Ci possiamo permettere il reddito minimo?

senzatetto

 

Un paese di poveri ricchi e di ricchi poveri

 

La situazione economica che stiamo vivendo ha avuto inizio nel 2007 con la crisi del settore immobiliare statunitense e dei mutui subprime che vi erano collegati. “Anche chi non aveva nessuna garanzia – i clienti subprime appunto – otteneva un mutuo sul 100% del valore della casa che voleva acquistare perchè le banche si disfacevano immediatamente del mutuo trasformandolo in uno strumento finanziario tramite un’operazione di cartolarizzazione “e immettendolo sul mercato finanziario mondiale attraverso canali non sempre trasparenti.”Quando alcuni mutuatari hanno iniziato a non pagare più le rate, nessuno sapeva più dove fossero finiti questi mutui subprime. L’intero castello di carte è crollato e in breve tempo è esplosa una crisi finanziaria e ancor prima una crisi di fiducia sui mercati mondiali”. Questo ha causato una recessione economica gravissima che ha richiesto da parte degli stati consistenti interventi finanziari per sostenere il sistema bancario che sarebbe altrimenti collassato. Tutti si sarebbero aspettati interventi per riformare un meccanismo così perverso e invece a sei anni sul fronte finanziario è stato fatto poco o niente, “la pratica della cartolarizzazioni è immutata e i paradisi fiscali godono di ottima salute, il sistema bancario ombra prospera, più opaco che mai”. Mentre non si è ancora riusciti ad applicare a livello internazionale una tassa sulle transazioni finanziarie che permetterebbe di stabilire alcune regole certe e di reperire risorse per interventi in campo produttivo o sociale, si è riusciti a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sul debito pubblico degli stati. “La più gigantesca operazione di marketing della storia, che sentiamo ogni giorno quando ci ripetono che la crisi è legata all’eccessiva spesa pubblica e che dobbiamo ora accettare piani di austerità e misure lacrime e sangue. NON è VERO.”(A.Baranes)

Rischiamo la povertà nell’epoca più ricca da sempre come dimostrano i dati : l’Italia già dentro la crisi produceva un Pil nel 2011 di 2.194 miliardi di euro pari ad un valore pro capite di 30.900 euro (la Francia 35.600 e la Germania 38.400) ma il dato più significativo del nostro paese rispetto al resto d’Europa è la ricchezza privata che ammonta a ben 8.640 miliardi di euro. La dimostrazione dell’importanza di questo dato viene anche dal raffronto con uno dei periodi migliori della nostra storia recente quello del “boom economico” quando la ricchezza pro capite era sette volte inferiore ad oggi.. E la nostra ricchezza è superiore anche a quella di paesi come Francia e Germania e quasi doppia rispetto agli Usa. Il vero problema della società contemporanea è la disuguaglianza come analizzato dal premio Nobel Stigliz nel suo ultimo saggio “il prezzo della disuguaglianza”(Einaudi 2013). “Se gli 8640 miliardi che costituiscono la ricchezza privata nazionale fossero divisi equamente tra i 24 milioni di famiglie che compongono il popolo italiano, ciascuna avrebbe un patrimonio di 360.000 euro.(…)Le famiglie super ricche rappresentano appena l’1% della popolazione, hanno un patrimonio 65 volte superiore alla media e da sole si spartiscono il 13% dell’intera torta pari a 1120 miliardi di euro(…) Il 10% della popolazione italiana controlla il 50% dell’intera ricchezza nazionale per un totale di circa 4000 miliardi di euro,mentre alla metà della popolazione tocca solo il 10% poco più di 800 miliardi”(N.Penelope) Questa ricchezza è per oltre la metà composta da patrimonio immobiliare, 3600 miliardi sono denaro depositato sotto varie forme e 1500 miliardi sono investimenti finanziari(compreso titoli di stato). Si parla sempre della propensione tutta italiana alla casa di proprietà e questo rende le nostre famiglie mediamente più ricche rispetto al resto d’Europa, ma si dimentica di sottolineare che il 25% del patrimonio immobiliare è concentrato nelle mani di appena il 5% dei proprietari e “ la rendita che ne deriva costituisce una bella fetta della ricchezza di chi lo possiede”. Se questi dati sono veri non si capisce perchè non si faccia ricorso ad una patrimoniale per recepire risorse urgenti da impiegare per il lavoro e in aiuto al reddito delle famiglie. Una informazione distorta , in gran parte controllata anche da chi possiede questi enormi patrimoni, fa credere agli italiani che una patrimoniale impoverirebbe ulteriormente i pensionati proprietari della propria abitazione, come ha fatto credere che l’Imu sulla prima casa fosse un salasso quando invece si è dimostrata inferiore all’Ici ( cosa diversa per le seconde case e gli immobili agricoli). “Come dimostrano le stime l’imu sulla prima casa se la cava benino in termini redistributivi, circa la metà delle famiglie italiane non la paga o perchè non possiede un’abitazione( e questi sono generalmente i più poveri) o perchè la detrazione annulla l’onere di imposta. Poi , il pagamento dell’imu, in misura maggiore della vecchia Ici, è concentrato prevalentemente sugli scaglioni di reddito più elevati, come è ovvio visto che esiste una correlazione positiva tra il reddito e il valore del patrimonio immobiliare”(M.Bordignon)

