È tempo di scoperte e riscoperte per gli appassionati di Dino Campana, il poeta errante, visionario, controverso, oggi sempre più al centro dell’attenzione critica e letteraria. In queste settimane si registra un crescente fermento intorno alla figura dell’autore dei Canti Orfici, grazie al ritrovamento di documenti inediti, manoscritti autografi e testi annotati, vere e proprie miniere di senso che aiutano a ricostruire non solo il percorso biografico ma anche l’architettura intima del suo immaginario poetico.
Tra i più affascinanti rinvenimenti, quello di una copia delle Opere di François Villon edizione Flammarion del 1910, con prefazione, glossario e note di Paul Lacroix, appartenuta a Campana e ricca di annotazioni autografe. Il libro, che si credeva perduto, è riemerso da una collezione privata e sarà esposto a Marradi entro l’estate 2025.
François Villon non è un nome qualunque per chi conosce il mondo di Campana: secondo Franco Matacotta, che nel 1941 pubblicò un articolo su Prospettive (rivista diretta da Curzio Malaparte), proprio quel volume Villon era tra i preferiti di Campana. Lo portava con sé durante le sue peregrinazioni nel Mugello nel 1916, “gualcito e postillatissimo”, segno tangibile di una consuetudine profonda con l’opera del poeta medievale francese. Villon, con la sua poesia aspra, ironica, tragica, si pone quasi come un antenato spirituale di Campana.
In effetti, la cultura francese è una delle componenti chiave nella formazione di Campana. Nella casa natale si parlava francese, come accadeva in molte famiglie borghesi dell’epoca, e le sue letture spaziano da Rimbaud a Verlaine, da Laforgue a Huysmans, passando proprio per Villon e i poeti della Pléiade. Campana assimilò questa cultura non solo nei libri, ma nei suoi vagabondaggi, nelle sue esperienze dirette in Francia e Svizzera.
Questa frequentazione con la lingua e letteratura francese si tradusse anche in un tentativo più strutturato: nel 1911 partecipò al concorso dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze per l’abilitazione all’insegnamento del francese. I manoscritti delle prove, ritrovati nel 2017 alla Biblioteca Medicea Laurenziana, testimoniano un Campana inedito, che fallisce nell’impresa per le sue carenze grammaticali, ma che già lascia emergere il suo stile visionario. In particolare, il saggio in francese Le repentir e quello italiano A zonzo per Firenze contengono nuclei tematici e immagini che prefigurano i futuri Canti Orfici.
Nel tema “fiorentino” Campana scrive:
“Firenze si delinea nei miei ricordi come un paradiso… i suoi colli che sembrano cesellati da un Dio artista… la commozione profonda all’apparire del suo duomo…”.
Già qui si respira la tensione mistica e sensuale, la percezione estatica del paesaggio e dell’arte che sarà il cuore della sua opera.
Ma non è tutto. Un altro importante documento è stato recentemente ritrovato grazie a Davide Servadei, della storica Ceramica Gatti di Faenza: il certificato di identità personale rilasciato a Dino Campana il 31 maggio 1900 dal Comune di Faenza. Si tratta di un documento scolastico, emesso per gli esami di licenza ginnasiale, che ci restituisce un ritratto fisico e burocratico del Campana quattordicenne:
- Statura: 1.62
- Capelli: biondi
- Occhi: chiari
- Naso: schiacciato
- Firma: Dino Campana
Un tassello apparentemente minore, ma che si inserisce nella mappa viva della sua biografia, contribuendo a dare corpo e voce al poeta.
Accanto ai documenti ufficiali, emergono tracce di relazioni e sodalizi artistici che ampliano lo spettro delle influenze su Campana. La copia autografata dei Canti Orfici con dedica a Giannetto Malmerendi, pittore futurista faentino, riporta:
“All’amico Malmerendi in segno di stima, Dino Campana”.
Esposta nel 2006 al Museo di San Francesco a San Marino, questa copia collega Campana a una rete di intellettuali e artisti romagnoli – da Malmerendi a Giacomo Mazzotti, dai fratelli Bosi a Achille Cattani, passando per il musicista Lamberto Caffarelli, ritratto proprio da Malmerendi. È il “viaggio della montagna verso La Verna”, fatto non solo di sentieri e paesaggi, ma di incontri e scambi culturali.
Significativa è anche la testimonianza del pittore e scrittore Luigi Bartolini, che conobbe Campana a Firenze tra il 1913 e il 1914. In un articolo pubblicato su Nuova Antologia nell’ottobre 1941 scrive:
“È Dio che manda sopra la terra creature come Campana… Questo sale fu Dino Campana. Il sale è Jacopone, è Villon, è Campana.”
Questa dichiarazione poetica restituisce l’immagine di un Campana “profeta involontario”, un “sale” destinato a insaporire il mondo della poesia con la sua disperata e grandiosa solitudine.
A distanza di un secolo, ogni nuovo ritrovamento contribuisce a ricostruire il mosaico complesso di una delle figure più affascinanti della letteratura italiana del Novecento. Un poeta che continua a parlare con voce viva e potente, e che oggi più che mai appare come una figura cruciale per comprendere le tensioni, le inquietudini e le visioni del suo tempo – e forse anche del nostro.
Marradi, Faenza, Firenze, Parigi, le biblioteche, le ceramiche, i treni notturni e i sentieri appenninici: tutto in Campana diventa poesia. E ogni nuovo documento, ogni libro ritrovato, ogni firma che riemerge dal passato, è una scintilla di quella fiamma che ancora oggi arde nei “Canti Orfici”, opera irripetibile e mitica, destinata a vivere oltre ogni tempo.



