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Quanto costa la politica?

di Leonardo Romagnoli

berlusconismo

 

 

I costi della politica

 

 

I costi della politica ormai è diventato l’argomento preferito per cercare consenso presso un’opinione pubblica stremata dalla crisi e il comportamento di politici nazionali e regionali, gruppi e amministratori non aiuta certo a separare il vero dal falso,cioè quello che è davvero superfluo da quelli che sono i costi insiti in una gestione democratica della cosa pubblica.

Le cifre ballano e non sempre le fonti da cui provengono sono delle più attendibili: il professor Perotti sul sito Lavoce.info ha scritto cose molto documentate e dettagliate sull’argomento e limita il costo della politica in senso stretto a 2,5 miliardi di euro sul quale comunque , secondo il suo parere sarebbe possibile un risparmio di un miliardo. Siamo nell’ordine dello 0, 15% del Pil. In questo conteggio ci sono tutti gli organi legislativi elettivi a livello nazionale, regionale e provinciale perché è in questi livelli che si sono verificati, ad esempio, gli ultimi scandali dei famosi rimborsi. E’ ovvio che i “costi della politica” sono più ampi se si includono gli enti controllati e gli organi esecutivi delle varie amministrazioni.

Recentemente anche il centro studi della Uil si è lanciato in un calcolo rocambolesco in cui l’esercito della politica assommerebbe a 1 milione e 124 mila addetti e peserebbe sull’economia per 23,2 miliardi di euro ( dieci volte il calcolo di Perotti) ovvero 1,5% del Pil che per fare più effeto viene contabilizzato in 757 euro all’anno per contribuente ( che non vuol dire per abitante). Dentro questa cifra c’è davvero di tutto e non si capisce ciò che è superfluo e ciò che è indispensabile. Porto l’esempio della famose consulenze che , secondo la Uil assommerebbero a 2,2 miliardi di euro e che vengono  assunte tout court come mance a politici trombati o amici degli amici. Questo è semplicemente un falso e cerco di spiegarmi : in molte pratiche atti riguardanti la gestione del territorio è indispensabile per legge il parere di un geologo se un’amministrazione comunale non ha in organico un  geologo ( cosa comprensibilissima) deve obbligatoriamente richiedere una consulenza specializzata e lo steso può verificarsi in ambito legale. Fare di ogni erba un fascio non ha nessun senso e si rischiano di bloccare interventi indispensabili per la salvaguardia del territorio e dei cittadini. Vietare le consulenze e un’idiozia porre dei limiti invece potrebbe avere un senso.
La Uil inserisce poi 2 miliardi per le auto blu che ogni tanto ritornano come il passaggio di una cometa e anche qui non si capisce quali sono vere auto di servizio degli enti e quali sono davvero auto blu al servizio di politici e dirigenti di stato. Altrimenti si rischia il caso di quel governatore leghista di una regione del nord che rinunciò ad  auto e autista però si faceva rimborsare il costo del viaggi dalla sua abitazione alla sede regionale e a fine mese costava all’amministrazione più

dell’ auto blu  autista compreso. Anche in questo caso , considerando le vere auto blu, basta un decreto di due righe  per limitarne  il numero, invece si sono sempre fatti atti complicatissimi per cui si è giunti a vietare l’utilizzo di modeste auto di servizio per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche equiparandole a “auto blu”(la demagogia gioca brutti scherzi).

“oltre un milione di persone che vivono di politica non ce le possiamo permettere” ha detto Angeletti segretario della Uil che ha fatto alcune proposte per ridurre di almeno 7 miliardi i 23 che vengono imputati “alla politica”: l’accorpamento dei comuni ne farebbe risparmiare 3,2, l’utilizzo dei fondi delle province solo per i compiti di legge un altro miliardo e due, 1,5 miliardi si otterrebbero  con una sobria gestione delle regioni e un altro miliardo e due verrebbero da una razionalizzazione dello  Stato.(La Stampa).
E’ curioso che simili proposte vengano da un sindacato che è parte integrante del “costo della politica”, non a caso il mondo politico brulica di ex sindacalisti così  come i consigli di amministrazione delle società pubbliche. Si propone l’accorpamento di comuni e non si coglie l’anacronismo nel XXI secolo della divisione del mondo sindacale in tre sigle con un apparato burocratico ben più sostanzioso di quello dei partiti. Tra Caf, patronati e quant’altro i sindacati fatturano diversi miliardi l’anno  con migliaia di dipendenti che sono coperti in buona parte da fonti pubbliche (inps e ministeri). Tra i dipendenti ce ne  sono poi alcune migliaia che figurano come distaccati dalla pubblica amministrazione con costi a carico del contribuente. Oltre a questo i sindacati godono dio un  immenso patrimonio immobiliare non sempre gestito in modo trasparente come denunciava qualche anno fa il giornalista  Stefano Liviadiotti sull’Espresso (Fatturati miliardari. Bilanci segreti. Uno sterminato patrimonio immobiliare e organici colossali) che definiva i sindacati una macchina di potere “temuta perfino dai partiti”.  Quando la Uil parla delle società pubbliche e dei posti occupati da ex politici  fa quasi tenerezza, nell’articolo dell’Espresso si affermava infatti che “ gli enti previdenziali sono da sempre riserva di caccia quasi esclusiva per ex dirigenti di Cgil, Cisl e Uil in pensione, solo all’Inps sono a disposizione 6.222  tra poltrone e strapuntini”. Per non parlare poi dei sindacalisti entrati in politica ( con incarichi governativi e non ) o di quelli che dirigono grande aziende di stato ( Moretti  presidente di FS è un ex sindacalista Cgil).