Nel frattempo,invece, le tasse sono continuate ad aumentare colpendo essenzialmente i redditi da lavoro e da pensione che rappresentano rispettivamente il 54,5% e il 25,5% dell’Irpef versata dai contribuenti italiani ( il lavoro autonomo contribuisce solo per il 6,7%, le imprese per il 3,5%). Sono redditi modesti e situazioni che rischiano di peggiorare con gli anni.” negli ultimi dieci anni una quota di circa 15 punti percentuali di ricchezza si è spostata dal lavoro alle rendite e ai prodotti, in parole povere i lavoratori hanno perso terreno, gli speculatori ne hanno guadagnato, anche grazie a una tassazione sulle rendite finanziarie che è stata fino al 2011 quasi la metà di quella sul lavoro (12,5 rispetto a 23)(…) dal 2011 il prelievo sulle rendite finanziarie è stato portato al 20%, ma nel frattempo la pressione fiscale complessiva sul lavoro è salita a oltre il 43%, mentre quella sui redditi delle società si è ridotta dal 41,3 al 31,4% con un risparmio di quasi 10 punti”(n.penelope). Si dice che negli ultimi 10 anni non siamo stati governati ma non è vero. Questi numeri dimostrano il contrario, che si è governato nell’interesse di pochi , sventolando Ici e Imu per attirare gli allocchi. Tutto questo unito ad un’evasione fiscale stratosferica ha impedito allo stato di investire dove doveva cioè nella scuola, nel sociale, nella ricerca, nell’ambiente.”in Italia i trasferimenti sociali per famiglia, disoccupazione, esclusione sociale, stando ai dati più recenti, sono appena l’ 1,6% del PIL, la quota più bassa dei paesi europei : la media è del 4%, in Francia e Germania è di oltre il 5%, anche per la scuola e sanità spendiamo meno di tutti e negli ultimi due anni la mannaia dei tagli alla spesa pubblica si è accanita proprio su queste due voci”(idem).

L’evasione fiscale è certamente un freno allo sviluppo del paese ed un elemento che accentua le disuguaglianze ma anche qui si opta spesso per azioni scenografiche o controlli di scontrini in mercati, fiere paesane o esercizi commerciali ben sapendo che non è da questo che viene la grande evasione. Per trovare i dati che servono in alcuni casi non importa neppure investigare molto ma basta ricorrere all’anagrafe tributaria dalla quale risulta che in Italia sono immatricolati, per esempio, 100.000 yacht superiori ai 10 metri, duemila aerei privati e 600 mila auto di grossa cilindrata. Appartengono ai 398.000 contribuenti sopra i 100.000 euro o ai 30.000 sopra i 300.000 euro? Ebbene la metà delle barcone appartiene a persone che dichiarano al fisco meno di 20.000 euro, poi ci sono quelli fino a 50.0000 e solo 14.000 barche sono di contribuenti sopra i 100.000 euro. Stesso discorso per le auto di lusso, mentre 518 elicotteri appartengono a persone con un reddito da cassaintegrato e 604 jet privati del valore di 35 milioni sono intestati a cittadini con reddito lordo inferiore a 50.000 euro.

