La crisi Covid e i 20 miliardi che possono cambiare la Toscana. Un articolo dell’ex presidente Rossi sul Corriere Fiorentino

La crisi Covid e i 20 miliardi che possono cambiare la Toscana

Dall’ambiente alla scuola passando per la mobilità: le risorse messe in campo dall’Europa sono un’opportunità da non perdere

di Enrico Rossi

Già prima dell’emergenza Covid-19, Ursula van der Leyen aveva lanciato l’idea del Green Deal, con l’obiettivo di dare all’Europa una neutralità climatica entro il 2050. Di fronte alla crisi sanitaria, e poi economica e sociale, innescatasi a febbraio, la Commissione Ue ha confermato la volontà di concentrare le proprie politiche sui temi ambientali, digitali, legandoli ad una ripresa equa ed inclusiva. Gli strumenti messi in campo sono un vero passo avanti per l’Europa e una opportunità unica per il nostro Paese. Parliamo a livello europeo di circa 1.800 miliardi di euro tra Quadro finanziario pluriennale e Next Generation Eu. Il Quadro finanziario pluriennale è il bilancio Ue di circa 1.100 miliardi per il periodo 2021-2027, le cui voci principali sono la Politica agricola Comune (Pac), i fondi di coesione rivolti alle Regioni, e altri programmi europei a gestione diretta, come Horizon o l’Erasmus. Mentre il nuovo strumento Next Generation Eu ha una potenza di 750 miliardi di euro, il cui pilastro più importante è il Recovery Resiliance Facility (detto Recovery Fund).

Per l’Italia il Recovery Fund significa circa 60 miliardi di sovvenzioni e quasi 130 miliardi di prestiti da spendere entro il 2026. Oltre a queste risorse ci sono i finanziamenti del MeS per la sanità che per l’Italia varrebbero 37 miliardi. Pare di capire che questi potremmo prenderli solo quando il M5S, superando il suo residuo antieuropeismo, cortesemente consentirà, e se non sarà troppo tardi e l’Europa non avrà deciso di metterli altrove. Significherebbe non solo perdere risorse importanti quando la sanità ne ha estremo bisogno, ma anche e soprattutto avere rinunciato all’occasione di fare della sanità un tema che riguarda diritti di cittadinanza europea. In Toscana, il Quadro finanziario dei fondi di coesione — se si considera anche quelli dell’agricoltura — corrisponde a circa un miliardo e mezzo per sette anni, a cui va aggiunto un pari co-finanziamento nazionale e in parte minore regionale che raddoppia la cifra. Questi fondi sono il principale strumento per orientare la politica economica e sociale della nostra regione. Indirizzano tutte le strategie di programmazione, convogliando investimenti aggiuntivi a forte impatto sul territorio e sono il volano di ogni tipo di investimento pubblico. Se a queste importanti risorse, si aggiungono quelle del Recovery Fund, che pur avendo una governance nazionale, si tradurranno comunque in investimenti sui territori, possiamo immaginare importi maggiori di circa 14 miliardi di fondi europei che potrebbero venire alla Toscana. Secondo alcune stime, a partire dal 2008, il sistema produttivo toscano ha perso circa 130 miliardi di stock di capitale per carenza di investimenti privati e pubblici. Infatti, non dobbiamo mai dimenticare che la Toscana, seppure andata meglio al pari di altre regioni, fa parte dell’Italia.

