Castel del Rio, 22 marzo – Una voce forte e chiara si è levata dai crinali dell’Appennino tosco-romagnolo durante il convegno organizzato dai comitati “I nostri crinali” di Castel del Rio e della Vallata, in collaborazione con “No Eolico Industriale” di Firenzuola. L’incontro, tenutosi sabato scorso, ha riunito esperti, amministratori, tecnici e rappresentanti della società civile per denunciare i rischi e le criticità dell’eolico industriale nei territori montani.
Un grido di allarme, ma anche un appello alla responsabilità collettiva, affinché la transizione energetica non diventi l’ennesima occasione di speculazione. Perché sì, le rinnovabili sono fondamentali, ma non a discapito dell’ambiente, della cultura locale e delle comunità che da secoli custodiscono e vivono questi territori.
“Transizione sì, ma senza speculazioni”
A inaugurare i lavori è stata Tatiana Bertini, portavoce del Comitato No Eolico Industriale di Firenzuola e membro della rete interregionale TESS – Transizione Energetica Senza Speculazione. “In Italia – ha spiegato – le società che investono nel settore eolico approfittano dei generosi finanziamenti pubblici per avviare progetti che puntano alle aree naturali, ignorando gli impatti ambientali e sociali. È in corso una colonizzazione energetica dei nostri crinali”.
Bertini ha elencato una lunga serie di criticità: progetti proposti in piccoli comuni senza adeguata struttura amministrativa, impatti sulla biodiversità, crollo del valore immobiliare e paesaggistico, fideiussioni inefficaci e compensazioni economiche irrisorie. Ma ha anche ricordato che le alternative esistono: Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e CER Solidali, con incentivi a fondo perduto fino al 40% per i comuni sotto i 30.000 abitanti.
L’attacco ai crinali dell’Appennino
Girolamo Sorrentino, portavoce del Comitato “I nostri crinali”, ha presentato una mappa degli impianti eolici esistenti e in progetto. Una concentrazione impressionante che coinvolge i comuni di Castel del Rio, Firenzuola, Monterenzio e molti altri. “Ci troviamo di fronte a un attacco indiscriminato – ha detto –. Nessuno sembra considerare l’impatto cumulativo di queste installazioni, né l’effetto su fauna migratoria e paesaggio”.
Ecco solo alcuni dei progetti citati:
- Monte la Fine – Monte Pratolungo: 13 pale, 78 MW
- Lion Stone: 7 pale, 50,4 MW
- Emilie Wind: 9 pale, 40,5 MW
- …e tanti altri ancora, per un totale di oltre 70 aerogeneratori solo in questa porzione di Appennino.
Geologia, clima e frane: un territorio fragile
A ricordare la vulnerabilità dell’Appennino è stata Federica Pirazzini, ingegnere della Protezione Civile. “L’Emilia-Romagna è un hotspot climatico. Dopo le alluvioni del 2023, eventi estremi continuano a verificarsi. I cambiamenti climatici e la mano dell’uomo aggravano una situazione già delicata”.
Ha citato il caso emblematico della discarica franata tra il Passo della Sambuca e Le Spiaggie, evento che ha causato danni enormi a uno dei tratti più incontaminati dei crinali.
Stefano Marabini, geologo, ha poi acceso i riflettori sul versante di Monte La Fine, dove la realizzazione di una strada d’accesso per le pale eoliche potrebbe destabilizzare l’intero pendio verso Piancaldoli, già classificato a rischio frana. “Il progetto ignora dati geologici fondamentali e non tiene conto degli effetti a lungo termine”.
“Serve una vera pianificazione”
Anche Massimo Bolognesi, ingegnere ambientale esperto in suolo e rinnovabili, ha criticato l’approccio superficiale con cui vengono autorizzati molti impianti. “Le norme regionali sono spesso disattese. Si rilasciano permessi senza verifiche reali sui dati anemometrici, sulla stabilità dei versanti, sull’effettiva produttività. È un sistema opaco che scarica la responsabilità sui cittadini”.
Le voci della società civile e del CAI
Andrea Benati, esperto forestale, ha ricordato la battaglia vinta contro l’impianto eolico sul Monte Gazzaro, grazie a una mobilitazione civica apartitica. Ha denunciato casi di conflitto d’interessi e opacità nei processi autorizzativi: “Serve una rete di cittadini onesti e competenti per fermare lo sfruttamento irresponsabile dell’Appennino”.
Anche Ivano Cobalto, presidente del CAI di Imola, è stato chiaro: “L’eolico ha senso solo se rispetta ambiente, vincoli normativi e caratteristiche anemometriche. Il ‘turismo eolico’ è una fantasia. Serve un piano nazionale che indichi non solo dove si può costruire, ma anche dove non si deve”. Il CAI ha ribadito la centralità dei sentieri come patrimonio collettivo da proteggere.
Le preoccupazioni del mondo agricolo
Importanti anche le parole di Coldiretti, con gli interventi di Alessandro Scala (Coldiretti Emilia-Romagna) e Luca Baldassini (Coldiretti Toscana). “Siamo a favore delle rinnovabili, ma non a costo della terra agricola. Il fotovoltaico sui tetti è un esempio virtuoso. Chiediamo attenzione nella scelta dei siti per l’eolico, valutando anche soluzioni offshore”.
La Regione: “Energia sì, ma non a ogni costo”
In chiusura, è intervenuto il consigliere regionale Castellari: “L’Appennino è un ecosistema unitario che va gestito con strategie condivise tra Emilia-Romagna e Toscana. L’eolico deve essere sostenibile e compatibile. La Regione punta sull’autoproduzione, sul fotovoltaico e sulle Comunità Energetiche, non su grandi impianti industriali che snaturano il territorio”.
Il consigliere ha assicurato il rafforzamento delle politiche per le aree interne e la valorizzazione dei crinali, annunciando il rigetto di alcuni progetti già in corso e una nuova stagione di pianificazione partecipata.
Un’energia giusta, per tutti
Il convegno di Castel del Rio non è stato solo una protesta, ma un’occasione per immaginare un futuro diverso. Dove l’energia non diventa sinonimo di profitto a discapito dell’ambiente. Dove i cittadini contano, e il territorio viene ascoltato.
“Difendere i crinali – come ha detto uno dei relatori – significa difendere la nostra identità”.
Un concetto semplice, ma quanto mai urgente.
