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I DIVIETI DI FIRENZE

di Leonardo Romagnoli

I DIVIETI DI FIRENZE

La detta città di Firenze è molto bene popolata, e generativa per la buona aria : i cittadini ben costumati, e le donne molto belle e adorne: i casamenti bellissimi, pieni di molte bisognevoli arti, oltre all’altre città d’Italia. Prer la qual cosa molti di lontani paesi la vengono a vedere, non per necessità, ma per bontà de’ mestieri ed arti, e per belleza e ornamento della città”(Dino Compagni (1312)

I fiorentini, dal canto proprio, seccati da tante novità fragorose che turbavano la loro apatica tranquillità; seccati – diciamolo pure – dal vedere allargarsi ad un tratto il loro stretto orizzonte; risentendo i più danno e non profitto dal rincaro delle pigioni e della mano d’opera; sentendosi lacerare le ben costrutte orecchie dalle orribili favelle degli immigrati, si ribellavano e rispondevano salato alle critiche, correndo il rischio di perdere la fama di mitezza e di gentilezza goduta nei secoli (Ugo Pesci – Firenze Capitale 1865, 1904)

Tutta la città, un giorno o l’altro, si potrà chiudere dentro da un muro e farne gran museo col biglietto d’ingresso di cento lire. E per ogni dove cartelli e targhe in francese, inglese e tedesco per convincere i forestieri a buttar fuori la mezza lira, la lira, le dieci lire, le mille lire. Ormai non sappiamo far altro. Metà dei fiorentini campa direttamente alle spalle degli stranieri e l’altra metà vive sulle spalle di quelli che campano alle spalle dei forestieri. Se domani cambiassero i gusti e le simpatie di questi idioti di francesi, inglesi, americani e tedeschi, russi e scandinavi che vengono a vedere Michelangelo, Giotto e Botticelli – la nostra città sarebbe rovinata. A Firenze, appena si sente un po’ più la miseria, si dice subito : “ Quest’anno non c’è forestieri””(Giovanni Papini 1913)

Il Comune di Firenze e la Regione Toscana hanno sottoscritto un’intesa per limitare per tre anni le aperture di esercizi di somministrazione e alimentari nel centro storico del capoluogo toscano inserito nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Le intenzioni sono come sempre lodevoli ma gli strumenti scelti per raggiungerli sono invece pessimi come già era avvenuto con il regolamento approvato a suo tempo dal consiglio comunale (QUI). Sia chiaro che questa volta almeno i riferimenti legislativi sembrano appropriati, anche se l’art.52 del codice dei beni culturali sembra più rivolto al commercio su area pubblica, ma resta comunque la sensazione di un provvedimento che contrasta con i principi che sono alla base della più recente normativa a partire proprio dalla legge 28 della Regione che all’art..2 dice che “l’attività disciplinata dalla legge si fonda sul principio della libertà di iniziativa economica privata” e ribadisce di voler garantire la trasparenza, la concorrenza, la libertà d’impresa e la circolazione delle merci, l’efficienza e la modernizzazione, la tutela dei consumatori, la semplificazione burocratica, la valorizzazione del lavoro , “la salvaguardia e la qualificazione del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari, costiere e termali, ai fini di una equilibrata articolazione del sistema distributivo nell’intero territorio regionale “.
Anche il decreto legge 201 del 2011 citato a supporto del provvedimento restrittivo del comune di Firenze nel comma precedente a quello citato nell’intesa dice che “ secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura “ ovviamente nel rispetto della salute, dell’ambiente , incluso l’ambiente urbano, dei lavoratori e dei beni culturali.
Il provvedimento fiorentino, che la Regione vuol avallare, cita a supporto della fondatezza della scelta la crescita definita abnorme delle attività di somministrazione e alimentari della zona Unesco., “dai dati forniti dall’ufficio statistica del comune di Firenze – è scritto nell’intesa- risulta che negli ultimi 5 anni si è registrato un aumento degli esercizi di somministrazione del 28,6% in ambito cittadino, tuttavia mentre fuori del centro storico tali esercizi sono aumentai del 16% all’interno del centro storico sono invece aumentati del 44%. La densita di presenza di esercizi di somministrazione nel centro storico è di 215,4 esercizi per kmq, mentre fuori del centro è di 11 esercizi per kmq. Anche gli esercizi di commercio alimentare risultano aumentati nel centro storico del 78,7% rispetto ad un aumento sulla città del 10,7%, la densità di presenza di tale categoria di esercizi è di 48,1 per kmq : sommando le densità delle due tipologie di attività si arriva ad avere 263,6 esercizi per kmq”. La conclusione è ovvia “ questa tendenza rischia di snaturare le caratteristiche storico-artistiche-culturali della città”. I numeri fanno impressione ma non dicono niente perchè nella vendita di alimentari c’è la media distribuzione, Eataly e il piccolo venditore di bibite e acque minerali e uguale nella somministrazione dove c’è il ristorante da 100 posti e il venditore di lampredotto. Sarebbe stato più significativa un’indicazione sulla superficie commerciale dedicata a queste attività e sui posti a sedere nella somministrazione. Cosa significa che ci sono 48,1alimentari per kmq nel centro quando molti di questi sono piccolissime superfici e non valgono una sola media o grande superficie appena fuori centro storico? Che senso ha rapportare la presenza di esercizi ai kmq? Perchè lo stesso ragionamento non viene fatto per banche o negozi di telefonia?