Per la Toscana un livello «fisiologico» di investimenti pubblici, rapportato alla quantità spesa precedentemente alla crisi del 2008 e comprendendo in esso anche le risorse proprie di tutti gli enti pubblici, dovrebbe oggi ammontare a quasi 5 miliardi di euro all’anno. Negli ultimi anni, a causa delle restrizioni e dei tagli nazionali, riuscivamo a superare poco più di 2 miliardi. Oggi grazie all’Europa, sommando i fondi della Coesione con il Recovery Fund, più gli investimenti fatti con i propri fondi da parte degli enti pubblici, potremmo avvicinarci ad una spesa pubblica per investimenti «fisiologica», cioè normale e necessaria, di poco meno di 5 miliardi all’anno; cifra che raggiungeremmo pienamente se avessimo anche i fondi Mes per la sanità, che per noi varrebbero altri 2,7 miliardi. Posso sbagliarmi, facendo un conto di massima avremo almeno 20 miliardi in più da spendere in 6 anni. Una cifra enorme e una sfida senza precedenti. Purtroppo il governo non ha ancora aperto una discussione pubblica su questi temi e i pochi documenti che circolano sono imparagonabili, quanto a chiarezza e definizione dei contenuti e della strategia, a quelli elaborati da altri Paesi, come la Francia. Ora il tempo sta per scadere. Non basterà raccogliere i progetti rimasti nei cassetti e pensare di «rivenderli» a Bruxelles senza una visione generale dello sviluppo dell’Italia e delle diverse Regioni.

Al governo spetta la prima mossa. Ma è necessario un lavoro congiunto tra Regioni e governo su piani integrati, con una maggiore concentrazione degli obiettivi, evitando la frammentazione delle risorse. Oltre all’ambiente, alla scuola, alla mobilità, che sono ambiti già individuati, porto come esempio un solo progetto che, sono convinto, a Bruxelles verrebbe ben accolto: la messa in sicurezza sismica di tutti gli edifici e le infrastrutture del nostro Paese. Il progetto avrebbe tutte le caratteristiche positive: visione nazionale, prevenzione dei danni futuri, attenzione e rilancio delle aree più fragili come l’Appennino, quel «gigante dormiente» che puntualmente si risveglia. La sfida generale non è solo toscana o italiana, ma anche europea: con il Recovery fund abbiamo una grande responsabilità nei confronti di Bruxelles. Perché dalla capacità di spesa e di ripresa, si capirà se queste misure corrispondono ad una risposta una tantum nei confronti di una crisi eccezionale o ad un cambiamento sistemico nel processo federativo e di integrazione europea. Allo stesso tempo, l’Europa deve guardare di più agli aspetti sociali. È sotto gli occhi di tutti che la crisi economica che si è generata a causa del lockdown — sicuramente necessario una volta esplosa la pandemia — ha incrementato le disuguaglianze economiche, sociali e territoriali. Le prontissime misure Ue a sostegno della crisi, come i fondi Sure per la cassa integrazione di cui l’Italia si è già avvalsa, sono oggi un’occasione unica per rilanciare il nostro continente, ma attenzione a farlo nel rispetto della coesione sociale. Un Social Deal in grado di accompagnare il Green Deal potrebbe essere la nuova proposta politica della Commissione Ue da presentare agli Stati membri. Una nuova strategia al servizio delle prossime generazioni che accompagni il giusto percorso già lanciato dal Green Deal e dalle sfide ambientali. Il Comitato delle Regioni mi ha nominato Relatore del Parere sulla iniziativa Renovation wave, voluto dalla Commissione europea per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici, su cui possono essere impegnate molte risorse del Recovery Fund.

Questa ondata di ristrutturazioni edilizie, che in Italia può connettersi con i contributi messi in campo dal governo e rilanciarli, può rientrare in un patto più ampio, un Social Deal, in grado di contribuire ad accrescere la solidarietà, combattere la povertà energetica e assistere le persone in situazioni vulnerabili, come quelle esposte al mercato degli affitti, gli anziani che hanno bisogno di assistenza o i giovani che necessitano di alloggi per essere autonomi. Dopo questa crisi pandemica l’Europa può davvero fare passi decisivi verso l’ unità. Si usano spesso metafore belliche per descrivere lo stato pandemico in cui ci troviamo. Nel dopoguerra, con un’Europa sotto le macerie, i nostri padri iniziarono a costruire l’unità economica dei paesi che si erano combattuti. Tocca noi, seduti sulle spalle di quei giganti, costruire altri più facili passi avanti verso una più profonda unità politica oltre che economica e sociale.

CorriereFiorentino del 17 novembre 2020

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