Accaparramento di terre, cambiamento climatico e migrazioni

NEOCOLONIALISMO

21 giugno 2019

Land grabbing: così l’Occidente sta distruggendo l’Africa e creando nuovi migranti

di Pietro Mecarozzi

www.linkiesta.it

L’accaparramento delle terre da parte di aziende e Stati ha sottratto ai paesi emergenti 88 milioni di ettari di terra. Una ferita aperta che spreme le risorse ambientali e alimenta la crisi dei migranti in Europa. La situazione già grave, adesso, rischia di precipitare con il climate change

Porti chiusi, sbarchi bloccati e, perché no, la pacchia è finita. L’iter si ripete, come del resto si ripetono le immagini strazianti di quelle persone costrette a rischiare la propria vita solo per averne una decente. Così simili in ogni passaggio ed emozione suscitata, che spesso si dimentica perché sono lì. E se guerre e torture non bastano per giustificare l’azzardo, grazie al land grabbing l’Europa – prima di quanto possa immaginare – sarà teatro della più grande crisi di migranti della storia.

Il land grabbing non è nient’altro che l’accaparramento delle terre, venduta ad aziende o governi di altri paesi, senza previo avvertimento alle comunità locali che vi abitano, per coltivare, produrre, raffinare e ottenere guadagni.
Una pratica vecchia come il mondo, che con fare da montagne russe ha toccato la cima di sensibilità grazie ai Nativi americani, per poi crollare nella noncuranza generale ai giorni nostri.

Nato dopo la crisi finanziaria come cuscinetto per attutire le perdite e creare capitale garantito, questo fenomeno dal 2008 a oggi è cresciuto del 1000%, colpendo le aree meno sviluppate del pianeta e spingendo alla fame e all’esodo coatto migliaia di contadini. Africa, Asia e America Latina le più colpite dal saccheggio fondiario, mentre Europa e Stati Uniti i principali carnefici ancora in attivo. Sì, proprio quell’Europa solidale e spesso in pensiero per le sorti del continente africano e i rapporti commerciali con le potenze internazionali, non si è fatta troppi scrupoli nello sfruttare – sia chiaro, in termini di legalità non viene infranta nessuna legge – le limitate risorse altrui.

Per farsi un’idea: negli ultimi 18 anni, secondo il report “I padroni della Terra. Il land grabbing”, realizzato da Focsiv e Coldiretti, 88 milioni di ettari di terra fertile, equivalenti a circa 8 volte la grandezza dell’intero Portogallo o tre volte quella dell’Ecuador, in ogni parte del mondo sono stati accaparrati
Sono invece 2.331 i contratti attivati nello stesso arco di tempo, concentrati soprattutto nei settori agricoli, delle energie rinnovabili e nella produzione di biocombustibili.

Tra i mattatori della scena invece troviamo in testa, per l’estensione degli ettari “conquistati”, l’America di Trump (10 milioni), seguita dalla Malesia (4,1) e la Cina (3,2). Mentre a subire quella che da molti è già stata considerata come una versione edulcorata di colonialismo, sono la Repubblica democratica del Congo (6,4 milioni di ettari ceduti), la Papa Nuova Guinea (3,8) e il Brasile (che in difesa cede 3,0 milioni di ettari e in attacco ne conquista 2,2).

Il risultato di tutto questo? Non si commette errore candidando il land grabbing come principale motivazione delle future migrazioni planetarie, in quanto (se le implicazioni etiche e sociali non hanno avuto effetto finora) il metodo intensivo utilizzato per le colture ospiti provoca conseguenze disastrose per il suolo, fino all’impoverimento totale.

Le terre accaparrate, inoltre, sono tutt’altro che abbandonate: intere popolazioni native (in alcuni casi da secoli) sono costrette a fare i bagagli, senza una meta precisa e con le ferite di uno sfratto spesso al limite dei diritti fondamentali dell’uomo. Ciliegina sulla torta, le modalità di acquisto dei terreni sono sì legali, ma non certo trasparenti e tantomeno legittime.

