Borgo : mangiare e bere c’è l’imbarazzo della scelta

Mangiare e bere : c’è l’imbarazzo della scelta

 

In questi anni è stata spesso criticata la trasformazione del centro di Firenze in un “mangificio” a servizio di un turismo di massa che, attratto dalle bellezze della città d’arte, si riversa sul capoluogo toscano in ogni periodo dell’anno. Verrebbe da dire che è una conseguenza di un mercato che cerca di rispondere ad una domanda molto differenziata, ma che crea anche situazioni di disagio riportate dalle cronache cittadine. Nessuno protesta se apre un ristorante da mille euro a pasto durante le feste natalizie (tutto esaurito) ma diverso è l’atteggiamento per chi vende schiacciate, panini o kebab.

Se questa situazione è in parte spiegabile con il forte richiamo esercitato da Firenze che dire di Borgo san Lorenzo dove la zona centrale si sta trasformando in questi anni in un “mangificio” e “aperitificio” che ha pochi eguali in provincia di Firenze.
Dal viale Pecori Giraldi a Piazza Dante si contano oltre 30 esercizi tra ristoranti, bar e altre attività di somministrazione. E altre sono in procinto di aprire. Una concentrazione molto simile a quella fiorentina. Senza il turismo fiorentino.
Non c’è dubbio che questa situazione conferma l’attrattività di Borgo san Lorenzo rispetto all’area mugellana. e forse anche oltre, anche se questo, se non gestito correttamente, può dar luogo a conflittualità con i residenti come quelle verificatesi in alcune zone di Firenze ( e anche a Borgo per la verità) che possono incidere negativamente su una corretta convivenza tra attività economiche, diritto a vivere momenti di convivialità durante il tempo libero e legittime aspirazioni al riposo notturno di coloro che in queste zone vivono da tempo.

Incidere su queste dinamiche di mercato non è sempre facile per le amministrazioni comunali anche se la legge regionale sul commercio può dare qualche spunto di riflessione.
In particolare l’art 49 sui requisiti degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

1. Il comune, previa concertazione con le organizzazioni di cui all’articolo 3, comma 2 ( quelle di categoria e sindacali), nell’ambito delle proprie funzioni di programmazione, definisce i requisiti degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, compresi quelli di cui all’articolo 51(attività stagionali), anche in relazione alle specificità delle diverse parti del territorio comunale, tenendo conto dei seguenti indirizzi:

a) vocazione delle diverse aree territoriali;

b) salvaguardia e qualificazione delle aree di interesse artistico, ambientale, storico e culturale, recupero di aree o edifici di particolare interesse attraverso la presenza di qualificate attività di somministrazione;

c) esistenza di progetti di qualificazione e valorizzazione dei luoghi del commercio di cui al capo XV ( in questa parte della legge sono disciplinati anche i Centri commerciali Naturali).

2. I requisiti di cui al comma 1 possono riferirsi anche alla materia urbanistica, edilizia, igienico-sanitaria e all’impatto ambientale. I comuni possono anche imporre limitazioni all’apertura di nuovi esercizi limitatamente ai casi in cui ragioni, non altrimenti risolvibili, di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità, rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo, in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità.

3. Il comune, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto della sostenibilità, della qualità urbana e della sicurezza, può stabilire una specifica destinazione d’uso funzionale di somministrazione per gli immobili, nonché limitazioni nelle variazioni di destinazione d’uso degli stessi e specifici divieti, vincoli e prescrizioni, anche al fine di valorizzare e tutelare aree di particolare interesse del proprio territorio.

4. Il comune, ove riscontri che parti del proprio territorio, in relazione alla loro specificità, risultino carenti di servizio, può prevedere misure e interventi volti a favorire e incentivare l’insediamento di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, con particolare riguardo alle aree insulari, montane e rurali.

Questi requisiti sono ulteriormente precisati all’art 110 a cui va aggiunto il criterio della sorvegliabilità stabilito dal Ministero dell’Interno.

Ci sono quindi gli strumenti per stabilire una corretta convivenza tra esercizi e residenti? Sembrerebbe di sì anche se non sempre di facile applicazione. Perché limitare attività economiche in un periodo in cui il commercio, e l’economia in generale,  sta vivendo momenti di difficoltà?
Va comunque ricordato che ogni comune è dotato anche di un piano di classificazione acustica che detta i limiti delle emissioni sonore, da cui si può derogare solo in particolari circostanze, che se superati con continuità possono comportare la sospensione dell’attività.

Come sempre per evitare la conflittualità bisogna ricorrere anche al buon senso di tutti e allo svolgimento di attività di controllo che dovrebbero avere soprattutto un carattere preventivo.
Il proliferare di esercizi di somministrazione di cibi e bevande non è cosa nuova basti pensare che a Borgo san Lorenzo nel 1825 nell’area compresa dentro le mura c’erano 40 tra bettole e osterie per una popolazione di poche migliaia di abitanti.

Leonardo Romagnoli

29.12.22

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