Mugello Biologico per guardare al futuro
Presentato ufficialmente il Marchio Biologico Mugello a cui seguirà l’approvazione di un disciplinare di produzione a cui sta lavorando l’Università di Firenze. Questa iniziativa è inserita in un Progetto INtegrato di Filiera finanziato dalLa Regione Toscana che prevede un investimento complessivo da parte delle aziende che ne fanno parte di oltre 4 milioni di euro. Capofila è Agriambiente Mugello che insieme alla Cooperativa Emilio Sereni e all’azienda Vignini rappresentano il 90% di produzione di latte biologico commercializzato dalla Mukki come “Podere Centrale”. L’associazione per ora coinvolge solo 16 aziende, alcune però di notevoli dimensioni, in settori trainanti dell’agricoltura mugellana quali le produzioni zooteniche da carne e da latte, la filiera del Farro e dei cereali in generale.
Il Mugello già oggi vanta la percentuale più alta della Toscana di superficie agricola coltivata con metodo biologico , circa il 30%, con oltre 150 aziende iscritte all’albo regionale del biologico. A queste si devono aggiungere numerosi piccoli coltivatori che producono senza aiuto della chimica ma che non sono certificati e tutto il settore della castanicoltura che è strutturalmente biologico anche se non tutte le aziende sono certificate.
Durante la presentazione è stato un po’ trascurato il ruolo che l’unico IGP del territorio può avere nel sostenere anche le altre produzioni che ancora devono emergere come quelle ortofrutticole. Inoltre il castagno per la sua storia e per quello che rappresenta e ha rappresentato per le popolazioni della montagna dovrà essere un grande ambasciatore del territorio sotto l’aspetto turistico.
Come è stato sottolineato in più interventi il Mugello deve caratterizzarsi come distretto biologico per vari motivi. Per valorizzare le proprie produzioni agricole, per candidarsi a polo ambientale dell’area metropolitana fiorentina, per proporsi come meta privilegiata di un turismo di qualità che si muove lentamente sul territorio per apprezzarne l’ambiente, la cultura , le produzioni agricole di qualità e la gastronomia tradizionale dell’appennino.
Il marchio Biologico MUgello dovrà essere anche un paniere di prodotti in grado di essere riconosciuto dal consumatore per qualità e provenienza, creando quella fidelizzazione che è indispensabile per la crescita del mercato e delle stesse aziende. Interessante anche la sinergia con il movimento Slow Food, attivo ormai da 30 anni a livello internazionale, che ha come motto “buono, pulito, giusto”, dove buono viene dalla biodiversità agricola e gastronomica, il pulitio dalle produzione biologiche e biodinamiche e giusto per il riconoscimento dovuto alla qualità del lavoro delle aziende.
In questo contesto un ruolo non secondario dovranno ricoprirlo anche gli enti locali del Mugello nella tutela del territorio agricolo e nella creazione del distretto e la Regione Toscana per l’utilizzo dei fondi comunitari a sostegno del biologico e per la semplificazione delle procedure burocratiche.
Il biologico non è un ritorno ad un passato di sussistenza ma l’unico futuro per un’agricoltura che voglia essere il vero settore primario della nostra economia e riconoscere gli agricoltori non solo come produttori ma anche custodi del territorio, per la sicurezza di tutti, e del paesaggio, perchè la bellezza sarà sempre la vera ricchezza turistica del Mugello.
LR
ascolta Giuseppe Pietracito presidente di Biologico Mugello
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Pesticidi: fino a 21 principi attivi su un solo prodotto irregolare, 11, 13 e 14 sui campioni “in regola”
Aumentano i campioni fuorilegge ma crescono biologico e le tecniche agronomiche sostenibili
www.greenreport.it
Oggi è stato presentato il dossier di Legambiente Stop pesticidi che raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la protezione ambientale, Istituti zooprofilattici sperimentali e Asl e dal quale emerge che «Sebbene i prodotti fuorilegge (cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti di legge) siano solo una piccola percentuale (l’1,2% nel 2015, era lo 0,7% nel 2014), tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi riguarda un terzo dei prodotti analizzati (36,4%)».
I dati di Stop pesticidi provengono delle analisi condotte dai diversi laboratori pubblici italiani e «Come sempre, vale il principio del ‘chi cerca trova’ e così le maggiori irregolarità sono state riscontrate dai laboratori più zelanti, che conducono il maggior numero dei controlli (Lombardia e l’ottima Emilia Romagna) contemplando il più alto numero delle sostanze da ricercare. Mancano invece all’appello i dati della Calabria, che non ha fornito alcuna informazione, e della regione Toscana, che ha fornito i dati in maniera disaggregata, non assimilabile al resto del rapporto».
