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Servizi pubblici tra costi ed efficienza

di Leonardo Romagnoli

bus storicoSERVIZI PUBBLICI : l’uso disinvolto delle percentuali

 

Le città italiane sono ultime in Europa per i servizi e “li fanno pagare molto di più” titola il Corriere della Sera con un articolo del Sergio  Rizzo che riprende uno studio di Confartigianato.

“Negli ultimi dieci anni il costo dei servizi pubblici non energetici – scrive Rizzo – è aumentato del 73,3% a fronte di un’inflazione del 24,1%. Il rincaro reale è stato perciò del 49,2% , quasi tre volte e mezzo la crescita del 14,9% registrata al netto dell’inflazione nei 17 paesi dell’euro: di cui siamo quindi in larga misura responsabili proprio noi”. Da questa considerazione si dovrebbe dedurre che tali servizi (rifiuti, trasporti e acqua) in Italia sono più cari che in Europa? Falso, perché  l’aumento percentuale non ci dice niente del costo del servizio. Se , per esempio un biglietto costa 20 a Firenze e passa a 40 abbiamo un aumento del 100%, a Parigi se un biglietto costa 50 e passa a 60  ha avuto un aumento del 20%, ma il servizio costa sempre meno a Firenze rispetto a Parigi. Non entro nel merito della soddisfazione degli utenti che in buona parte d’Italia è molto bassa rispetto all’Europa, ma sarebbe corretto dire anche alle imprese e ai cittadini quanto costano effettivamente questi servizi dove è possibile fare dei confronti.

Partiamo dall’acqua in alcune capitali europee  con un dato medio :

Roma 1,40 euro a Mc
Parigi 2,93 euro mc
Madrid 1,50 euro mc
Atene 1,00 euro a mc
Berlino 4,97 euro a Mc

L’aumento italiano è stato percentualmente superiore agli altri stati ma gli associati di CONFARTIGIANATO o i lettori del corriere preferirebbero le tariffe parigine o berlinesi? O londinesi?
Per i rifiuti il confronto è quasi impossibile perché in molti paesi il costo del servizio è compreso in una tassa sugli immobili ed è gestito in modi molto differenti.

Se portiamo il confronto sul tema dei trasporti pubblici allora la differenza di costi è davvero notevole come notevole è  il divario qualitativo.
A Roma un biglietto costa 1,50 e un abbonamento 35 euro, la città europea che si avvicina a questo livello di costo è Atene 1,40 ma 45 di abbonamento, a Parigi 1,70 e 63 euro, Madrid 1,50 e 52,20, Londra si varia da1,70 a 2,8 singolo e da 90 a 139 abbonamento. Anche Milano costa 35 di abbonamento mentre Stoccolma 94,8 Rotterdam 140 e Varsavia 47. L’unica capitale  europea che costa meno è Vienna con 31,3 o Bucarest con 14 euro.

Se si analizzano i costi di un abbonamento integrato treni, metropolitane, bus urbani ed extraurbani le differenze in ambito europeo sono ancora più marcate . Nel rapporto Legambiente del 2012 Londra ha un costo di 255,10 euro, Monaco di  Baviera 169 , Berlino 154, Parigi 111,50, Roma 73,50, Milano 91,50 , Bologna 64, Torino 48,50.

Giustamente i pendolari italiani si lamentano del pessimo servizio delle Ferrovie, che hanno spostato il loro interesse solo sulle linee AV, e i treni pendolari italiani sono i più lenti d’Europa con una  media di 35,9 kmh sui collegamenti con le grandi città contro i 51 della Spagna, 48,1 della Germania e 46,6 della Francia., ma sono anche quelli che costano meno agli utenti. Una tratta che in Italia costa 3,30 e 2,80 euro nel Regno Unito costa 10,20 in Germania 9,70, in Francia 9,50 solo in Spagna si hanno costi vicini a quelli italiani con 3,25 euro. Le Regioni è vero che investono appena l’1% delle proprie risorse sul trasporto ferroviario ma è anche vero che i trasporti pubblici nel nostro paese sono per la gran parte pagati dalla fiscalità generale. In quasi tutte le capitali, eccetto  Londra(ma non  la metropolitana) , il servizio di trasporto ha una gestione pubblica. Personalmente non sono contrario a possibili gare affinché su una rete pubblica possano esserci proposte alternative e concorrenti  da cui gli utenti potrebbero trarre vantaggio.trenosanpiero