“Stando al fisco l’Italia è un paese molto povero , non solo dal punto di vista dei redditi personali ma anche di quelli delle imprese che dichiarano fatturati da onlus” e la crisi non c’entra. Secondo un’indagine della Procura di Milano del 2009-10 c’è stata un’impennata di vari reati fra cui : fatture false, mancati versamenti Iva, false scritture contabili (+ 400%) dichiarazioni fraudolente (+180%). Le cifre sottratte al fisco sono enormi. “Altro che ristoranti e botteghe: da una sola indagine avviata nel 2009 sulla cosiddetta “lista Pessina” è scaturita la scoperta di 500 milioni di euro nascosti da centinaia tra imprenditori e professionisti del Nord e Nord-Est(…) tra loro c’è chi ha avuto la sfacciataggine di dichiarare la miseria di 3600 euro all’anno con oltre 7 milioni fuori confine, oppure 53.000 a fronte di depositi in paradisi fiscali per 39 milioni.”
Ma come si sa il problema sono i “costi della politica” come se il fallimento del nostro paese dipendesse da questo. Non c’è dubbio che in questo campo debbano essere fatti dei cambiamenti radicali nel segno di una doverosa sobrietà, ma invece stiamo assistendo a proposte che invece di incidere sugli sprechi limitano gli spazi di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. La auspicata scomparsa di enti intermedi non porta ad una maggiore semplificazione ma allontana la possibilità dei cittadini e delle realtà locali di incidere sulle scelte programmatiche. L’indignazione “anticasta” che finirà per alimentare una vera “supercasta” che risponderà soprattutto a se stessa. Invece di fare le vere riforme per favorire la semplificazione e sburocratizzazione della pubblica amministrazione si sfrutta “il ladro di polli di turno, si chiami Fiorito, Lusi o Belsito , che diventa l’unico motivo di preoccupazione e di indignazione nazionale” e nulla cambia.

Il declino italiano, accentuato dalla crisi che stiamo vivendo , ha le sue origini negli ultimi venti anni, dal 1992 “ al netto dell’inflazione, il Pil è aumentato di appena un sesto e l’occupazione non è cresciuta per niente, ferma a 23 milioni, se guardiamo a un settore chiave dell’economia, l’industria manifatturiera, il valore del prodotto (il valore aggiunto” nel 2012 è vicino ai livelli del 1994, quasi venti anni prima, ma i cinque milioni di occupati del 1992 si sono ridotti ai quattro attuali”(M.Pianta) Così non è stato per i profitti , “in Italia il rapporto tra profitti lordi delle imprese(non finanziarie) e valore aggiunto è il più elevato tra i maggiori paesi europei -oltre il 40% anche nell’anno di crisi 2009 contro il 30% della Francia – ma gli investimenti fissi sono appena il 22% del valore aggiunto. Gli investimenti in macchinari – quelli che alimentano le capacità produttive – sono diminuiti negli ultimi 10 anni del 9,8% e , se li rapportiamo alla popolazione la caduta è stata del 14,5%”. Invece di reinvestire i profitti in nuove attività produttive e in innovazione sono aumentati gli investimenti immobiliari o attività finanziaria con il risultato di impoverire le aziende e arricchire i proprietari. A differenza della Germania dove la moderazione salariale ha contribuito ad accrescere la competitività e aumentare gli investimenti in Italia questo non è avvenuto e ancora oggi si pensa che la ripresa possa essere determinata da un indebolimento del mercato del lavoro che invece ha aumentato le disuguaglianze che hanno conseguenze economiche devastanti :”in generale la propensione al consumo diminuisce all’aumentare del reddito (e della ricchezza), in questo modo l’aumentare della disuguaglianza può comportare una riduzione della domanda aggregata ”(Stigliz) Negli anni 70 e 80 quando l’Italia cresceva più dei consimili europei, “il costo del lavoro nei distretti era strutturalmente più alto che in paragonabili realtà produttive, in altre parole la fonte della nostra competitività era l’innovazione , non i costi vantaggiosi, innovazione la cui crisi è la causa “algebrica” più prossima del recente declino”(M.Simoni) Un tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese ha anche bisogno di un rapporto forte con il credito e invece le riforme del sistema bancario italiano con le privatizzazioni e le acquisizioni da parte di gruppi nazionali e internazionali ha reso questo più difficile , “l’aumento della distanza tra il quartier generale della banca – ossia il luogo in cui si prendono le decisioni di credito – e la sede delle aziende che richiedono i finanziamenti fa diminuire la provvigione di credito per l’innovazione”(idem). E’ la mancanza di innovazione in molti settori che ha determinato un calo della produttività e quindi della crescita delle imprese. Si è preferito delocalizzare oppure accentuare la flessibilità e precarietà del lavoro per contenere i costi e competere sul mercato internazionale, con risultati discutibili e socialmente devastanti. Qualcuno pensava che nell’ambito della divisione mondiale del lavoro questo sarebbe stato un passaggio necessario e che si sarebbero aperti spazi enormi nel settore dei servizi così non è stato e ci troviamo con il record di disoccupati sotto i 35 anni ed un aumento esponenziale di contratti precari che non favoriscono nessuna crescita economica. “Un terzo dei lavoratori italiani è assunto oggi con contratti a termine di varia natura, a uno stipendio più basso e a costi per l’azienda più contenuti, si aggiungono l’assenza di qualsiasi tutela contro i licenziamenti, anche i più odiosi, e l’assenza di tutela del reddito”(simoni) Questa è la ragione per cui la flessibilità in Italia è diventata precarietà con conseguenze negative sulla produttività insieme alla mancanza di investimenti per l’innovazione.

