Bokassa non paga : day 2 SICK PANTANI

Bokassa non paga
Day 2
SICK PANTANI

“Amina se n’è andata. Stai proseguendo il cammino ma la tua mente si è già persa. Non hai più scelta, sai? Sei arrivato ad un punto in cui ti sei scordato dei particolari. È la grande sconfitta, ricordi? Hai chiuso, finito come Parigi assediata dai normanni. Sei andato troppo oltre, la memoria non regge e stai mollando. Questi giorni sono fumo ormai, e tu un grido passeggero. Amina è una sagoma blu. Potrai dire di aver vissuto sì, ma tu volevi raccontarlo. E no, non lo farai mai più”

 

《Buonasera ragazzi, un attimo solo…》

Katia ci accoglie trafelata col grembiule dipinto di sugo e schizzi di verdure fresche, il tono tipico di quelle madri che mica ti lasciano lì da solo a rimuginare ma ti dan sempre qualcosa da fare, o da sgranare.

《Mi passi quella valigia rossa per favore?》.

Le donne che ti salvano, per così dire, perchè hanno ovaie grandi come mondi ed il sorriso che ti cinge i fianchi. Piegata in avanti con amore le sussurra: 《E’ solo un taglietto….non è niente bimba mia, non è niente》, anche se fuori è buio pesto e la bimba c’ha la fifa nera. Una goccia di sangue cade giù per terra, una carezza si alza nella sera: 《E’ tutto a posto》.
《Dunque veniamo a voi … siete autonomi per la cena sì?》
《Avoglia sì….beh… ma dove si può andare a mangiare qualcosa in paese?》
《….Se, vabbè ho capito, mannaggia raga’, mò vediamo eh》
E’ lei la capoccia di Madonna delle coste, campeggio “Alta montagna bio” tirato su una quindicina d’anni fa dal niente: un pezzo di terra tremolante che reggeva l’anima coi denti, qualche idea qua e là, una macelleria, pochi animali da allevare, un matrimonio fresco fresco di quelli che all’inizio è tutto da piantare e mica t’importa se c’hai un po’ paura.
《Io sono cittadina del mondo》si presenta con orgoglio. Per lei Houston e il Texas non sono poi così lontani. Il viaggio è routine, i ritorni sono lampi di festa, toccataeffuggi, il cambiar vita e luogo un gioco da ragazzi: 《Che scherzi? Per me è ‘n’invito a nozze》.
Accanto il marito Guido, macellaio sopraffino, e i quattro figli e gli ospiti che prima eran “di via” e poi sono rimasti come Raul, l’olandese, il factotum. C’è chi innaffia e chi fa il pane, c’è chi inforca il fieno e dà da mangiare alle bestie, chi coltiva la terra, chi pulisce i bagni e cura il bosco e le piazzole per le tende, chi prepara la cena.
Agosto è al culmine, è quasi pronto, il 15 è domani ma qui si fa baldoria alla vigilia, come per Natale.
《Allora guarda – di nuovo mi rivolgo a lei, sommesso, dopo una doccia calda – facciamo così, se a fine serata ti avanza qualcosina ce lo dici e noi si piglia tutto》
《Ahahah, ma va’ vi ho segnati mettetevi a sède, che vòi avanza’》
