BONHOEFFER E GRAMSCI A CONFRONTO. Una recensione

Il libro è stato presentato ieri pomeriggio in biblioteca comunale a Borgo san Lorenzo in una sala gremitissima e attenta. Con l’autore ha dialogato Andrea Banchi.

 

 

 

 

 

 

BONHOEFFER E GRAMSCI A CONFRONTO

Convergenze tra i due grandi pensatori in un riuscito saggio di Aldo Bondi 

di Andrea Banchi

Carissima mamma,

Vorrei […] che tu comprendessi bene, anche con il sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione. Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione.

[…] Vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato […] i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.  (1)

Con queste parole Antonio Gramsci, il 10 maggio del 1928, dopo un anno e mezzo di detenzione, avvisa la madre Giuseppina Marcias che sta per essere tradotto a Roma per il processo che lo condannerà a 20 anni di prigione, privandolo per sempre della libertà e conducendolo alla morte avvenuta il 27 aprile 1937.

Cari genitori,

Prima di tutto dovete sapere, e crederlo veramente, che sto bene. […] Mi è o mi sarebbe tormentoso solo il pensiero che voi vi preoccupiate e vi tormentiate per me, che voi non possiate dormire e mangiare normalmente. Perdonatemi se vi causo preoccupazioni, ma penso che stavolta non sia tanto colpa mia quanto della sorte avversa.

[…] Già arriva con forza la primavera. Avrete molto da lavorare nel giardino. Qui nel cortile della prigione, al mattino e ora anche la sera, un tordo canta in maniera meravigliosa. Si diventa riconoscenti per ogni piccola cosa, e anche questo è senz’altro un arricchimento. Addio!  (2)

Così scrive Dietrich Bonhoeffer nella lettera del 14 aprile 1943. È stato imprigionato solo da alcuni giorni. Nulla sa ancora di cosa è accusato, niente immagina di cosa lo attende.

Solo assumendo il punto di vista di chi guarda da dietro le sbarre, e non sa se potrà nel futuro ancora muoversi in libertà, possiamo comprendere cosa significa scrivere a casa. La necessità di rinsaldare i legami e il timore di palesare o di far nascere nei propri cari paure, rimpianti, rimorsi. Ma se insieme a queste preoccupazioni e stati d’animo si comunicano poi riflessioni e valutazioni che mirano a costruire ipotesi di convivenza nuova e felice, percorsi lungimiranti e ricchi di opportunità, laddove nel presente esiste solo la violenza di un regime poliziesco e il clangore della guerra, allora sorge la sorpresa di trovare acque fresche nel deserto, pacificazione in mezzo a crudeli contese.

Conoscevo il pensiero di Gramsci da lontani studi universitari, mentre molto più recentemente mi sono avvicinato alla conoscenza di Bonhoeffer, attraverso l’avvincente lettura delle sue lettere dalla prigione.

Non mi sarebbe però mai venuto in mente che questi due giganti del Novecento potessero avere tante convergenze e assonanze, così come, in modo convincente, le illustra Aldo Bondi nel suo libro “Dietrich Bonhoeffer e Antonio Gramsci. Compagni di umanità”, edito da Helicon di Arezzo.

Ciò che immediatamente pone in contatto i due pensatori, e che ho voluto in qualche modo sottolineare attraverso le citazioni iniziali, è che si tratta di due condannati la cui lucidità consente loro piena libertà di esprimersi, forte passione umana e civile, coscienza di poter incontrare una fine tragica, come infatti avvenne a causa di Nazismo e Fascismo: Bonhoeffer, giovane presbitero e teologo luterano fu impiccato al termine di due anni di prigionia; Gramsci, segretario del Partito comunista d’Italia e grande intellettuale, già di salute cagionevole, morì per emorragia cerebrale dopo otto anni di carcere e due di libertà condizionata passati in una clinica a Roma.

Detenuti per motivi politici, ebbero la capacità di non darsi per vinti (3) e di dedicarsi a riflessioni di carattere strategico e di lungo periodo, ben oltre gli anni che sapevano di poter vivere, scrivendo peraltro la loro opera più importante in carcere, e mettendoci tutte le energie di cui erano in possesso.

