ESTIVA #3 Bokassa non paga

ESTIVA #3 

Bokassa non paga

 

– ‘ginone, ascoltami per l’ultima volta. Ti lascio le posate, visto che le hai perse, ma lavale, capito? Poi vi lascio la busta con la frutta, le pesche e le mele e poi…sjdhdhsghsjkebshi 

Gli ultimi consigli non li sento, una nebbia di lettere separate ballonzolano come suoni senza senso, nella speranza di essere assemblate in parole e frasi utili. “Con lo sguardo, le devi far capire che hai capito”.

–           Grazie mille ‘ginona. – La Ni capisce tutto, Claudione scoppia in una risata fragorosa. Dovrò imparare ad ascoltare, prima o poi. Accosto la Panda in una piazzola di Campo Imperatore, ai piedi del Gran Sasso. Scendo, osservo la “Mongolia italiana”, i pascoli estesi a perdita d’occhio, quintali e quintali di vacche abruzzesi. Lo spazio sembra abbracciare il tutto, mentre mi perdo ancora una volta in chilometri di niente…

 

 

– No! M’ha cahato un piccione sulla maglietta! – . Claudione si alza di scatto. – Forse un passerotto, boh, maiala velena che schifo!
– Via giù, ci tocca lascia’ l’ombra, gnamo al sole Claudio, così un ti cahano i piccioni dall’albero. – Claudione, come al solito, strizza gli occhi alla Clint Eastwood.
– Preferisco farmi caha’ addosso guarda.

Sul pratello, delle pollastrelle spelacchiate girellano come trottole dietro mamma chioccia. La quercia fa ombra mentre “aspetto i barbari” con J.M. Coetzee, sfogliando pagine infuocate, Claudione dà un colpo a Strade blu e un colpo al telefono, la Ni legge l’ultimo di Atxaga.

–           Ma non mi sta piacendo granché…

Saranno i cervelli in ebollizione, riscaldati al sole come al microonde, a far sfumare la concentrazione. Ricordo quel giorno, millenni fa, quando Claudione Icaro precipitò giù dal cielo con le sue ali di cera. Prima di sfracellarsi al suolo maledicendo Apollo in piena caduta libera esclamò “Mai più! Sulla mia tomba scriverete Sono nato, ho vissuto, son crepato all’ombra di una quercia o di un salice, o del cazzo che volete”.

– Vado a cambiarmi la maglietta, va’…

Mentre si avvia giù verso la piazzola, vediamo alcuni campeggiatori sistemarsi sotto la tettoia dell’Alta Montagna bio, agricamping di Accumoli: questa sporgenza laziale nel reatino circondata da ben tre regioni italiane e sorvegliata dai Sibillini è terra di pastori, agricoltori, montanari dalla testa dura e dal cuore gentile. Terra irrequieta, per giunta. Mamma Katia, degna figlia di questi luoghi, accoglie tutti come sempre con la sua parlantina e decine di storie su spiagge, parenti, America e bestie.

–           …E allora la zia…novantasette anni eh!…glie disse…damme n’aperol spritz va’!

Il pomeriggio è quasi finito, quassù a 1070 di quota fa caldo ma si tiene botta, all’ombra è ventilato e la notizia di una Siracusa sui 48.8, nuovo record europeo, scuote i social. Prenderemo tutti fuoco prima o poi, brilleremo all’orizzonte di una città extraterrestre sul pianeta Marte e diranno “Guarda’ ghe robba, sulla Tera stann’ a fa’ ‘a griglia stann‘ a fa‘”.
Pietruccio, l’aiutante, il padrino, rotondo ma leggermente schiacciato ai poli, la voce che si mangia la voce, se la prende con Roberto, il figlio mezzano di Katia e Guido.

–           Nun magnerebbe per non taglia’ ‘r pane. Te possino amm…aina’ [o cose del genere].

In cucina s’inizia a frullare avanti e indietro in attesa della cena mentre camminatori toscani del Chianti e dell’empolese, in viaggio sulle „Terre mutate“ del centro Italia, si siedono sfottendosi tra loro.

–           Eh bah sì, be’ consiglio tu gli hai dato, t’ha cahato di mórto! Ci credo, tu gli hai detto brucia tutto!
–           Oh che vòi, l’agricoltura l’è una roba cinica, un c’è da andare su i’ sottile.
–           Sì ho visto dice “non m’hai convinta”, pefforza!

Discussioni agricole, bruciare tutto, innaffiare di chimica ettari di azienda bio, magari bevendo Ichnusa e giocando a scala, in attesa della cena.

