all’interno, di un affresco a muro raffigurante una soavissima Madonna del Latte in seggio fra due angioli , lo stesso soggetto cioè che è rappresentato nella parete frescata della chiesa. Sotto la Bruna , nome comprendente gli antichi possessi dell’antica famiglia Bruni originaria del luogo , il Palazzaccio, abitazione colonica, già sede avita della ricordata famiglia, ha seguito dal meno al più , la sorte comune di Vespignano che è la sorte della villa Cipriani-Cateni che ha la torre screpolata e gravemente lesi gli ambienti, la sorte della graziosa torretta del Castello, nonché della sedicente Casa di Giotto ove era raccolta tanta preziosa suppellettile trecentesca ed illustrata in riproduzioni fotografiche l’opera del pittore. Gli ammassi di macerie che la stringono appaiono una costrizione,un po’ beffarda, al suo vanto passato.

Da San Piero a Pimaggiore a San Donato al Cistio

Nessuna strada del Mugello offre in tutta la sua percorrenza una visione altrettanto nitida e larga della campagna come la comunale che su la destra della Sieve si stacca da S. Piero a Sieve al ponte sulla Carza e per Serravalle e Sagginale riesce al Ponte a Vicchio allo sbocco del fosso delle Pulci.
La vallata non si vede ma la sua ampiezza d’aria oscilla fra la siepe rimonda della strada e la sovraemergente cresta dell’Appennino. Passato il Ponte a Vicchio la vista si rimpicciolisce in un frazionamento e rilievo di colli che su la sinistra della Sieve nascondono i monti come un’onda più forte il mare.

Passo oltre. La strada rade colletti foltissimi di ombre e riesce dopo un miglio nella conca di Maltempo, graziosa insenatura mormorante del Fosso degli Abeti. La Villa omonima che nel 1880 Federigo Velsini voleva destinata a Sede di un Istituto Agrario Mugellano per i sordomuti , traspare cielo da tutte le sue finestre. Tutti muri interni sono stati travolti dallo squassamento aggirante del terremoto; quei perimetrali si sostengono con puntellamenti: certamente la postura ne seduce la ricostruzione anche se poco dell’antico potrà recuperarsi.
Salgo fra le ombre di castagni al colle di Pimaggiore. La chiesa e i fabbricati attigui celano rovine e lacerazioni enormi. Nel piccolo fabbricato della chiesa si osserva il sommovimento del’impiantito e il paramento frontale staccatosi per vari cretti dalle pareti laterali rimaste tuttavia abbastanza ben collegate dalla volta a botte lesionata da un solo spacco notevole. Contuttociò quella di sinistra pende un po’ verso l’esterno. La piccola tribuna mostra due lacerazioni nella parete di fondo e crettate la volta mediana e le due volticine a vela appena accennate sui fianchi. Oltre a ciò sono spostati i due pilastrini sorreggenti l’archetto del presbiterio, specialmente quello di destra. Il campanile, cadendo tutto in blocco al momento fatale, ha rotto la scala sottostante , travolgendo le due campane , su una delle quali leggesi l’iscrizione : Puccius florentinus me fecit anno domini 1808.

Le rovine della canonica hanno rivelato costruzioni ad arco e un paramento in grandi blocchi di pietrame scarpellato obliquamente disposti per effetto di precedenti avvallamenti del suolo.
L’attigua casa colonica , su cui, a voler dir poco, dovettero passare indifferenti le scosse del 1881, si regge solo per sopportare le sue rovine ed è simile ad un casellario trogloditico con stipiti e architravi di legno noccoluto, indice dell’incuria più assoluta che ha passato per lunghi decenni su la manutenzione di certe case coloniche. Né in molto migliori condizioni trovasi le altre case coloniche delle circa sessanta famiglie del popolo sparse per i poggi di Pimaggiore, della Colla, di San Biagio, di Montesassi e di Romanesca, se dovunque i contadini si sono lamentati di non avere avuto di dove rimettere il grano.
Anche le ville meglio costruite sono danneggiate fortemente. Con ingente spesa è appena riparabile la più antica di esse costruita nel secolo decimo terzo da Smeraldo Adimari; mentre in quella del Poggiolo , nella parte di proprietà Fiani-Angioli , è caduta la colombaia, si è spaccato , per cedimento del suolo , l’impiantito della sala principale ove si è fratturato , per la caduta , un tegolo affrescato da Giovanni da San Giovanni rappresentante Leda col Cigno e autenticato dalla firma in bianco Giov. Da San Giovanni 1674 . Il bel viso di Leda è sparito; rimane solo quello della Vergine col Bambino affrescato in un altro tegolo.