Resistenza e resa è una raccolta di lettere e scritti di Bonhoeffer nel periodo della prigionia, ricchi d’intuizioni teologiche innovative, raccolti dall’amico Eberhard Bethge, anch’egli pastore luterano. Le ultime lettere all’amico, nell’estate del ’44, presentano importanti evoluzioni del pensiero di Bonhoeffer. Vengono esplicitati e proseguiti alcuni temi dell’Etica, giungendo ad affermazioni forti: il mondo diventato adulto non ha più bisogno della religione, dobbiamo vivere nel mondo come se Dio non ci fosse; è da respingere l’idea delle questioni ultime (la morte, la colpa) messe in campo perché ad esse solo Dio può dare risposta, questa è la visione di un Dio tappabuchi, che interviene solo nella debolezza umana; ci sono dei cristiani inconsapevoli, persone che fanno la volontà di Dio senza pronunciare alcuna professione di fede. La proposta che ne deriva è quella di un cristianesimo molto umano, non individualista, calato sulla terra e nell’uomo.

I Quaderni del carcere sono un’ampia e complessa opera di Antonio Gramsci, composta da 33 quaderni tematici su politica, storia, letteratura, intrecciate insieme per svolgere un’acuta riflessione sullo sviluppo della società italiana chiamata a superare insufficienze e incapacità attraverso il riscatto prima culturale e poi politico del mondo operaio e contadino.

Il tema dell’egemonia è centrale nella riflessione del politico sardo. Attraverso un processo di crescita culturale e di assunzione del ruolo di guida politica e di riferimento ideologico per tutta una nazione, una classe sociale prende il potere. Gramsci indica come il proletariato può conquistare la supremazia, che distingue tra direzione (egemonia intellettuale e morale) e dominio (esercizio della forza repressiva). È rivoluzionario che una classe subalterna possa diventare dirigente costituendo un blocco sociale, cioè un’alleanza di forze sociali diverse. Questo avviene inizialmente a livello di sovrastruttura (politica, culturale, ideale, morale), in seguito influenza direttamente la struttura economica e i rapporti sociali di produzione.

Lo studio della politica porta inoltre Gramsci a individuare il nuovo Principe di Machiavelli nel  moderno partito.

Se invece guardiamo Bonhoeffer e Gramsci dal punto di vista dei diversi settori culturali del loro impegno, essi subito si distanziano del tutto: risultano completamente differenti per nascita, studi, interessi culturali, attività, scelte. A dimostrazione ripercorriamo sommariamente la loro vita fino alla carcerazione.

La famiglia Bonhoeffer, ricca e importante nella borghesia berlinese, è colta e abituata a viaggiare all’estero, a discutere di poesia, di filosofia e di musica, a fare sport e a credere nella grandezza dello stato tedesco. Dietrich, nato a Breslavia nel 1906, studia con profitto a Berlino e diviene pastore luterano, all’estero approfondisce la teologia e lega con il movimento ecumenico internazionale.  Svolge conferenze, scrive saggi e articoli e si oppone ai Cristiani Tedeschi che vorrebbero che le chiese evangeliche della Germania appoggiassero le scelte di Hitler. Diviene invece membro della Chiesa confessante che col sinodo di Barmen nel 1934 si pone in netto contrasto col nazionalsocialismo. Con Martin Niemoller ne diviene l’esponente più noto e i contrasti col Nazismo crescono nel tempo anche per la pubblicazione nel 1937 di Sequela e Vita comune. Nel 1939 accetta un insegnamento negli Stati Uniti, ma rientra in Germania allo scoppio della guerra. Entra poi in contatto con i congiurati (Oster, Müller, Dohnányi) che intendono  fermare Hitler, prima della guerra sul fronte occidentale. Mentre dunque la Gestapo gli vieta di parlare in pubblico e lo vincola a presentarsi regolarmente alla stazione di polizia in Pomerania, Canaris, capo del Servizio segreto militare, in contatto con i congiurati, lo libera dall’impegno e lo invia come proprio uomo a Monaco. Qui, tra i benedettini di Ettal, scrive l’Etica.  Incaricato dal Servizio segreto viaggia all’estero avvisando gli Inglesi del tentativo di colpo di stato in corso. Il 5 aprile 1943 viene arrestato e imprigionato a Tegel, presso Berlino, in isolamento.