–           Giochiamoci un’altra birra vai – Claudione mette un po’ di pepe.
–           No dai è quasi ora di cena, scommettiamo già l’amaro per il post a questo punto – propone la Ni.
–           Sì comunque gente se non si scommette a giocare fate proprio cahare. Al contrario parete Flaminio Malaguti.
–           Che nessuno sa chi sia.
–           Il campione di poker, no?
–           Vabbè, ad ogni modo impegnati ‘ginone…Bokassa Bokassino. Sennò paghi, e zitto anche…

Le carte gironzolano in circolo, si accumulano, schiaffeggiano la tavola, si cambiano di posto e infine escono spavalde alla luce del sole.

–           Apro…anzi chiudo anche, vai. – Esulta Claudione – Due jolly…Tac!
–           Dai ma che cazzo!

Ho una predisposizione alla sconfitta, per fortuna mi consolano i profumi che dalla cucina fuoriescono diffondendosi ovunque. Un suono metallico apre le danze. – A tavola!
Venti…forse trenta persone aprono bocche e stomaci per l’infinito mentre Katia fa il suo ingresso con le prime portate: zucchine gratinate, affettati, pasta fritta con erbette, e i corpi che prima gorgogliavano disperati si acquietano sulla poesia di un croc.
C’è un po’ di tutto, la coppia del nord indaffarata a tenersi per mano, i bimbi che scorrazzano  dalla tavola al calcino schioppettandosi di palline in volo, frullando giocatori ingessati e inespressivi. Alla mia sinistra la quarantenne sola in cerca di se stessa, le meches bionde e il sorriso tenero della rassegnazione.

– Ginone vai, è tua – scherza la Ni, guardandomi divertita.
– Vai a cagher!
Il vino scorre a ettolitri, i cori si susseguono l’uno dopo l’altro.

Maremma maiala
Maremma maiala
un giorno tutti i grilli avranno una cicala!…”

La coppia del nord esprime una timida indignazione: non è quello che si aspettavano ma tant’è, un po’ di volgare allegria da cui difendersi abbracciandosi più forte.

“Il vino scroscerà da tutte le fontane
e il nuovo premio Nobel lo daranno alle puttane…!”

– Eh bella questa dio bono ci voleva i’ video – dice a fine coro il biondo empolese che pare un personaggio di Vikings.

– Oh d’altronde s’è fatto una scarpinaha, che non volei cantare stasera? A me m’han tirato giù da casa che ero ancora su i’ divano accidenti a loro accidenti, c’aveo ancora i’ telehomando in mano, dice gnamo si va a cammina’ in centr’Italia…eh ho capito vai!

Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Claudio e la Ni, godendosi gli amari vinti, ragionano col vichingo finché uno dei compagni, un avvocato del Chianti, non si avvicina dopo un quarto d’ora

– Eh, che è bell’arrivato a i’ viaggio in Argentina e all’azienda agricola, o l’è ancora a raccontare di’ figliolo di’ principale?

Fragori, offese amichevoli, giullari in rivolta, tutto partecipa di un sottofondo musicale a festa, un abito rumoroso che avvolge l’intera montagna.
Distante, sono seduto al tavolino delle carte e una donna, mai vista fino a quel momento, si siede accanto a me. Ha i capelli neri, mossi e legati con un nastro, un vestito scuro con qualche florilegio e una discreta scollatura. Ha le gambe accavallate, sbevucchia una birra lentamente e tiene le chiavi della macchina in una mano come se fosse pronta a partire da un momento all’altro.

– Eh già…me l’ha prestata una mia amica, la macchina, ma non so proprio… come tornare a casa. Troppo…è dalle…dalle 6 che mi pagano da bere.
Ciao….non ti avevo mai vista qui. Io sono Bokassa, detto Boka, o Bokà.
– Piacere Bokassa detto Boka, io sono Elle.
– Elle…sorella di Frisso…caduta nello stretto? Interessante.
– Sì, quella – conferma soddisfatta, ma con le palpebre che sembrano voler cedere di lì a poco. È quasi andata. Sbuffa e inarca le sopracciglia, poi mostra i denti in un sorriso imbarazzato. E’ lo sforzo in più, un sereno tentativo di restare a galla.
– Ho un po’ esagerato. Ma va bene così, l’importante è stare bene no?
– Eh beh, lo vuoi sul serio? – chiedo, pensando alla strada del ritorno.
– Lo voglio, decisamente, caro Bokà. – I suoi occhi si posano fissi sui miei – Sai che c’è? Ho deciso, ho agito, è stata durissima, ma ora sono…libera di essere…felice -. Si piega, la sua mano si posa sulla caviglia indolenzita, massaggiandola delicatamente.
– Ah, capisco.
– No, non credo…
– Scusa…ci conosciamo? – ribatto, infastidito dal suo tono perentorio.
– No, non ci siamo mai visti. Vedi… ho preso una decisione, io ho scelto.