Il Cigno Vede riassume così la situazione: «Il tè verde fa bene alla salute. A meno che non risulti contaminato da un mix di ben 21 differenti sostanze chimiche. Anche le bacche vanno molto di moda nelle diete attuali, peccato che alcuni campioni analizzati dall’attento laboratorio della Lombardia contenessero fino a 20 molecole chimiche differenti. Residui chimici in quantità sono stati rinvenuti anche nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale, contaminata anche da 7, 8 o 9 sostanze contemporaneamente».
Il dossier sottolinea: «Nonostante la crescente diffusione di tecniche agronomiche sostenibili, l’uso dei prodotti chimici per l’agricoltura in Italia rimane significativo. Sebbene la situazione tra il 2010 e il 2013 sia migliorata con un trend di diminuzione dell’uso pari al 10%, nel 2014 si è registrata una inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a crescere, passando da 118 a circa 130 mila tonnellate rispetto all’anno precedente. In particolare, nel 2014, sono stati distribuiti circa 65 mila tonnellate (T) di fungicidi (10,3 mila T in più rispetto al 2013), 22,3 mila T di insetticidi e acaricidi, 24,2 mila T di erbicidi e infine 18,2 mila T di altri prodotti. Nel complesso, l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), piazzandosi però al secondo posto per l’impiego di fungicidi»-.
L’asptto positivo è che sono in aumento «le aziende agricole che scelgono di non far ricorso ai pesticidie di produrre secondo i criteri biologici e biodinamici, seguendo forme di agricoltura legate alle vocazioni dei territori, operando per salvaguardare le risorse naturali e la biodiversità grazie alla ricerca e all’innovazione. La superficie agricola biologica in Italia, infatti, tra il 2014 e il 2015 ha registrato un aumento del 7,5%».
Secondo la presidente di Legambiente Rossella Muroni, «Lo studio presentato oggi evidenzia in modo inequivocabile gli effetti di uno storico vuoto normativo: manca ancora una regolamentazione specifica rispetto al problema del simultaneo impiego di più principi attivi sul medesimo prodotto. Da qui la possibilità di definire “regolari”, e quindi di commercializzare senza problemi, prodotti contaminati da più principi chimici contemporaneamente se con concentrazioni entro i limiti di legge. Senza tenere conto dei possibili effetti sinergici tra le sostanze chimiche presenti nello stesso campione sulla salute delle persone e sull’ambiente. Eppure le alternative all’uso massiccio dei pesticidi non mancano. La crescita esponenziale dell’agricoltura biologica e delle pratiche agronomiche sostenibili sta dando un contributo importante alla riduzione dei fitofarmaci e al ripristino della biodiversità e alla salute dei suoli».
Il presidente di Alce Nero, Lucio Cavazzoni, ha ricordato che «La terra, l’aria, l’acqua, il cibo, la salute sono di tutti, non solo di una categoria economica Si tratta di un diritto fondamentale per una società civile, spesso celato da normative ipocrite che trascurano l’effettiva pericolosità della diffusione di tante molecole chimiche dannose. È dovere di tutti operare a 360 gradi per ridurre l’impatto della chimica di sintesi nell’ambiente e di cibi che possono recare danno alla salute: è tempo di passare ad azioni concrete per risultati concreti. L’importante termometro di Legambiente chiama tutti ad un’azione di responsabilità: non è sufficiente produrre cibo, si deve e si può produrre cibo sano, che nutra bene e sia buono per l’uomo e per l’ambiente. Che è la casa dell’uomo».
Ma anche quest’anno, la quantità dei residui di pesticidi che le Arpa e gli Istituti zooprofilattici sperimentali hanno rintracciato nei prodotti da agricoltura convenzionale, nei prodotti trasformati e miele, «resta elevata: salgono leggermente i campioni irregolari (1,2% nel 2015, erano lo 0,7% del 2014); mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente raggiungono il 36,4% del totale, più di un terzo dei campioni analizzati (9608 campioni), in leggero calo rispetto al 2014 (41,2%). La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo invece, in leggero rialzo rispetto al 58% del 2014, si attesta al 62,4%. Tra i casi eclatanti, i già citati prodotti di provenienza extra Ue come il tè verde con 21 residui chimici e le bacche con 20, ma anche il cumino con 14 diverse sostanze, le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 o l’uva con 9 principi attivi». Legambiente avverte che «Il massiccio impiego di pesticidi non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone. Una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull’ambiente. Nuove molecole e formulati sono stati immessi sul mercato senza un’adeguata conoscenza dei meccanismi di accumulo nel suolo, delle dinamiche di trasferimento e del destino a lungo termine nell’ambiente. Occorre valutare meglio gli effetti in termini di perdita di biodiversità, di riduzione della fertilità del terreno, di accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli. Per le sostanze su cui non esiste ancora un parere unanime del mondo scientifico sui rischi, come per il famoso Glifosato, dovrebbe valere il principio di precauzione e il divieto di utilizzo. Tra le sostanze attive più frequentemente rilevate: il Boscalid, il Penconazolo, l’Acetamiprid, il Metalaxil, ilCiprodinil, l’Imazalil e il Clorpirifos, sostanza riconosciuta come interferente endocrino, cioè capace di alterare il normale funzionamento del sistema endocrino e dannoso per l’organismo».