Gongolando ci sediamo al primo tavolo in attesa che le danze abbiano inizio. Antipasti affettati freschi farro verdure amatriciana bistecchine di maiale vino rosso vino bianco a esaurimento scorte. Si rimedia una cena balcanica ingorda e sanguigna ché dopo non puoi fare altro che dormire finché il sole non ti picchia sulla tenda. Qualcuno resiste e ciana fino a notte fonda, quando le coste tutt’attorno ronfano badate dalle stelle.
Il mattino dopo:《Oh, ieri sera questi tre se volevano pijà gli avanzi! Me fanno mori’, dice “se avanza quarcosa dopo noi ci siamo eh”, ahahah》. Katia ci ha bollati, siamo i tre scrocconi in viaggio, giocatori accaniti di scala quaranta, intenti ad ammazzare il tempo.
Con calma da Accumoli scendiamo ad Acquasanta a fare spesa per il ferragosto in ghingheri.
《Veloci eh, che qua dobbiamo consumare anche noi, mica solo vénde, è feragosto pure pe’nnoi, forza su dateve ‘na mossa》.
Tre pomodori qualche mozzarella un tòcco di pane e per il pranzo stiamo freschi, già proiettati sulla rotta infernale, la via che conduce sulla sibillina, ai piedi del Vettore o giù di lì. “Sic Pantani 2.30h” recita il cartello.
《Cosa vuol dire Sic?!》domanda Leone. 《Boh, forse “così” come in latino. “Così Pantani”. Magari ci ha vinto una corsa prima di schiantare, che ne so》.
《Sarà un acronimo..sta per..sito..italiano..comune… Sì dio bono, per forza》risponde con fermezza Claudione.
《Ma va’ sarà un gruppo indie-rock, tipo i Sick Pantani, suona bene no?》ribatto semi-serio.
La strada ricomincia a salire, mentre in radio un uomo sfoga le sue frustrazioni: “Non sono più capace di concentrarmi, ora potrei persino godermi la vita dopo tutti questi anni di lavoro e invece no, sono più stanco di quando lavoravo. Per di più ho problemi a ricordare…”
La voce grattata sfuma davanti al primo spiazzo utile, e così spegniamo, smontiamo e iniziamo a scarpinare. Il territorio è spoglio con qualche macchia di verde qua e là, il solleone gratta via radici, illumina la superficie liscia dei monti dove le praterie nutrono vacche e cavalli bradi. Claudione domina la corsa, gli manca la bandana e una bici sottomano, il pizzo biondo e qualche pausa in meno ma è sul pezzo. La gamba acciaccata non lo domina ed è tutto testa, perdìo. Lungo strada sparute chiome danno ristoro e troviamo persino una coppia con il passeggino e dentro un marmocchio addormentato.
Sulla strada bianca immagino Donna Sibilla stendere gambe di capra in una caverna di rocce calcaree. E’ lassù, sul Monte Vettore o qualche chilometro più in là, sopra Montemonaco, sulla vetta circoncisa del Monte Sibilla. Da quel punto i laghi sono pozzarelle scrause, melma verde-azzurrognola e stantìa. I cavalli con la criniera al vento si abbeverano insieme alle mucche assonnate. I laghi sono esposti al sole e così una volta giunti ce ne stiamo a distanza ché il meriggio picchia forte. Ci sfamiamo quanto basta e ci sdraiamo sotto gli alberi frondosi. Leone medita, io scribacchio, Claudione fuma mentre la gente scorre di lontano. A loro i tre laghetti a noi le nuvole informi mentre aspettiamo un piacevole nulla.