Risalgo tra il freschissimo botro della Fonte degli Adimari su la stradicciola sassosa che conduce a San Giusto a Montesassi. Sotto il Poggio della Colla uno scalpellino sblocca e lavora l’arenaria per conto di proprietari che si vogliono ingegnare a ricostruire da sé. Esempio ottimo.
Raccolgo frammenti minuti di vasi etruschi di cui il sottosuolo del poggio è disseminato. Pochi passi difatto sotto la spianata ellittica del poggio, ombreggiata da un palina Angioli, enormi blocchi etruschi stanno sul lato di ovest ad indicare un avanzo della doppia cinta di mura che difendevano il soprastante pago. Poco dopo il Masso del Pievano si osservano alla Pozza del Marciato : le due buche comunicanti con un canaletto i resti di antiche condutture di una sorgente che concorreva nel fosso delle Rovinaie. Il sentiero che dalla Colla conduce a Montesassi trova a “la Gioia” i basamenti di tre menhirs , abbattuti dagli scarpellini parecchi anni fa, unici avanzi di culto druidico preromano esistenti in Italia. A Montessassi la cappella, fino al 1785 parrocchia di San Giusto a Montesassi, costruita a ridosso della casa colonica, ha la tettoia scoperchiata e la parete di sinistra in parte assottigliata dallo sgretolamento dell’apparato ciottoloso esterno. Illeso è rimasto il San Giusto, ben ispirato, del pittore vicchiese Malesci, che vi sostituiva la tavola originale della Vergine fra i santi Giusto e Lorenzo della scuola di Fra Filippo Lippi. L’ampia casa colonica è squarciata tanto all’interno che all’esterno. Se l’Economato indugerà troppo a ricostruirla , ed in ogni modo a ripararla in modo definitivo ( poiché in questo caso la riparazione provvisoria non avrebbe senso, anche per essere detta casa di proprietà della Pieve di Vicchio) i coloni si vedranno costretti, al pari di tutti quelli che non possono sperare nella doverosa solerzia di proprietari privati, a consegnare le bestie al padrone e a emigrare . Anche le case giù in basso dei poderi Cigalino (?) e Marroncino a Vignale e a la Consuma appaiono solo puntellate : non sarebbero dunque fra le peggiori.

Nello scendere da Montesassi, posizione in altri tempi strategica della valle, dispiace di perdere il più bel panorama di Vicchio.
Pure il territorio parrocchiale di San Donato al Cistio rientra nella zona macrosismicamente colpita.
La Villa Nesti , di fondamenti e muri perimetrali solidissimi, è da ricostruirsi.

Quasi demolita è la Villa Tafani. Danneggiatissime sono state le altre ville Roti-Facchini, Cerchiai, Bagni, Lapucci. Nessuna famiglia delle trenta case coloniche è tornata a dormire in casa.

La piccola chiesa che era stata restaurata nel 1908, mostra tre cretti forti all’arco a mattoni e qualche fessura intorno alla trave maestra della tettoia a cavalletto costruita pure di mattoni.

Il campanile cadde travolgendo ed incrinando una campana e rovinando la sacrestia con la tettoia su cui sopraelevavasi di circa 5 metri. La demolizione ne fu terminata dai pompieri. Sulla parete sinistra i cretti hanno smascherato il disegno di un’apertura : è rimasta però intatta la zona di parete dove è frescata una Madonna delle Grazie di tarda scuola.

(qui nello scritto c’è la firma di Francesco Niccolai ma poi l’articolo prosegue dopo alcuni asterischi e credo che sia ugualmente da attribuire al Niccolai. Ndr)

Profonda impressione di angoscia si prova visitando la plaga mugellana, dove più furioso si è abbattuto il terribile flagello. Le ville, che sorridevano su amene colline , rase al suolo. Chiese infrante, villaggi devastati ; paesi che mostrano le tracce della desolazione delle loro case mutilate, tutto l’insieme offre uno spettacolo desolante. Ma quello che più mi ha impressionato è stato l’osservare che in molti edifici ha concorso e concorre alla devastazione, oltre il terremoto, anche la mano dell’uomo! Attraversando Borgo San Lorenzo mi ha colpito lo sciatto che è stato fatto dell’antica e storica Torraccia Romanelli ; così dell’antichissimo campanile della vecchia chiesa francescana! E mi sono domandato : che necessità impellente c’era di demolire fino alle fondamenta quel campanile? Che dire delle venerande e vetuste mura di cotesta chiesa, dentro cui aleggiava lo spirito di S. Francesco d’Assisi? Vedendo coteste sacre mura in procinto di essere del tutto demolite dalla mano dell’uomo, ho chiesto a chi appertenesse questo edificio ed ho saputo che ne è proprietaria la famiglia Negrotto – Cambiaso, famiglia nobile e di sentimenti religiosi. Io non ho l’onore di conoscere questa nobile famiglia , ma se potessi avvicinarla, vorrei in nome dell’arte e della storia esortarla a desistere dalla totale demolizione di quelle sacre mura alle quali si sono inchinati ben sette secoli!