Nell’analisi pubblicata dal Corriere della sera non mancano le solite accuse verso le società pubbliche : “ i risultato di bilancio delle migliaia di aziende pubbliche locali erogatrici di servizi  non sono certo sfavillanti – scrive Rizzo- Lo studio di Confartigianato mostra che nel 2011 delle 6.151 imprese controllate da Regioni, Province e Comuni soltanto 2879 hanno chiuso il bilancio inutile, mentre 1249 hanno archiviato l’anni in pareggio e le restanti 2.023 hanno presentato conti in rosso”. In media – scrive sempre Rizzo una perdita di un milione e 94.768 euro ciascuna per un totale di 2 miliardi e 225 milioni di euro, somma che azzera il miliardo e 413 milioni di utili realizzati dalle aziende pubbliche profittevoli ( media 490.815 euro) facendo così gravare sulla collettività una perdita netta di 802 milioni di euro”. Come abbiamo visto in precedenza è facile che in molti settori dove non esiste l’obbligo della copertura dei costi al 100% (come nei rifiuti) le aziende vivano momenti difficile che solo il contributo pubblico può risolvere  senza gravare sul singolo utente. Le società pubbliche non hanno poi come obiettivo primario la creazione di profitto ma quella di fornire servizi a tutti i cittadini. Sarebbe anche interessante sapere dove operano le società in perdita e se queste società sono a maggioranza pubbliche o solo con partecipazione pubblica . Non è una discussione di lana caprina visto che le associazioni imprenditoriali evitano di entrare nel merito e cercano di fare di ogni erba un fascio per mettere le mani su alcuni servizi di grande rilevanza e che operano in regime di monopolio spingendo verso discutibili privatizzazioni. Si può parlare di attacco ideologico  ai servizi pubblici con uso disinvolto di dati statistici? “ Il pubblico è un disastro , mentre il metafisico privato sì che sarebbe in grado di garantire l’efficienza” potrebbe essere riassunto così il senso di certe esternazioni. Ma anche in questo caso la realtà è diversa da come viene presentata basta  entrare nel dettagli dell’analisi effettuata dal Ministero del  Tesoro. Intanto va detto che si tratta di società partecipate con capitale pubblico e privato, di queste il 47% sono in attivo e il 20% in pareggio mentre il 33 % sono in perdita. Le società in perdita sono 2023 per un importo , come diceva Rizzo , di 2,2 miliardi di euro, ma leggendo la ricerca nel dettaglio si scopre che  1,5 miliardi di perdite sono causate da solo 23 società. Infine un ultimo dato particolarmente rilevante “ la partecipazione media degli enti locali nelle società in utile è pari al 29%, quella nelle società in pareggio è pari al 60% quella nelle società in perdita è pari al 15%”(Beniamino Grandi) ovvero le società che  fanno debiti  vedono gli enti locali con una partecipazione ampiamente minoritaria rispetto ad altri soggetti privati e dove magari il management è espressione proprio dei soci di maggioranza.
Con questo non voglio dire che non sia necessaria una razionalizzazione di tutto il settore delle partecipazioni e delle società pubbliche ma che debba essere fatta sulla base di dati reali senza pregiudizi ideologici ma nel solo interesse dei cittadini

E invece l’ideologia dominante in tema di privatizzazioni, tema tornato oggi di moda per necessità di cassa, ci sta convincendo che metro, asili nido, musei, scuole, ospedali, siano aziende come tutte le altre, e quindi mosse dalla stessa cultura, motivazioni, strumenti, scopi: la ricerca del massimo profitto. Ma come mai, dovremmo seriamente chiederci, nessuno si preoccupa che non siano aziende, ma puri centri di costo (e di costi enormi), gli eserciti, i tribunali, i parlamenti e tante altre istituzioni? Chi decide, allora, e in quali luoghi (per favore non negli uffici dei commissari della spending review!), quali siano i beni comuni “non economici”, perché sono da assicurare a tutti i cittadini, e quelli da far gestire invece dal mercato for-profit? Gli economisti rispondono a queste domande ripetendo che grazie alla regolazione pubblica dei beni e servizi comuni ‘privatizzati’, è possibile mettere insieme equità (accesso universalistico ai beni pubblici) e profitti per le imprese. Certo, la teoria ce lo insegna. Ma poi alcuni cittadini guardano le differenze di qualità, e di civiltà, tra i treni ad alta velocità e i treni dei pendolari; altri osservano l’efficienza, per così dire, di grandi imprese ex-pubbliche privatizzate; e altri ancora vedono i fallimenti economici, la corruzione e gli scandali (tra cui l’evasione e i paradisi fiscali) di grandi imprese private. E così tutti questi cittadini si chiedono se è proprio vero che l’impresa for-profit (chiamiamo la privatizzazione col suo giusto nome) sia più efficiente di quella pubblica; e, magari guardando a che cosa accade in Francia, si chiede se è proprio automatico che pubblico sia sinonimo di inefficienza e di sprechi.”(L.Bruni)

 

Leonardo Romagnoli

20.2.14

 

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