《Quassù ci sta la Sibilla, quella del mito》irrompo.
《E che è, chi è, cos’è 》risponde Leo, incuriosito.
《Come cheèchiècos’è…è la Sibilla! Dai ce n’è una anche nell’Eneide.. Poscere fata tempus, ait… deus, ecce deus!》

《Dai ven via l’avrai letto ora su wikipedia, coglione》
《Vabbè dai questa qui non è proprio quella cumana, è una roba diversa. Ho letto dei pezzi ma non ci ho capito un cazzo, però ho fatto una sintesi mia…praticamente la Sibilla abita nel cuore della montagna in un palazzo lussuoso da far schifo… è circondata da queste ancelle…delle serve metà donne e metà capre…di notte scendono a valle dai pastori e gl’insegnano la seduzione, insomma ballano il saltarello e magari fanno all’ammòre, per poi svignarsela … all’alba o giù di lì》.

《Mmm, le zampe di capra》medita Claudione.
《Che schifo. Sì vabbè ma lei che fa, la Sibilla dico, non ci va alle feste?》
《Lei si fa i cazzi suoi, dà ordini…ogni tanto scende pure lei…come dire… tiene il potere di farle fallire, le feste, un po’ alla Jep Gambardella. Sennò smercia oracoli qua e là》
《Almeno si fa pagare sì?》
《No, ma so che trucida chi agisce contro i suoi responsi. Se tipo le chiedi come fare l’amatriciana, lei ti dice col guanciale e te ci metti la pancetta poi son cazzi amari》
《Ahahah》
《Dai, io vado a farmi un giro. Venite pure voi?》. Claudione si guarda le punte dei piedi, prende a mordersi l’anulare preparandosi alla risposta più ovvia:
《Io sto bene qua 》
Leone è più indeciso, fa un paio di tiri di sigaretta, due domande stupide su dove vado e perché, con l’unico intento di prendere tempo.
《Va bene dai, finisco di fumare》
Restiamo nella fresca faggeta dove pure i cavalli trovano conforto. Mentre risaliamo le mandrie nero-pece ci seguono prima con gli occhi, poi lentamente si spostano con noi nella penombra più interna.
《Ho il timore che ci stiano venendo dietro》
《Ahahah, il timore?》
《Sì, il timore…!》
《No è che non sentivo dire timore dal ’95…comunque se non gli rompi le palle non succede nulla. Ti va di andare lassù in vetta, dove c’è quella rientranza? Si guarda cosa c’è e poi si torna in giù 》
《Magari becchiamo la Sibilla!》
《Già … Di’ un po’, te cosa le chiederesti? Se la incontrassi, dico 》gli chiedo a sorpresa.
Leone ci pensa un po’, abbassa lo sguardo, si ferma a riprendere fiato con le mani sui fianchi e l’aria di chi, colto di sorpresa, non ha proprio voglia di stare al gioco.
《Mah così su due piedi, non lo so, è una domanda difficile》
《Gnamo dai, hai due minuti per formulare una richiesta… una profezia sul futuro… una cosa che ti interessa… il perché accade quel che accade… quello che vuoi insomma》
《Ma non lo so! Boh…cosa vuoi che chieda…》Leone è impreparato e carica la molla: 《tu piuttosto?! Sentiamo…cosa le chiederesti, tu?!》
Distolgo gli occhi tre secondi, una ventata improvvisa smuove le fronde che fracassano il cielo in un turbine di chiome incazzate. Un ammasso di nuvole adombra l’altopiano e i tre
laghetti stagnanti, i cavalli si allontanano improvvisamente berciando in una lingua che per un attimo ha un che di familiare. Mi volto di nuovo e Leone è scomparso.
《Leone! Leone! … Sì stai a vedere che ora mi compari con gli zoccoli caprini e la faccia a culo che c’hai sempre. Dai esci fuori! Leoneeeeeee》

Voglia zero di giocare a nascondino. L’anfratto sibillino è a pochi metri e lo raggiungo in un balzo. È buio pesto, buio come quando da piccolo scendi in cantina, va via la luce per il temporale e tu rimani lì a viverti il tuo primo pensiero di morte. Una luce compare come una madonna, una lucina gialla poi verdognola inabissata nell’angolo sinistro della caverna. Da qui una cantilena si dilata da una parte all’altra con parole che mal distinguo, e una figura umana prende forma lentamente.
Ho già capito è lì, ce l’ho in testa, la volevo e adesso me la prendo: la Sibilla è girata di spalle, la lucina le illumina la schiena coperta da un vestito bianco…il busto è girato a tre quarti verso il fondo oscuro e sembra rammendare un abito consunto. Canticchia come una bambina sbarazzina, una piccola dolce fanciulla col corpo adulto e le mani rigonfie di vene. Su una sporgenza di roccia un bicchiere di vetro ha il bordo sporco di rossetto, e sprigiona un odore di pioggia e resina.

《Hai centoventi secondi. Chiedimi quello che vuoi》dice, interrompendo di colpo la sua nenia. Ha una voce delicata, che nel riverbero assume un che di angelico e corale.
Le osservo le gambe: non ha zoccoli caprini, ma piedi nudi e forti da camminata scalza. I polpacci sono muscolosi e delle lievi cicatrici ledono la pelle brunita, La testa ondeggia qua e là, avvolta in un panno di seta celeste. Le spalle scoperte rispettano il moto dell’ago e della musica a comando.

《Ho una passione per le domande, io 》

Rispondo, scoprendo una voce grossa e profonda, quasi presuntuosa. I secondi scorrono sulle pietre appuntite, sono file di formiche in viaggio che procedono incessanti facendo scorte di cibo per l’inverno.