Da Santa Maria a Olmi a San Bartolomeo a Petrona

Alla chiesa di Olmi si è sfasciata la parte antistante della tettoia aderente alla facciata e che corrispondeva alla copertura dell’atrio primitivo incorporato al fabbricato della chiesa nel restauro fattone nel decennio 1560-1570 per riparare ai danni del terremoto del 1542.

La facciata, staccatasi dai muri perimetrali e dalle intravature, dovette in gran parte essere demolita dopo la caduta parziale causata dalla scossa. All’interno enormi squarci si aprono nella cupoletta del transetto e nel catino emisferico dell’abside. Scheggiato, colliso e mutilo di parte della sua modanatura si presenta il bel ciborio di marmo saccaroide.
Trapassando dall’affossatura del Fistona a quella del Faltona per le intermedie del rio de’ Formiconi e del rio di Fontegianni i danni ai fabbricati sono minori assai. Ciononostante la chiesa di Santa Maria a Cardetole, situata in piano là dove si riuniscono i due fossatelli che scendono dalla Tassaia, mostra un sensibile cedimento della parete frontale e delle due perimetrali con fissuramento degli spigoli e con spostamento delle modanature di gesso degli altari.

Che il moto vorticoso abbia agito anche su questa zona si desume da incrinature e cretti fra di loro ortogonali apparenti nella parete destra , nonché dallo spostamento delle calzature delle travi nei punti d’incastro nelle pareti e da gonfiamenti e sgretolii sotto le mensole di supporto.

Danni minimi ha subito il fabbricato della Pieve di San Piero a Sieve . Passato il ponte sulla Sieve osservo sopra la villa delle Mozzete le belle pareti dipinte e la volta del Tabernacolo di Croce di Via che nessun danno ha sofferto.
La piccola chiesa di S. Iacopo a Coldaia tra il Rimotoso e l’Anguidola, mostra fissuramenti negli spigoli, specialmente in quello di nord ovest, della facciata volta a ponente e un cretto nel sottarco della volta di mezzo.

Al Convento del Bosco a’ Frati si osservano lievi cadute dell’intonaco dei soffitti di incannucciati, qualche strapiombo ai muri esterni e cretti di considerevole entità. La celletta di san Bonaventura, in cui s’entra per una porticina con archivolto di più cunei, ha una spaccatura nello spigolo a destra dell’altare . Le quattro belle volte a vela della Chiesa rimasero assai sconquassate dal terremoto; attualmente i cretti sono stati riempiti di cemento e le volte stesse rafforzate di spranghe e di cordonature di ferro. Tutta la chiesa , nel cui sottosuolo è stata ricavata una lunga cripta per le arche sepolcrali gentilizie della famiglia Gerini , è in via di completo restauro da effettuarsi togliendo ogni elemento decorativo estraneo all’architettura, del più puro rinascimento , di Michelozzo Michelozzi.

Dovrà essere quindi sostituito con altro l’attuale altare di bellissimo barocco dorato, opera di un frate di San Francesco che vi lascio in cornu evangelii le sue iniziali accompagnate dalla data dell’anno 1648. Nell’orto del Convento una ciotola vascolare, il pozzo e un albero di corniolo basterebbero già da sé a risvegliare alla memoria l’umiltà di Fra Bonaventura che vi passò l’estate del 1273, se una terracotta di un frate artista che da sette anni fa parte della famiglia del Bosco non ce ne raffigurasse plasticamente in una cappellina l’episodio tramandatoci nel 1385 da Bartolomeo degli Albizi da Pisa di quando nel luglio 1273 vi riceveva il cappello cardinalizio dai messi del pontefice Gregorio X , già suo scolaro alla Sorbona.
Padre Odoardo Rossi , nato nel 1874 a Vernio, è il nome del frate che , restituito ora al silenzio del chiostro da un lungo servizio spirituale prestato come richiamato durante la guerra, plasma ora l’argilla con mani delicate per trarne gruppi armoniosi di volti di angioli e santi per le chiese delle Missioni francesi in Oriente e per le chiese della sua Toscana.

