AGEVOLAZIONI AGLI INQUILINI, NON AI PROPRIETARI
di Raffaele Lungarella 09.03.2012
Anche nel migliore dei casi, l’istituzione della cedolare secca comporta una perdita di gettito per l’erario di circa un miliardo. Una cifra simile basterebbe per concedere a tutte le famiglie italiane che potrebbero averne diritto il contributo previsto dal fondo sociale per l’affitto, abolito dall’ultimo governo Berlusconi. Trasferire risorse dai proprietari di case a favore degli inquilini risponde a criteri di equità. E nello stesso tempo aiuta la crescita perché la misura si rivolgerebbe a famiglie con redditi bassi, elevando perciò la propensione al consumo.
Il decreto “salva Italia” ha messo in sicurezza i nostri conti pubblici con un contributo non trascurabile del settore immobiliare, e in particolare del suo segmento residenziale. Per la seconda fase dell’azione di governo, che dovrebbe mettere in moto la crescita, non si potrà contare su molte risorse: il presidente Monti dovrà cimentarsi nel miracolo delle nozze coi fichi secchi. Un qualche aiuto potrebbe, tuttavia, ottenerlo correggendo qualche scelta immotivata e errata del precedente governo. Due di tali scelte riguardano l’introduzione della cedolare secca sugli affitti e la sostanziale eliminazione del fondo sociale per l’affitto. Sarebbe auspicabile l’eliminazione della prima e il rilancio del secondo.
IL COSTO DELLA CEDOLARE
I sostenitori della flat tax sui ricavi da canone delle abitazioni hanno sempre sostenuto che la sua introduzione non avrebbe avuto costi per l’erario poiché l’aumento di gettito derivante dalla emersione del mercato dell’affitto in nero (spinta dalla riduzione dell’aliquota) avrebbe più che compensato la perdita di gettito Irpef. Ma l’attesa è destinata a essere delusa, non fosse altro che per un problema “fisico”: il numero potenziale di alloggi affittati in nero è più basso del necessario.
Nella tabella 1 sono riportate alcune elaborazioni realizzate sui dati dell’Agenzia del Territorio. (1) Le abitazioni di proprietà di privati locate risultano poco più di 2,7 milioni, per un ammontare di canone complessivo di quasi a 11,5 miliardi di euro al netto della deduzioni ai fini Irpef e di circa 14 lordi (base imponibile della cedolare secca). Data la distribuzione dei canoni per scaglioni di reddito dei proprietari, il gettito Irpef di competenza statale ammonta a poco meno di 3,8 miliardi, mentre il gettito della cedolare secca è di poco più di 2,9. Considerando anche le perdite di gettito relative alle addizionali Irpef (comunale e regionale) e all’imposta di registro, ciò che all’erario viene a mancare con l’introduzione della cedolare è una somma di circa 1,4 miliardi di euro. (2)
Tabella 1. Gli effetti dell’introduzione della cedolare secca
| Scaglioni di reddito Irpef (euro) | Numero delle abitazioni di proprietà di privati | Perdita di gettito dovuta all’introduzione della cedolare (ML di euro) | Nuovo imponibile che dovrebbe emergere per recuperare la perdita di gettito (ML di euro) | Numero di nuovi contratti di locazione relativo al nuovo imponibile |
| Fino a 15.000 | 854.570 | -48 | 226 | 68.264 |
| da1 5.000 a 28.000 | 766.461 | -148 | 706 | 175.290 |
| Da 28.000 a 55.000 | 772.448 | -595 | 2.835 | 510.334 |
| Da 55.000 a 75.000 | 141.917 | -194 | 925 | 110.575 |
| oltre75.000 | 193.771 | -433 | 2.060 | 166.284 |
| Totale | 2.729.167 | -1.418 | 6.753 | 1.030.7 |
Fonte: nostre elaborazioni su dati Agenzia del territorio, 2010
Per recuperare questo gettito dovrebbe emergere un imponibile di oltre 6,7 miliardi: l’attuale base Irpef dovrebbe crescere di quasi la metà; un obiettivo che potrebbe essere raggiunto se ai 2,7 milioni di abitazioni già affittate in regola con il fisco se ne aggiungesse un altro milione. (3)
Poiché l’Istat stima in 3,12 milioni le famiglie che in Italia vivono in affitto in un’abitazione di proprietà di una persona fisica (condizione per l’applicazione della cedolare secca), la flat tax potrebbe spingere alla regolarizzazione fiscale 400mila contratti di locazione. (4) Se anche succedesse, il passaggio dal vecchio al nuovo regime di tassazione del canone produrrebbe, comunque, un buco fiscale dell’ordine di un miliardo di euro. (5)
IL FABBISOGNO DEL FONDO PER L’AFFITTO
Di analoga grandezza sarebbe la cifra necessaria per concedere a tutte le famiglie italiane che ne potrebbero avere diritto, il contributo per il pagamento del canone previsto dal cosiddetto fondo sociale per l’affitto, istituito dalla legge 431/1998.
