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Pogrom e verginità

di Leonardo Romagnoli

Pogrom e verginità

Tra logica del pogrom e mito della verginità

 

di Michela Murgia, da la Repubblica, 12 dicembre 2011

La notizia dello stupro di una sedicenne italiana ad opera di due rom sabato sera è bastata per trasformare il quartiere torinese delle Vallette nel set infuocato di "Mississippi Burning". Solo dopo la ragazzina, terrorizzata dalla portata della reazione del quartiere, ha ammesso che non c´era nessun rom e nessuno stupro. Le cronache riferiscono che era stata invece con un ragazzo italiano, che era la sua prima volta e che era atterrita dalla possibile reazione dei familiari alla perdita della verginità.
La notizia grossa è quella del pogrom verso la comunità rom, ennesimo frutto di una cultura dove si cresce imparando a temere il diverso e lo straniero a prescindere dal fatto che sia colpevole di qualcosa. Immagino che si troverà senza difficoltà qualcuno pronto a dire che, se non era vero stavolta, lo sarebbe stato comunque la prossima. Il fatto che questa cultura negli ultimi vent´anni abbia trovato sponda politica e sia riuscita a generare sindaci, assessori, presidenti di provincia e di regione, europarlamentari e persino ministri ha aiutato molto a farla passare dal bancone del bar al sentire comune.
È anche grazie a questo se oggi in Italia c´è chi ha smesso di vergognarsi di essere razzista. La notizia che invece appare come secondaria è che una ragazzina di sedici anni ha creduto che fosse meno pericoloso e grave per lei dire che era stata violentata da due "stranieri" piuttosto che ammettere di aver fatto l´amore volontariamente con un ragazzo del posto. Non voglio pensare che una ragazza dica una calunnia simile per gioco. È assai più credibile che lo abbia fatto perché avvertiva che se avesse detto la verità, cioè se avesse dichiarato di aver fatto l´amore perché voleva farlo, sarebbe stata percepita e trattata come "colpevole" di qualcosa e sarebbe andata incontro a qualche tipo di sanzione, sociale o familiare, morale o fisica.
Qualche articolo ieri riportava l´abitudine della famiglia a farla periodicamente controllare da un ginecologo per verificarne l´illibatezza, un uso tribale che, se confermato, direbbe molte cose sul clima in cui la ragazzina deve aver concepito la sua irresponsabile e protettiva bugia. Ma è marginale. Resta comunque l´immagine di una ragazzina che nell´Italia del 2011 fatica di più ad ammettere di essere stata consenziente che a farsi passare per vittima di stupro indicando il primo colpevole credibile, magari quello la cui etnia è già in sé una sentenza: rom.
Quella ragazza non poteva prevedere che molti nel quartiere avrebbero strumentalizzato la sua falsa condizione di vittima come innesco della loro rabbia e dell´antica voglia razzista di dar fuoco ai campi rom di ogni latitudine. L´incendio dell´accampamento non è in nessun modo colpa sua. Ma è accaduto e i vigili del fuoco si sono trovati davanti non solo le fiamme, ma anche una folla decisa a impedire che l´incendio venisse spento prima di aver bruciato tutto.
Qualcuno, solidale con chi ha appiccato il fuoco a prescindere dalle responsabilità nello stupro, mi ha scritto su Facebook che era ora, che gli abitanti del quartiere sono spaventati e che se anche adesso non gli è passata la paura di uscire di casa in mezzo a tutti quegli zingari, almeno la rabbia si è sfogata.
Davanti alla cenere e alle bugie ora si parlerà di razzismo, ed è sacrosanto che avvenga. Ci si chiederà pure cosa sta succedendo nella civile e solidale Torino, ed è giusto che ce lo si chieda. Ma spero che qualcuno si faccia domande anche su quale tipo di italianissima cultura è quella che induce una giovane donna a credere che la condizione di stuprata sia per lei socialmente più vivibile di quella di chi fa l´amore perché lo ha scelto.

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