Detto questo i sindacati sono uno dei pilastri della democrazia e il loro ruolo è indispensabile per la difesa  dei diritti dei lavoratori e senza le battaglie sindacali non avremmo mai avuto uno statuto dei lavoratori e neppure un  sistema di welfare o un servizio sanitario nazionale.

In tutta questa vicenda si prova un certo fastidio nel vedere il bue che dà di cornuto all’asino infatti le persone impiegate all’interno di organizzazioni di categoria nel nostro paese assommano a ben 900.000 con un costo che è superiore a quello della politica e che grava ugualmente sui contribuenti e non può essere una scusa quella di considerarle semplicemente “associazionismo privato”.

Tornando ai costi della politica trovo perlomeno singolare che si batta sempre il tasto sulle  società partecipate, sui consigli di amministrazione e sui sindaci revisori dove spesso abbondano proprio i rappresentanti non solo della politica ma anche delle varie categorie. Anche in questo caso basta una legge di due righe per porre dei limiti ai gettoni di presenza e , per esempio ,ad  abolire l’obbligo dei revisori dei conti nelle pubbliche amministrazioni dove i conti li dovrebbero controllare  i funzionari e i segretari comunali. Il risparmio sarebbe molto consistente, invece si fanno provvedimenti per  diminuire il numero dei consiglieri comunali o delle giunte  con risparmi ridicoli e incidendo in modo negativo sulla partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Anche l’abolizione delle province è una trovata molto demagogica alimentata da una campagna di stampa fatta spesso di totale disinformazione. Una loro diminuzione dopo le follie di questi anni dovute anche al “localismo “ leghista è indispensabile , un’abolizione pura e semplice rischia di lasciare dei vuoti amministrativi notevoli in settori delicati come l’edilizia scolastica, la viabilità , i rifiuti, la protezione civile. Come riconosce lo stesso Perotti la spesa “politica 2 per le province è modesta, il vero risparmio verrebbe dalla riduzione del personale che non ci sarà se non in tempi molto lunghi e in modo parziale. Non a caso  c’è già chi propone anche un’abolizione delle Regioni dopo lo spettacolo indecoroso dei rimborsi ai consiglieri e ai gruppi consiliari verificatisi in varie parti d’Italia. Questa proposta parte dalla constatazione  che la spesa pubblica è esplosa con la creazione delle regioni ed ancora oggi sono gli enti che con più difficoltà riescono a effettuare risparmi. Anche in questo caso dimenticandosi che è diventata di competenza regionale la sanità che  rappresenta l’80% dei bilanci regionali.

Restando alle cose che sono semplici da fare senza nessuna riforma costituzionale il prof. Perotti indica come risparmiare un miliardo su 2,5 : 400 milioni dai costi della Camera, 200 dal Senato e 400 dalle Regioni.

1) i deputati e senatori italiani guadagnano troppo. L’indennità parlamentare può essere ridotta del 30 per cento, e i parlamentari italiani continuerebbero a guadagnare ben più dei loro colleghi britannici

2) Inoltre,  i parlamentari italiani non devono praticamente sottomettere ricevute per le proprie spese. La diaria (ora chiamata “rimborso spese per l’ esercizio del mandato parlamentare”)  era concepita come un rimborso spese a forfait per i bisogni del parlamentare, ma è di fatto diventata un reddito non tassabile aggiuntivo. Il risultato è che un deputato italiano guadagna il triplo di un deputato britannico .
Vi sono quindi due alternative:
a) Si mantiene la diaria, ma si aboliscono i contributi ai gruppi parlamentari, i rimborsi elettorali, e i viaggi gratis.
b) Oppure si abolisce la diaria e gli altri rimborsi a forfait, e si introduce un tetto massimo alle spese rimborsabili, per tipologia, con obbligo di sottomettere la ricevuta per ogni spesa, e di pubblicare ogni ricevuta su Internet entro tre mesi, come avviene in Gran Bretagna  (il sito dell’ ente che controlla il Parlamento pubblica centinaia di migliaia di ricevute ogni anno)

3) I parlamentari italiani sono chiaramente troppi. Qualsiasi organo decisionale troppo grande crea confusione e deresponsabilizza i suoi membri: 500 è un numero perfettamente fattibile

4) Il problema degli stipendi dei dipendenti della Camera è la progressione fortissima: un operatore tecnico (il livello più basso) entra a 30.000 euro ma dopo venti anni guadagna 90.000 euro, e dopo 30 anni 120.000 euro. La stessa progressione si applica ai livelli più alti. Le  retribuzioni dopo il 10 anno di carriera possono dunque essere ridotte immediatamente del 30 per cento, e anche più.