Le famiglie in affitto possono accedere al fondo se hanno un reddito annuo non superiore a: a) due pensioni minime Inps (cioè circa 11mila euro), di cui almeno il 14 per cento speso per pagare il canone; chi si trova in questa situazione (beneficiari di fascia A), può ottenere un contributo massimo di 3.099 euro; b) quello stabilito da ogni Regione per l’assegnazione delle case popolari ed è speso per almeno il 24 per cento per l’affitto; per questi nuclei familiari (beneficiari di fascia B) il contributo non può superare i 2.325 euro.
La limitatezza delle risorse statali di cui ha sempre sofferto, non ha mai permesso al fondo di assolvere la sua funzione con la massima efficacia; l’ultima Legge di stabilità ha addirittura cancellato il relativo capitolo di spesa dal bilancio statale, dopo che lo stanziamento per lo scorso anno era stato ridotto al lumicino.
Ai fini della ripartizione tra le Regioni delle risorse statali assegnate al fondo, viene (o meglio veniva) considerato anche il fabbisogno finanziario per erogare il contributo spettante ai beneficiari di fascia A. Nel 2010 ammontava a circa 515 milioni di euro; con questa cifra si può attribuire il contributo massimo a quasi 170mila famiglie. I dati disponibili relativamente ad alcune Regioni permettono di stimare il fabbisogno relativo ai beneficiari di fascia B in una cifra analoga a questa , con la quale può essere erogato il contributo massimo a 220mila famiglie.
UNO SCAMBIO PER L’EQUITÀ E LA CRESCITA
Il presidente del Consiglio Monti ha dichiarato di ispirare l’azione del suo governo a tre parole d’ordine: rigore, equità, crescita. La casa ha, finora, concorso alla prima (con la reintroduzione dell’imposta patrimoniale sull’abitazione principale, l’anticipazione dell’Imu e la rivalutazione dei valori catastali degli immobili). Potrebbe concorrere anche alle altre due, se il governo proponesse (e riuscisse a far passare in parlamento) l’abolizione della cedolare secca e l’impiego delle risorse necessarie per coprire la perdita di gettito che accompagna l’introduzione della cedolare per finanziare il fondo sociale per l’affitto con uno stanziamento che diverrebbe sufficiente a farne uno strumento efficace di sostegno per almeno 400mila famiglie che vivono in affitto.
Trasferire almeno un miliardo di euro dai proprietari di case (di circa la metà della riduzione di gettito ex cedolare si avvantaggiano i proprietari con un reddito di almeno 55mila euro e di quasi la totalità quelli con almeno 28mila euro) a favore degli inquilini (che, nella metà dei casi, hanno un reddito familiare che non arriva a 1.000 euro al mese e, nell’altra metà, il reddito è, comunque, tanto basso da consentire loro di concorrere per ottenere una casa popolare) va certamente nella direzione dell’equità. Ma aiuta anche la crescita: lo spostamento di una tale massa di danaro da soggetti appartenenti agli scaglioni di reddito più elevati verso famiglie povere o con redditi comunque bassi, elevando la propensione al consumo, dà un sostegno alla domanda e allo sviluppo. Lo scambio sarebbe a “saldo invariato” per i conti pubblici.
(1) I dati sono contenuti ne Gli immobili in Italia 2010, http://www.agenziaterritorio.it/?id=7660
(2) Per le ipotesi e le metodologie alle base delle elaborazioni si rinvia a Gli effetti della cedolare secca sul mercato degli affitti, reperibile all’indirizzo http://www.monitorimmobiliare.it/articolo.asp?id_articolo=7927
(3) Montella e Mostacci (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001882-351.html), elaborando i dati dell’indagine campionaria Banca d’Italia sui bilanci familiari, hanno concluso che “il riequilibrio del gettito si può ottenere solo se si recuperano canoni di locazione finora non dichiarati in ammontare pari al 78 per cento di quelli già noti al fisco. L’obiettivo da raggiungere, per non appesantire ulteriormente il debito pubblico, è pertanto quello di scovare tre evasori per ogni quattro contribuenti”.
(4) Le famiglie che vivono in affitto sono 4.218.825. Di esse il 74,4 per cento (3.138.806) vive in alloggi di proprietà di un privato (Istat, I consumi delle famiglie. Anno 2009, p. 33); al censimento della popolazione e delle abitazioni del 2001 le abitazioni in affitto risultarono 4.322.744, di cui 2.945.897 di proprietà di persona fisica.
(5) Il risultato differisce da quello riportato nella relazione tecnica illustrativa dell’articolo sulla cedolare secca del decreto legislativo 23/2011. Secondo il documento, il gettito della cedolare secca sarebbe tale da più che compensare la perdita di gettito Irpef. La divergenza è dovuta al fatto che nella relazione viene, da un lato, sottovalutata la perdita del gettito Irpef e, dall’altro, sopravvalutata la capacità di emersione attribuita alla cedolare. La sovrastima deriva sostanzialmente da sovrastima della dimensione del mercato dell’affitto in nero. Questo mercato non viene circoscritto dalla differenza tra il numero di famiglie che vive in affitto in alloggi di proprietà di persone fisiche e il numero di contratti di locazione denunciati al fisco, bensì identificato con il numero di alloggi a "disposizione".