《Hai cento secondi》
Il cuore pompa sangue ad un ritmo danzante mentre il pensiero vaga e non formula niente. Devo insistere, perdìo, è necessario: sono le domande a far la storia, ogni risposta è superflua, multiforme, ipocrita. Ma se fai una buona domanda, hai vinto. La questione è semplice, devi essere compreso, una richiesta chiara può mettere la gente spalle al muro.
《Sessanta secondi》
Ma filosofeggiare… puoi farlo solo se stai bene, no? Chiedere perché siamo al mondo, a cosa serve questo passaggio furtivo, da dove nascono il dolore e il piacere, quanto vivremo e a che scopo, se fioriremo mai in questa vita. Se l’amore sia abbastanza…
Oh andiamo, sii conciso asciutto semplice dritto negli occhi! Chi vincerà la Champions? Esistono gli alieni? Scriverò un romanzo? Tornerà mai la piccola Lucrezia? È mai esistito Nessie?
Eppure so che ci saranno giorni in cui le domande precipiteranno giù come cascate e dovrò porle nel modo giusto, alla persona giusta. Lei dovrà essere lì e non altrove, potrà aspettarsele o meno, caricare la molla o rimanere fragile, impreparata, spiazzata. Mi godrò le sue reazioni come l’ultimo pulp di Tarantino, e una smorfia di soddisfazione mi attraverserà il viso dall’occhio destro all’estremità opposta della bocca, in diagonale: un
taglio netto una cicatrice d’alta classe. Perché sarò completo, avrò unito i puntini e raccolto i dubbi in una frase di senso compiuto, totale, eterna. Nevvero?
Ma adesso ho la gola secca, il palato è una soffitta di cemento e riesco solo a biascicare paroline zoppe. Mi sforzo di produrre suoni perché ce l’ho, perdìo…! Sono in un luogo che non esiste, davanti a te, che non esisti, in questo tempo senza tempo che è l’aldilà, Sibilla! Se è tutto un gioco, se sono solamente un grande bluff, io posso farti la richiesta perfetta, sulla finzione più grande. E non importa se non dirai niente perchè io capirò guardandoti negli occhi che almeno le mie parole saranno state, per una volta, vere.
《Venti secondi ancora》
La verità è che non riesco. Mi sento stanco, la Sibilla conta il tempo dandomi ancora la schiena, le rubo solo un angolo di profilo, la linea del mento, la guancia destra arrossata i capelli grigio-neri che sbucano dal copricapo. Passando l’ago nella stoffa incrocia i piedi accennando ad un passo di danza.
《È quasi finita》rammenta, con una calma quasi incoraggiante. E’ strano, pensavo di volerlo.
《La verità è che ho una passione per le domande…》è l’unica cosa che riesco a ripetere, stavolta senza presunzione. 《Ma forse…》
《È finita》sentenzia sospirando.
《…forse… non ho più niente da dire》
La terra crepa, l’antro della grotta sbriciola, il bicchiere sporco traballando cade e si rompe in mille pezzi mentre la donna svanisce nel nulla. Una folata ancora e ricado all’indietro scorgendo le acque crespe dei Pantani, le mandrie irrequiete e infine, lassù, le foglie trepide dei faggi…
Leone si piega su di me, scuotendomi dal torpore:《Oh, hai finito di fare lo stronzo? È mezzora che ti cerco, sei sparito…alzati dai…è tutto a posto? Claudione sarà preoccupato…cioè no…non lo è sicuramente, ma andiamo lo stesso ché si sta facendo tardi》.

Al campeggio il clima è già bollente di bagordi: ferragosto è brillo, gli ospiti alzano i bicchieri e mangiano carne. Salsicce fresche rotolano sui vassoi unti e finiscono in palati goduriosi insieme alle patate arrosto e alle verdure grigliate.
La padrona di casa ci saluta dalla soglia del gazebo, vedendoci arrivare stanchi e inondati da un crepuscolo morente. In giardino vediamo i bambini correre felici e azzuffarsi liberi sull’erba, come piccoli cavalli neri. All’entrata Roberto impara i trucchi di Klauss il mago, Barbara legge assorta l’ennesimo romanzo, il resto sgobba in cucina su e giù verso i tavoli ridenti.
《Altri du’ggiorni e ripijamo fiato, ma stasera divertiamoci va’》. Katia indossa un grembiule rosso e ha più energia del giorno prima. Guarda soddisfatta gli ospiti che ingurgitano l’ennesima portata. Chiede a giro come va e si assicura che tutti siano pinzi a dovere per poi inaugurare un nuovo turno di vassoi fumanti. 《Andiamo gente, fatevi sotto ché se non magnate non ne porto più》.
Ci uniamo anche noi mentre seguiamo fiotti di vino rosso scorrere come sentieri in discesa, dalle brocche agli stomaci in fermento. Nel salotto interno c’è già chi sogna una grappa alla prugna, chi conversa con Guido al bancone e chi se ne sta in disparte, pensando ai perchè di qualche cosa.
《Dove andiamo domani? Restiamo ancora un giorno o è meglio proseguire a sud? 》Le domande si susseguono senza risposta, ma occorrerà decidersi, prima o poi.
All’improvviso una sagoma rossa ci passa vicino, lasciandosi cadere sulla sedia vuota.

Katia sorride dolcemente posando il bicchiere sporco di rossetto.

 

Ivan Ferraro

One thought on “Bokassa non paga : day 2 SICK PANTANI

  1. Ivan sei bravissimo! Adoro questo…. boh non so cos’è ma lo adoro! Grazie 😘