5) Un riflesso degli stipendi molto alti sono le pensioni molto alte (prima dell’ introduzione del contributivo). Esse vanno ridotte da subito.

6) Le spese per locazioni e per acquisti di beni e servizi alla Camera sono in alcune voci fuori da ogni plausibile parametro(gli affitti d’oro ndr). Anche qui esse possono essere ridotte da subito.(perotti)

Stesso discorso vale per il Senato, mentre questo sono le proposte per le Regioni:

7) Dimezzare il numero dei consiglieri: 600 in tutto. Umbria: 31 consiglieri per 800.00 abitanti: 1 ogni 25.000 abitanti (compresi i bambini), in Basilicata 1 ogni 21.000 abitanti. Troppi.

8) Come per la Camera, ridurre l’ indennità: 200.000 euro di emolumenti medi  per consigliere regionale sono troppi. La remunerazione va ridotta molto più del 10 percento prodotto dal governo Monti (che, come abbiamo visto, è stata comunque in parte aggirata).

9) Eliminare i contributi ai gruppi consiliari, la fonte principale di scandali e l’alimento principale dell’antipolitica. Anche se c’è in teoria un dovere di rendicontazione, non si potrà mai impedire che i contributi vengano usati per clientelismo o corruzione (organizzo un convegno apparentemente serio e chiedo alla cognata di organizzarlo o di fare il catering, oppure l’ organizzo alle Maldive per farmi le vacanze). Sono solo 100 milioni, ma sono l’alimento principale dell’ antipolitica.

10) Come per Camera e Senato, c’è  spazio per altri risparmi nella spesa per acquisti di beni e servizi (incluse spese di rappresentanza, partecipazione a convegni, partecipazioni a improbabili iniziative internazionali sui temi più disparati, etc.) . Un risparmio medio di 1,5 milioni per consiglio regionale è perfettamente possibile. (Perotti)

 

Sono tutte proposte molto semplici che non richiedono nessuna modifica costituzionale. Aggiungerei l’abolizione delle Regioni a Statuto speciale. In questo modo diradate le nebbie dell’antipolitica si potrebbe davvero guardare dove si annida il vero problema della spesa pubblica a partire proprio dalla struttura burocratica dello Stato e dei Ministeri che condizionano anche le scelte politiche per cercare di uscire dall’attuale  situazione di difficoltà migliorando lo stato sociale e i diritti dei cittadini con un utilizzo più  attento delle entrate fiscali teso a diminuire le disuguaglianze  che invece in questi anni sono ampliate anche nel nostro paese.
“L’impoverimento c’è sia chiaro però non è uguale per tutti. E i più poveri non sono quelli che rumoreggiano. L’ultima indagine della Banca d’Italia pubblicata il 13 dicembre mostra che dal 2007 ad oggi la ricchezza delle famiglie si è ridotta del 9% a fine 2012, ma bisogna aggiungere un altro punto percentuale nel primo semestre 2013 secondo le prime stime. Dunque dieci punti in meno negli ultimi 6 anni, un salasso, dovuto per circa 6 punti al calo dei prezzi delle abitazioni, il resto è colpa degli impieghi finanziari dei risparmi.(…) La ricchezza si concentra ( anche questo non è nuovo) nelle fasce più alte , tra imprenditori, redditieri e lavoratori autonomi, esattamente le categorie che stando ai dati del Ministero dell’economia contribuiscono meno alle entrate fiscali, molto meno di operai e impiegati.. Non si può dedurre che ci sia un rapporto direttamente  proporzionale tra ricchezza privata ed evasione, certo c’è con debito pubblico”.(Stefano Cingolani – Linkiesta).
Oltre ai provvedimenti che solo le istituzioni possono prendere ci sono poi i nostri comportamenti quotidiani nella politica come nell’economia che possono contribuire al cambiamento.”Avviare le nostre piccole azioni, così come le riforme sostanziali di cui il paese ha bisogno, partendo dall’idea di uguaglianza – ha scritto Ferragina nel libro “chi troppo e chi niente”- iniziare a convicerci  che solo la redistribuzione  salverà questo paese dal fallimento economico e sociale. Ridistribuire non solo per ragioni ideologiche ma anche e soprattutto per raggiungere una maggiore efficienza del sistema paese. Redistribuire la tassazione da imprese e lavoro al patrimonio;redistribuire le opportunità lavorative a livello generazionale scoraggiando i comportamenti opportunistici di chi ha una posizione di mercato dominante; redistribuire parte delle floride pensioni a lavoratori precari e disoccupati che prima o poi meriterebbero da questo paese uno straccio di opportunità. Perché seguire il principio di uguaglianza non vuol dire diventare tutti uguali, come qualcuno vorrebbe farci credere, ma essere messi tutti nella condizione di esercitare i nostri diritti di cittadinanza”.

(Emanuele Ferragina – Chi troppo, Chi niente “(rizzoli 2013)

 

 

Leonardo Romagnoli

26.12.13

 

 

 

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