Da tempo l’Europa, sempre citata a sproposito, raccomanda agli stati membri di “riconoscere , nell’ambito d’un dispositivo globale e coerente di lotta all’emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana e di adeguare di conseguenza, se e per quanto occorra, i propri sistemi di protezione sociale ai principi e agli orientamenti esposti in appresso” e questo significa che si può avere accesso ad un reddito minimo garantito “ senza limiti di durata, purchè il titolare resti in possesso dei requisiti prescritti e nell’intesa che , in concreto, il diritto può essere previsto per periodi limitati, ma rinnovabili” e ci sono più risoluzioni per la lotta alla povertà che auspicano l’introduzione di un reddito minimo garantito o di cittadinanza che dir si voglia. L’Italia è l’unico paese, insieme a Grecia e Ungheria a ignorare da venti anni queste indicazioni. Anche le raccomandazioni sui sistemi nazionali di protezione sociale di base del 2012 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro recitano che “la sicurezza di un reddito base dovrebbe permettere una vita dignitosa. I livelli minimi di reddito definiti su base nazionale possono corrispondere : al valore monetario di una serie di beni e servizi necessari; alla soglia di povertà a livello nazionale; alla soglia di reddito definita per usufruire dell’assistenza sociale; o altre soglie comparabili stabilite dalla legislazione o dalle prassi nazionali e possono tenere conto delle differenze regionali”(Ginevra 30.5.12). Il reddito minimo non va confuso con l’indennità di disoccupazione in quanto per riceverlo non è necessario aver perso il lavoro ma anche essere un disoccupato che semplicemente cerca lavoro anche se in precedenza non ha mai lavorato. Il reddito minimo può anche essere usato come supporto a coloro che intendono intraprendere un percorso di lavoro autonomo ed è sicuramente un elemento fondamentale di abbattimento della povertà, di diritto di cittadinanza e anche di sviluppo.

“Nella generalità dei casi europei non sono necessarie intermediazioni per avere accesso al reddito minimo garantito, l’universalità del diritto sottrae strumenti di clientelismo al paternalismo e all’autoritarismo, che sorvegliano l’immobilità sociale ed è inoltre uno strumento redistributivo potentissimo”(Perazzoli). Tutto questo ha ovviamente un costo notevole per un paese già oberato da un debito pubblico insostenibile( circa 10 miliardi di euro) ma è una strada obbligata di civiltà utilizzando le risorse che già ci sono e che spesso vengono mal utilizzate. Quello che stanno facendo altri paesi in Europa può esserci d’indicazione anche per cercare di uscire dalla crisi in modo positivo.