Gramsci nasce ad Ales, in Sardegna, nel 1891, quarto dei sette figli di un modesto impiegato. Dopo qualche anno i Gramsci si stabiliscono a Ghilarza, sempre nell’Oristanese. Antonio studia in modo non regolare, ma manifestando subito grande intelligenza. Pur in ristrettezze, frequenta il ginnasio a Cagliari e si sposta poi per l’università a Torino. Appena in città, inizia a interessarsi delle situazioni difficili del proletariato e delle lotte operaie, scrive articoli e si avvicina al Partito Socialista. All’università conosce Togliatti, Tasca e Terracini, e, benché poi l’abbandoni nel 1915, mostra la sua grande vivacità culturale e una speciale attenzione per la glottologia. Diviene giornalista dell’Avanti e cura per il giornale gli articoli sulla Rivoluzione russa. Fonda con i vecchi compagni universitari L’Ordine Nuovo, che diviene organo dei Consigli di fabbrica torinesi. Protagonista delle riflessioni sul comunismo e su quanto avviene in Russia, è tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia nel gennaio 1921 a Livorno. L’Internazionale comunista nel 1922 lo vuole a Mosca nell’Esecutivo e vi incontra Lenin. In seguito a un periodo di cura in sanatorio, conosce Giulia Schucht a cui si lega sentimentalmente e con la quale ha due figli. L’esperienza sovietica è di grande importanza per Gramsci. Poiché in Italia i dirigenti del Pcd’I venivano via via incarcerati dai fascisti, egli si trova a essere la figura di vertice del partito. Rientra solo nel maggio 1924, dopo la Marcia su Roma, le violenze fasciste e le elezioni politiche che danno il potere a Mussolini. Eletto deputato, si pone in contrasto con Bordiga: fa abbandonare ai comunisti il massimalismo rivoluzionario per la costituzione di un blocco di forze democratiche socialiste e laiche (con Gobetti, Miglioli, Lussu) unite contro il Fascismo. Con l’abbandono dell’Aventino e il ritorno in Parlamento, denuncia l’assassinio di Matteotti e fonda un nuovo giornale, L’Unità. Col congresso clandestino di Lione del 1926 Gramsci rinnova il Pcd’I sulle sue posizioni politiche e riesce a evitare rotture con Bordiga. Ma l’8 novembre di quell’anno viene arrestato a Roma con altri deputati comunisti, nonostante l’immunità parlamentare.

Scorrendo le loro biografie sorgono evidenti due diversi approcci alla cultura, due tradizioni di pensiero, due sensibilità ben differenti.

Perché dunque Bondi ha scelto questi due personaggi per il raffronto che è al centro del suo saggio? E come costruisce il rapporto tra di loro, che non si sono mai conosciuti, né paiono vicini, tanto da chiamare questo accostamento nell’Introduzione “dialogo impossibile”? (4)

Riguardo al primo interrogativo, occorre rifarsi alle caratteristiche dell’autore che è un docente di lettere, storia e filosofia, ora in pensione. Ha collaborato con padre Ernesto Balducci scrivendo su di lui e su Luciano Martini, anch’egli direttore di Testimonianze, la rivista del cattolicesimo progressista fiorentino. Ecco perché rappresenta in questo denso volume le sue passioni storiche, politiche, civiche, religiose. Il segno di questa originale visione delle cose, che deriva dalla vicinanza a padre Balducci, è quello di tener conto di studi e di pensieri che provengono da ambiti, aree geografiche, settori di studio diversi, nella convinzione che il meticciamento risulti più fecondo dei percorsi che proseguono a scavare nel solco della tradizione.

In relazione al secondo quesito, invece, la modalità con cui nel libro Bondi svolge il confronto merita un’attenzione per la peculiarità del metodo. È un dialogo a distanza costruito con riferimenti tratti dai Quaderni del carcere per Gramsci, dall’Etica e da Resistenza e resa per Bonhoeffer. Inizia così ad emergere una intenzione che li fa vicini: ambedue lavorano a una profonda revisione delle dottrine delle “chiese” di appartenenza, avversando il dogmatismo e le scorciatoie a buon mercato (5). I capitoli centrali del volume riportano le considerazioni di ciascuno inerenti alcuni temi d’interesse reciproco, costruiti in base ad antinomie su cui entrambi si sono cimentati. Ne cito alcune come esempio: semplificazione/rispetto della complessità, eresia/ortodossia, nazionale/internazionale, libertà/disciplina, individuale/collettivo. Questa modalità consente di offrire al lettore l’evidenza di quanti elementi comuni e quante assonanze compongono, al di là dei diversi modi d’espressione, i due ingegnosi pensatori.