È disinibita ormai, una condizione che trova nell’estraneo l’interlocutore più idoneo, la vittima perfetta di un’anima in fermento.

– Vivere una vita che non è la tua è come morire. Ma è stato straziante, difficile…molto difficile… oltretutto odio l’estate sai…
– Anch’io, se può consolarti. Eppure non va malaccio.
– La mia no, ho passato un’estate di merda, domani lavoro e sono a pezzi.
– Capisco.
– Te dici solo “capisco”, ma non puoi. Non devi. Rischi di giustificare tutto e tutti. Ma tu non capisci davvero, tu non sai niente.

Sorseggio l’amaro perso a carte, guardando Elle negli occhi. Non ho per niente voglia di morali. Eppure una strana curiosità mi attanaglia. Alzo lo sguardo, vedo un mare di stelle e penso a Kant, un filosofo che – così ricordo – disse una frase in cui c’erano stelle e morale insieme. Lei, ostinata, mi segue.

– Vedi, forse è quello lassù il confine tra me e te – continua.
– Beh, allora è infinito – osservo.
– Esatto…è…infinito, noi non ci capiremo mai.
– Dovremmo?
– No, mai più –. La sua voce ha una forza capillare, un che di misterioso che s’insinua in profondità toccando corde nascoste, come se quel momento fosse già accaduto.
– Comunque siamo a un metro di distanza, non è poi così tanto.
– Sì, è vero, un metro… incalcolabile…

Katia esce dalla cucina, poggia una mano sulla spalla di Guido che sta ridendo con i commensali. La figlia Barbara cammina scalza, strizzando gli occhi felice. Tutto sembra più opaco, quasi evanescente, avvolto in una nuvola di fumo: clamori, cigolii, rumori metallici, mani che toccano mani, bicchieri che battono, gocce che cadono sul pavimento…

– Siamo irraggiungibili, lontani da loro, lontani tra noi. Eppure così vicini.
– Irraggiungibili – ripeto, assorto…

Sembra un film, un patetico film in cui due sconosciuti s’incontrano a Manhattan, si inseguono, si parlano, si vivono un po’, senza trovarsi mai per davvero. Patetico come può essere la vita una sera di agosto, in un paesino sperduto del Lazio tra speranza e distruzione. La solitudine che chiama solitudine, e a pochi metri la vita che chiama la vita.

– Ehhh    siam     così     Guidoooo   un   t’offende’    eh,    si     sta     allegri     dio    bono     c’ho     le     caviglie    paio     l’omino    della    Micheline!

Elle tira indietro la testa ridendo di gusto all’ennesima battuta made in Chianti, interrompendo un dialogo immondo, forse necessario per un motivo che non so. Di nuovo guardo in alto e ammiro Cassiopea, la regina d’Etiopia, con la sua forma a W, e la piccola costellazione dell’Ariete da cui la giovane Elle cadde in quel mare che da lei prese il nome. Lontana anni luce da qui, eppure così splendente.

– È stato un piacere… Bokassa. Proverò a fare questo tentativo…come dire… indegno, tornare a casa. La Salaria dev’essere deserta ma …per arrivarci… sarà dura, oh se sarà dura…
– Ne sei proprio sicura?
– Io sì, e tu?
– Buona fortuna.
– A te -. Elle si avvia barcollando verso il cancello sul fondo in una sorta di valzer solitario per poi scendere giù e scomparire nel buio.

– Che fai? – la Ni sopraggiunge lasciandosi cadere sulla sedia vuota.
– Niente.
– Certo che ce l’hai bella alta eh
– Perché?
– Beh, parlavi da solo.
– Cos…?
– Oh! Che state a fa’? Ci facciamo ‘na partitella a calcino? – urla Katia, sbraitando le braccia dalla veranda.
– No vabbè, una serata memorabile…
– Già… ‘ndiamo

 

 

…Campo Imperatore è un cielo verde rovesciato. Mancano le costellazioni, ma in compenso straborda di vacche a zonzo. L’erba fluttua come il mare, in mezzo una strada si perde nella steppa ed io con lei, mentre irrequieto la inseguo in un tempo indefinito, lontano e irraggiungibile.

– Boka?? ‘ginone mi ascolti? Guarda che è l’ultima volta!
– Sì…grazie mille… – rispondo distratto…

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