Lembi e fazzoletti di terreno che, pertanto, finiscono a mo’ di pochette nel taschino delle grandi potenze mondiali, non solo private. La Banca Mondiale, per esempio, ha attivato durante gli anni svariati investimenti sulla terra, senza mai stabilire un tetto massimo o uno standard da seguire. Storia analoga per l’Ue: l’ambizioso piano EIP (External Investment Plan – Piano di Investimenti Esterni) per incoraggiare gli investimenti in Africa si potrebbe rivelare in realtà in grado di far maturare nuovi debiti nei Paesi in via di sviluppo, aggravarne il deficit e per giunta favorire la permanenza delle multinazionali (senza però garantire il rispetto dei diritti umani e ambientali dei Paesi interessati).

L’acquisizione delle terre può essere quindi il detonatore di una depressione senza eguali. Di pari passo e con più di un punto in comune, in Camerun si sta consumando la più grave crisi di sfollati al mondo, si stima che siano più di 450.000, mentre al livello globale Oms e Unicef hanno stimato che una persona su tre non ha accesso all’acqua potabile sicura, primi su tutti la popolazione – senza troppe sorprese – africana. C’è poi la questione demografica. Nel 2050, secondo le previsioni Onu, la popolazione africana supererò i 2,5 miliardi (e sarà circa cinque volte la popolazione UE).

Insomma, se non bastano guerre e torture a smuovere gli animi politici, sicuramente ad allarmarli ci penserà il climate change. Oltre a creare rifugiati, il land grabbing fa sì che intere foreste vengano tagliate per lasciare spazio alle coltivazioni aggressive, prosciugando le già scrane riserve acquifere e mutando drasticamente la morfologia ambientale dei territori.

E se non è dato sapere chi gioca realmente questa partita, i fondi sovrani o le società private si nascondono dietro imprese schermo o investitori locali corrotti, le mosse in corso sono quasi sempre scontate. La Cina ha messo le mani su tre milioni di ettari dell’Ucraina e buona parte degli appalti per l’edilizia urbana e infrastrutturale nell’Africa, in cambio rispettivamente di grano e di materie prime per le apparecchiature tecnologiche; mentre gli emiri hanno fatto mambassa in Tanzania (senza preoccuparsi troppi delle tribù Masai che vi abitavano) e l’Italia nella familiare Etiopia.

Parafrasando “Se di molta terra abbia bisogno un uomo” di Lev Tolstoj, si potrebbe parlare di un’ossessione nell’acquistare sempre più terre sempre più grandi e fertili, fino a esaurimento scorta. Il nostro Paese ha comprato o affittato un milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 Paesi, fra cui l’Etiopia: le aziende italiane beneficiano di un affitto per 70 anni, per il valore di 2,5 euro l’ettaro. Nel triennio 2013-2015 da parte dell’Italia sono stati destinati all’Etiopia quasi cento milioni di euro di “aiuti allo sviluppo”, che hanno portato alla depauperazione della bassa valle dell’Omo, con conseguente espulsione di circa duecentomila indigeni, e un investimento miliardario da parte dell’Enel, dai risultati ancora da scoprire.

Speculazione finanziarie e opportunità di mercato spingono, perciò, a una “febbre della terra”, con acquirenti che continuano assicurarsi un fabbisogno duraturo di biocombustibili, senza preoccuparsi troppo degli effetti innescati. Non esiste tutela sociale o ambientale, e il terreno per quanto possibile può essere inquinato, inaridito o genericamente esaurito di qualsiasi risorsa. La sopravvivenza della popolazione dell’Africa, come di una buona parte dell’Asia, è messa a dura prova, con o senza i ben noti slogan a minimizzare il tutto. Non ci stupiamo poi se quella che per noi è solo casa, per altri è la terra promessa.

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