Circa un terzo dei campioni (30,1%) analizzati dal laboratorio del Lazio, contiene uno o più residui di sostanze attive. Si arriva a combinazioni di 21 residui in un campione di foglie di tè verde, di cui 6 superano il limite di legge (Buprofezin, Imidacloprid, Iprodione, Piridaben, Triazofos, Acetamiprid) e 14 residui in un campione di semi di cumino, di cui 9 superano il limite (Carbendazim, Esaconazolo, Imidacloprid, Miclobutanil, Profenofos, Propiconazolo, Tiametoxam, Triazofos, Acetamiprid).
La frutta resta il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità: «Nel complesso, uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) sono i prodotti più spesso contaminati dalla presenza di residui di pesticidi». L’uva è tra i prodotti maggiormente contaminati: «tutti i campioni (12) analizzati dai laboratori del Friuli Venezia Giulia presentano uno o più residui; in Valle d’Aosta si è registrata una irregolarità per superamento del limite ammesso di Clorpirifos, due campioni regolari con un residuo (Clorpirifos) e quattro campioni regolari ma con multiresiduo. In Liguria in un campione regolare sono stati rilevati fino a sette residui (Boscalid, Ciprodinil, Clorpirifos, Imidacloprid, Metossifenozide, Pirimetanil, Fludioxonil) mentre in Puglia si è arrivati anche a 9. Situazione simile anche in Sardegna, dove l’uva da tavola risulta essere sempre contaminata da più residui, in Umbria (multiresiduo in 6 campioni su 7) e Veneto, che registra la presenza di multiresiduo nel 62,5% dei campioni di uva analizzati».
In Emilia Romagna risultano contaminate «il 46,1% delle insalate e l’81,6% delle fragole (multiresiduo), mentre spiccano per numero di molecole presenti contemporaneamente un campione di ciliegie e uno di uva sultanina ‘in regola’ con 13 e 14 principi attivi. 15 le irregolarità rilevate: 8 su pere locali e 7 nel comparto verdura. Cocktail di sostanze attive si trovano anche in Lombardia con due campioni di bacche provenienti dalla Cina con12 e 20 residui, mentre irregolarità per superamento dei limiti massimi consentiti dalla legge sono state segnalate dal laboratorio abruzzese (per eccesso di Clorpirifos in 3 campioni di pesche). Anche la regione Sicilia presenta 6 campioni irregolari, uno nel comparto verdura (cereali) e cinque nel comparto frutta. La regione Puglia ha rilevato 20 irregolarità tra cui 6 su campioni di melograno provenienti dalla Turchia».
Legambiente conclude: «Eppure, proprio l’agricoltura potrebbe rappresentare il più importante alleato per affrontare le attuali sfide ambientali e per lo sviluppo di una nuova economia. Il primo passo è il rilancio di buone pratiche agricole attente alla complessità dei processi naturali e soprattutto capaci di innovare e sperimentare nuove tecnologie. Il motore di questo cambiamento, che include anche la riduzione dei pesticidi, è l’agricoltura biologica, con le sue molteplici varianti, come l’agricoltura biodinamica. I criteri dell’agricoltura biologica permettono infatti di sostituire l’intervento chimico con l’utilizzo dei meccanismi naturali contribuendo alla difesa delle piante e al ripristino della fertilità dei suoli e della biodiversità. Ci sono poi prodotti innovativi, come i biofumiganti, biostimolanti e corroboranti e metodi di gestione – consociazioni, rotazioni, sovesci, semina su sodo, minime lavorazioni del terreno e diserbo meccanico – che riducono il rischio di malattie delle piante e che inducono negli anni effetti benefici sulla struttura del suolo, sulla sua capacità di ritenzione idrica e sulla salute delle piante. Governo e Regioni dovrebbero investire maggiormente in ricerca e formazione per sostenere con maggior forza questo processo di cambiamento che è stato avviato».