Stiamo parlando di Firenze e il rapporto va fatto sulle presenze turistiche altrimenti non si comprenderebbe questa crescita nel settore alimentare e della somministrazione. Nel 2015 la sola Firenze ha potuto contare su 9 milioni di presenze turistiche concentrate in gran parte nella zona Unesco ed è per questo che nella stessa zona cresce l’offerta di somministrazione. Si direbbe una banale legge della domanda e dell’offerta in un settore che in questi ha creato numerosi posti di lavoro e nuove attività. Se una volta approvato questo divieto uno chef stellato come Bottura volesse aprire nel centro di Firenze cosa gli dirà il comune? Ripassi tra tre anni? Compri un’attività esistente? Premiando così la rendita e non certo la qualità. Ci sono preoccupazioni di tipo urbanistico? Per la vivibilità? In questo caso il comune ha tutti gli strumenti disciplinare ogni tipo di attività. Il regolamento urbanistico del centro storico può stabilire che gli infissi siano tutti in legno o ferro battuto, che non siano sono ammessse insegne luminose, che nelle piazze e vie del centro storico non è ammesa l’occupazione del suolo pubblico a fini commerciali (lo ha fatto spostando attività di commercio ambulante presenti anche da decenni). In questo modo l’aspetto esteriore viene salvaguardato indipendentemente dall’attività che viene svolta all’interno. Sulla vivibilità esistono le leggi che disciplinano le attività rumorose e quelle di polizia sui comportamenti delle pesrone che devono essere rispettate.
Con lo stop per tre anni si rischia invece di alimentare nuovamente il commercio di licenze che lieviteranno nel prezzo indipendentemente dal loro vero valore commerciale impedendo a chi ha idee e voglia di proporsi di inserirsi nel mercato o obbligandolo a pagare una tassa, una gabella, ancora prima di iniziare. I problemi del tessuto commerciale storico fiorentino sono di altra natura e attengono soprattutto agli spropositati canoni di affitto che hanno portato alla chiusura o allo spostamento di attività caratteristiche. E se cominciassero a proliferare negozi di giocattoli e giochi di ruolo, di elettronica’ Che farà il comune un nuovo provvedimento a kmq?
Oppure la crescita del turismo non va bene? O si vorrebbe solo un turismo di alta fascia interessato alle firme della moda e del lusso ? Che spelluzzica e non mangia?
Infatti l’intesa si propone , come già il regolamento dello scorso anno, di ammettere in alcune vie del centro solo l’apertura anche per trasferimento delle attività di “commercio al dettaglio del settore di moda di alta gamma, librerie, gallerie d’arte e antiquari, arredamento e designer, banche e assicurazioni, commercio di oggetti preziosi, commercio di orologi, commercio di oggetti d’arte, cose antiche o articoli di antiquariato, articoli di numismatica e filatelia, artigianato gradizionale e artistico”. Per assurdo in via Tornabuoni può aprire un negozio IKEA ma non un’enoteca di Antinori o Frescobaldi ( a meno che visti certi prezzi alcuni vini non vengano considerati oggetti preziosi).
Sul Ponte Vecchio i generi sono ulteriormente limitati agli oggetti preziosi, d’antiquariato, arte, filatelia e numismatica, orologi., anche se , visto che si vuole tutelare l’identità storica e culturale, non sarebbe stato male permettere l’insediamento di qualche beccaio.
“Nel 1442 l’autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e il decoro, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul Ponte Vecchio per renderli un po’ isolati dai palazzi e dalle abitazioni del centro. La disposizione mirava soprattutto ad eliminare le consuete, maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all’Arno durante il trasporto degli scarti più minuti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano ora disperdersi direttamente, senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume. Da quel momento il ponte divenne il mercato della carne ed i beccai, divenuti in seguito proprietari delle botteghe, per ottenere più spazio, vi aggiunsero in modo disordinato delle stanzette aggettanti sul fiume puntellandole con pali di legno “(Wikipedia)
Il Ponte Vecchio è così per merito dei beccai e non dei gioiellieri.

Leonardo Romagnoli

PS ci sono anche giornali che plaudono allo stop al “mangimificio” e poi pubblicano 12 pagine di pubblicità di bar ristoranti e prodotti gastronomici.

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