Nel suo piccolo laboratorio del Bosco si drizzava oggi contro un parete una lunetta calcata in gesso raffigurante “ il Battesimo di Gesù nel Giordano”. Sicuro ne è il disegno e la modellatura, sobrio e dolce il paesaggio delle rive del Giordano, soave l’espressione di due angeli inginocchiati su un masso sotto le figure del Nazareno e del Battista. La lunetta non rappresenterebbe , nel progetto completo fatto per la chiesa di Santa Maria degli Angeli in Lecore nei pressi di Signa, che la parte superiore sopraelevantesi su un ampio basamento in cui s’incava nel centro una vasca battesimale.
Il bozzetto d’argilla di questo piedistallo, frantumato dal terremoto, porta incorniciati minuti rilievi della vita di S. Giovanni ( Nascita , Predicazione alle turbe e Decollazione). Quando l’opera sarà tutta plasmata e calcata verrà maiolicata dalle Fornaci Chini di Borgo San Lorenzo.

Le opere di padre Odoardo, plasmatore e disegnatore autodidatta ( un’esercitazione di modellatura sul nudo e parti di nudo fatta per vari anni in gioventù presso la fonderia Lippi di Pistoia non fece altro che fargli acquistare un addestramento maggiore) adornano già in buon numero chiese toscane e sono , le più, d’ispirazione e soggetto francescano. Per la Badia di Pacciano nel pistoiese ha lavorato a bassorilievo una Morte di San Francesco , per la chiesa di San Romano una terracotta verniciata dell’altezza di due metri raffigurante La Vergine e San Francesco collocata nel frontone sotto la loggetta, per la chiesa dell’Osservanza in Siena una Concezione fra San Bernardino e San Francesco in terracotta, per le altre chiese un San Francesco che guarisce San Bonaventura e un San Bonaventura dottore alla Sorbona . Per la Chiesa della SS Annunziata dei Padri Serviti a Firenzuola padre Odoardo va ora ideando un’Annunziazione con una concezione nuova e complessa in cui il preannunzio della natività si integri con la visione e il godimento della pace e del resuressi glorioso attraverso il martirio del Calvario.
Penso, nell’accomiatarmi dal frate, con quanta grazia di vita potrebbero le sue mani riplasmare in una lunetta la leggenda di frate Meo da Fiorenza nel posarsi sulle sue mani e nel tremolare colle ali sulla sua testa degli uccelli del Bosco.

Ma penso che sovratutto che poco o punto profitto potranno trarre dall’opera del Padre Odoardo le chiese del Mugello devastate dal terremoto se le autorità ecclesiastiche, riattaccandosi ad una riforma progettata da Pio X , non ricreeranno una Commissione regionale per la conservazione del patrimonio artistico chiesastico.

Lascio il Convento del Bosco e nell’avviarmi a San Michele a Lucigliano ho una riprova come sia una frase fatta , e quindi non perfetta, che il Mugello sia una zona tutta così intensamente coltivata da non potervisi più operare dissodamenti. Eppure tutto questo altipiano di Comugnole, elevato circa 250 metri, che fra l’Anguidola e il Tavaiano , scende da Soli e dalla pendice del Bosco a Belvedere e alla cascina fino al ponte del Bandino è atto all’appoderamento, come dimostra la qualità del suolo delle vaste maggiatiche e dei vastissimi cedui di quercio fra cui provano molto bene peri e meli da innesto.
Nella piccola chiesa di Lucigliano il crollo parziale del campanile, non ancora abbattuto, ha sconnesso la parete di fondo su cui s’imposta. Non più che uno strapiombo di parete, operatosi con cretto fondo, presenta la chiesa di S. Maria a Soli. Di case coloniche solo una a Lupinata , in quel di Lucigliano, ha lesioni rimarchevoli.

Il terremoto non può dirsi che abbia fatto in tutta questa zona danni sensibili. Anche le case di Scaffaia non palesano né crolli né lesioni. Pure la chiesa di San Bartolomeo a Petrona , un chilometro ad est di San Piero , non ha riportato danni considerevoli pur notandovisi un leggero strapiombo nella facciata , un’incrinatura nella volta a botte, un cretto nell’arco trionfale e una lesione orizzontale nella piccola calotta del presbiterio.

Francesco Niccolai

Dal Messaggero del Mugello 1919

Tratto da “Mugello 1919” di Leonardo Romagnoli edito da Radio Mugello (2019)

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