Senza vincoli, anche se fisicamente costretti, certo non hanno orgoglio personale da difendere, e questo li libera dalla ricerca di mediazioni con quanto era di norma accettato  nei rispettivi ambiti di studio. Le grandi intuizioni presenti nei lavori che lasciano ai posteri non hanno avuto dai loro creatori la possibilità di una più definita formulazione. Questo vale tanto più per Bonhoeffer che negli ultimi mesi dell’epistolario abbozza un completo rinnovamento teologico.

È così che Bondi presenta uno spazio d’indagine poco studiato per individuare le strade della modernità, che lasciano impostazioni collaudate, ma ormai non più attuali, per cercarne altre in cui si incrociano inusuali compagni di strada, alla ricerca di un nuovo umanesimo, vero lascito della storia europea dopo la seconda guerra mondiale.

Benché siano passati tanti anni dalla morte di Gramsci e Bonhoeffer, il loro lungo sguardo ce li propone ancor oggi freschi e vitali nella costruzione di una feconda intesa tra credenti e non credenti, uniti nel prospettare la centralità dell’uomo, non però in senso teorico, quanto piuttosto per gli uomini concreti con le loro passioni terrene e le vicende storiche in cui sono immersi. Ne deriva perciò una potente e affascinante utopia, che proietta le sue potenzialità nel futuro.

Bondi riporta questa riflessione di Gramsci del 1931 che fa sua: “Ma l’umano è un punto di partenza o di arrivo?” con la relativa risposta “la natura dell’uomo è la storia […] se si dà a storia il significato di ‘divenire’, in una ‘concordia discors’ che non parte dall’unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile: perciò la natura umana non può ritrovarsi in nessun uomo in particolare ma in tutta la storia del genere umano” (6), compresa quella futura.

Nell’Introduzione, che in mancanza d’un capitolo conclusivo ne fa le veci, l’autore chiede ancora che non ci si rassegni all’uomo edito, ma si riconosca che la natura umana ha risorse, potenzialità ancora inespresse, scommettendo sull’uomo inedito, interpretando così lo sforzo dei compagni Dietrich e Antonio, lontani ma pur così vicini anche senza conoscersi.

Quest’ultimo spunto, tratto dal filosofo marxista tedesco Ernst Bloch, accomuna Bondi all’amico Balducci, il quale nel 1989 scriveva su Testimonianze: l’uomo edito “è l’uomo che ha visto la luce, l’uomo che si è espresso, l’uomo così come è stato espresso dalla cultura” […] però “traduce solo in parte le possibilità latenti dentro di noi. C’è in noi un cumulo di possibilità inattuate, un nocciolo che contiene in sé infinite virtualità che non hanno trovato ancora la primavera adatta alla loro germinazione. Questo cumulo di possibilità è l’uomo nascosto.” E Balducci ancora proseguiva: “questa potenzialità ontologica inscritta in noi […] è la ragione della nostra inquietudine morale”. […] “Non siamo uomini se non abbiamo l’esigenza di oltrepassarci. […] La verità dell’uomo non è una identità data, è nelle sue possibilità ancora inesprimibili.” (7)

Un’ultima notazione riguarda gli approfondimenti etimologici e semantici che Bondi presenta su alcune parole chiave del saggio. Suggeriscono risonanze di notevole suggestione  ai fini della comprensione di alcuni temi ricorrenti nel testo, in più sembrano un omaggio a Gramsci. L’autore colloca queste interessanti digressioni in alcune note dell’Introduzione e nel paragrafo finale dell’Epilogo. Sono il felice frutto d’una capacità di insegnamento che gli fa onore e che avranno apprezzato tanti suoi studenti.

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Note

(1) Cfr. A. Gramsci, Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, 1971, p. 90.

(2) Cfr. D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e appunti dal carcere, Milano, Bompiani, 1969, p. 77.

(3) Cfr. A. Bondi, Dietrich Bonhoeffer e Antonio Gramsci compagni di umanità, Arezzo, Helicon, 2022, p. 13.

(4) Cfr. A. Bondi, cit. p. 7.

(5) Cfr. A. Bondi, cit. p. 16.

(6) Cfr. A. Bondi, cit. p. 17.

(7) Cfr. E. Balducci, La transizione – III. Homo duplex, in “Testimonianze” n. 312 del 1989 pp. 11-27, poi inserito nel volume La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, San Domenico di Fiesole, ECP, 1992.

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