
IL RISCHIO DEL NEORAZZISMO CONTRO IL MONDO DEI DIVERSI
Come definire la violenza con cui gli abitanti di Casale San Nicola sono riusciti nell’impresa di allontanare un pullman di 19 immigrati? E che nome dare al plauso espresso dai cittadini di Quinto dopo la cacciata dei profughi? Forse non si deve parlare di «razzismo» perché non teorizzano l’esistenza delle razze? Allora dobbiamo parlare di «nuovo razzismo» e di odio verso l’altro e verso lo straniero.
La politica ha le sue responsabilità. Nel corso di questi ultimi decenni è mancato un piano complessivo all’altezza di quell’evento epocale che è oggi l’immigrazione. Ma trovare edifici dismessi per ospitare profughi — come hanno fatto il prefetto Gabrielli o altri prefetti — è una risposta concreta.
Che dire invece dei cittadini? C’è chi li assolve sempre e comunque. Scaricare ogni volta tutto su chi governa è comodo, così come è sbrigativo sostenere che non si tratta di un problema culturale. È vero che la campagna massmediatica dell’odio verso gli «stranieri» sembra inarrestabile. Ed è vero che ad approfittarne sono sia quei gruppi fascisti e neonazisti, da CasaPound a Forza Nuova, sia quei rappresentanti di partiti, talvolta perfino con cariche istituzionali, che ricorrono a parole gravissime. Il linguaggio in tale contesto è decisivo. Il termine «africanizzazione» è agghiacciante; fa pensare a «ebraizzazione», il monito lanciato dai nazisti ben prima degli anni Trenta.
Il neorazzismo attraversa ceti sociali diversi, fa leva su sentimenti ancestrali, se ne serve in difesa di un’identità nazionale etnicamente omogenea. Può fare a meno di parlare di «razze»; basta richiamarsi all’ideale per cui «ognuno deve vivere nel proprio paese» e all’esigenza di «rimettere a posto gli individui». Il neorazzismo è la reazione alla mobilità degli esseri umani che provoca mescolanza, è il rifiuto ossessivo della contaminazione, è la pretesa di mettere al bando gli inassimilabili, inadatti alla civiltà, pericolosi perché diversi. I cittadini italiani che pensano questo sono neorazzisti. E sono loro a suscitare paura, inquietudine, sconcerto.
Razzismo quotidiano , le colpe della sinistra
di Alessandro Portelli
Il manifesto 19.7.15
L’altro giorno la nostra strega preferita, Angela Merkel, ha fatto piangere una bambina palestinese dicendole senza peli sulla lingua: «non possiamo accogliere tutti». Insensibilità teutonica. Noi latini siamo più umani e bonari: non è che non possiamo accogliere tutti; più semplicemente, non vogliamo accogliere nessuno.
Adesso ci sorprendiamo e ci scandalizziamo per le schifezze esplose a Treviso e alla periferia di Roma, con tanto di contorno a braccio teso di Forza Nuova e Casa Pound.
Io però mi vorrei fare anche un’altra domanda: com’è che a Casal San Nicola i fascisti c’erano per aizzare le fiamme, e invece non c’era traccia di soggetti democratici, civili e antirazzisti a contrastarli, a spiegare, a offrire ragionamenti alternativi, e magari a sostenere i migranti in questo momento difficile delle loro vite?
Dov’erano le brave persone del Pd locale, che conosco e rispetto e che ho visto attivarsi solo per organizzare le primarie? Dov’era Sel? E lasciamo stare gli altri.
È la stessa storia che ho visto, dall’altro lato dello stesso quartiere, qualche anno fa, quando l’allora amministrazione Rutelli cercò di decentrare i campi rom istituendone uno di dimensioni limitate anche da queste parti: blocchi stradali, indignazione, grida rivoltose, Forza Italia e gli ultras della Lazio in strada, e della sinistra non una traccia. E alla fine, come a Treviso, come a viale Morandi, vincono loro.
Il senso comune, il mescolarsi di paura, egoismo, vittimismo, ignoranza che si respira nell’aria di oggi è anche il risultato della nostra abdicazione dalla politica come pratica quotidiana nella società e nei territori, direi come didattica ed educazione di massa come è stata per tanta parte della nostra storia.
Ci siamo riempiti la bocca con Syriza, ma in un paese ben più difficile e con più immigrati del nostro, Syriza nelle strade e nei quartieri c’era, ed è per questo che finora Alba Dorata non egemonizza le piazze. I manifestanti di Casale San Nicola non sono innocenti e la «comprensione» da più parti manifestata per le loro «ragioni» è pericolosamente vicina alla complicità. Ma sono soggetti subalterni e manipolati, capaci di ribellarsi solo contro gente più debole di loro.
La colpa più grave è la nostra, la colpa è di una sinistra che ha un’idea rattrappita, separata, specialistica e mediatica della politica, che ha scelto di lasciare impolverare una democrazia costituzionale basata sulla partecipazione attiva dei cittadini – e che anche per questo si è ampiamente lasciata contaminare da settarismo, da affarismo e corruzione, e anche in buona parte dalla stessa mentalità egoistica e proprietaria di cui vediamo anche in questi episodi i risultati.
I nostri governanti non hanno per migranti e rifugiati più rispetto dei rivoltosi trevigiani e romani. Basta vedere come li gestiscono: non sono persone ma problemi, da collocare dove capita, nella prima discarica che viene sotto mano, senza progettare, senza coinvolgere, senza attivare pratiche democratiche che possano prevenire i conflitti e aiutare l’accoglienza, senza assicurarsi che dove li mettono ci possano davvero vivere. Chi sta al governo lo sa benissimo che aria tira. Operazioni improvvisate, dilettantistiche e autoritarie come queste sembrano – magari, sapendo chi c’è al ministero degli interni, sono – fatte apposta per aizzare il peggio che c’è nel paese. Poi si mandano i poliziotti coi caschi blu, a menare e a farsi menare. Le vere priorità di governo sono altre.
Eppure io resto convinto che questo paese non è rappresentato dai facinorosi di Quinto e di Casale San Nicola. Sono convinto che siano minoranze che monopolizzano il discorso pubblico e mediatico solo perché glielo consente il silenzio di tutti gli altri. La possibile ricostruzione della sinistra passa da qui.
Vanno benissimo gli accordi politici, le sinergie fra notabili e gruppi dirigenti. Ma fino a quando in strada ci saranno solo quelli di Casa Pound, tutto questo – al meglio – resterà chiuso fra le solite quattro mura.
A proposito. Alla fine, la bambina palestinese che Angela Merkel ha fatto piangere e la sua famiglia, in Germania ci potranno restare.