“In Germania la base della Socialhilfe per la singola persona è costituita da circa 370 euro al mese a cui si devono aggiungere l’affitto di un alloggio ( che le autorità reputano conforme alle esigenze della persona o della famiglia), il riscaldamento e l’assistenza medica. Per ciscun figlio sotto i 6 anni si aggiungono 215 euro al mese ,tra i 6 e 14 anni se ne aggiungono 251 che diventano 287 per figli sopra i 14 anni”(…) I sussidi sono illimitati e non discrezionali e vengono corrisposti fintanto che dura lo stato di disoccupazione, cosa che , per un paese accusato in Italia di spingere alla deflazione, non è male “(idem) Ma i tedeschi fanno anche di più : con il sussidio chiamato Kindergeld ogni bambino residente in Germania indipendentemente dal reddito e dalla nazionalità riceve 184 euro dalla nascita fino ai 18 anni, ed aumenta d’importo dal terzo figlio. Si dirà che Germania se lo può permettere ma anche un paese in difficoltà come l’Irlanda fa maglio di noi : “per la persona singola disoccupata vengono corrisposti in Irlanda 806 euro al mese; per le coppie senza figli 1347 euro, mentre una coppia con un figlio ha 1476 euro, con due figli 1605 e con tre 1734. Per la famiglia monoparentale con un figlio 935 euro con due 1064, inoltre per ogni figlio a carico sono da aggiungere 30 euro a settimana. Ne hanno diritto, con un margine discrezionale minimo , tutti, anche i non irlandesi che risiedano legalmente nel paese”.(idem) Sempre in Irlanda esistono anche forme di sostegno per l’alloggio che possono andare da 300 euro a 950 per una famiglia con tre figli nella città di Dublino. Chi riceve il sussidio di disoccupazione può mantenerlo per due anni se ha iniziato un’attività di lavoro autonomo. In Francia il Revenu de solidarieté active parte da 25 anni(se non si hanno figli) e non occorre essere francesi per averne diritto basta risiedervi legalmente : 467 euro per il singolo, 799 euro per la famiglia monoparentale con un figlio, una coppia con tre figli 1167 euro. La condizione che vale in ogni caso è quella di essere disponibili a cercare lavoro o ad attivare un’attività in proprio. In Francia il sussidio permane anche in caso di lavoro qualora lo stipendio non permetta di arrivare ai 1238 euro mensili che sono il minimo salariale francese.

“Nel Regno Unito gli importi settimanali dei sussidi di disoccupazione sono i seguenti : dai 16 ai 24 anni 64,78 euro; sopra i 25 anni 81,80; per una coppia con più di 18 anni 139 euro. Per l’affitto c’è l’Housing benefit di cui è difficile dare una cifra precisa, perchè ogni caso vale per sé. Il criterio generale è il numero di camere da letto in relazione alle esigenze del nucleo familiare. Da 280 euro per una stanza a 460 euro per quattro stanze a settimana”. In Inghilterra chi lavora meno di 16 ore la settimana ha diritto all’income support, un sussidio integrativo. In Austria sono previsti sussidi simili a quelli tedeschi che riguardano le persone, le famiglie, l’alloggio e il riscaldamento. In Belgio c’è il Droit a l’integration sociale che è di 755 euro che diventa 1006 con familiare a carico e anche in questo paese ci sono diritti all’edilizia sociale e sostegni all’affitto. Anche in Italia con il governo Prodi erano stati creati fondi consistenti per il sostegno all’affitto che sono stati quasi azzerati negli ultimi anni e si sta facendo poco per l’edilizia pubblica.

Chiudiamo il nostro giro con l’Olanda che ha due sistemi uno valido dai 21 ai 65 anni e un altro per i giovani dai 18 ai 21 anni. “Importi mensili esclusi assegni familiari : per le persone tra 21 e 65 anni il single avrà 659 euro, le coppie sposate/conviventi con o senza figli 1319 euro. Si aggiunge un assegno per andare in vacanza pari all’ 8% degli importi corrisposti”(idem) Si tratta di provvedimenti adottati sia da governi socialdemocratici che conservatori a sostegno della dignità delle persone. Se chi usufruisce del sussidio non accetta il lavoro che gli viene offerto ( in coerenza comunque con la propria formazione professionale) rischia prima una riduzione e poi la sospensione del sussidio per un determinato periodo di tempo.

Accusiamo spesso l’Europa ma siamo noi ad essere fuori dal modello sociale europeo e, come dimostrano gli altri paesi , il reddito minimo non è un’utopia ma un modo serio per intaccare le disuguaglianze e permettere il pieno diritto di cittadinanza.

“La riduzione della disuguaglianza non ha solo una giustificazione in un validissimo e imprescindibile fondamento morale, ma anche in una maggiore libertà da cui tutta la società trae vantaggio sotto il profilo economico e politico”(Perazzoli)

 

Leonardo Romagnoli

27.4.13

PS In Italia con il governo Prodi del 1998 fu sperimentato in alcune città il Reddito minimo di inserimento che dette buoni risultati ed è stato affossato dal centrodestra . Stessa sorte è toccata al reddito base applicato dal Friuli nel 2007 e annullato dal nuovo governatore di centrodestra nel 2008.

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