Perchè la crisi provocata dalla plastica è importante

Perchè la crisi provocata dalla plastica è importante

di Froilan Grate e Lili Fuhr

 www.fataturchinaeconomics.com

MANILA – Le plastiche sono diventate un tema caldo. Nelle cronache abbondano i racconti sulla plastica nelle spiagge e negli oceani e le autorità hanno cominciato a rispondere con proibizioni o limitazioni sui sacchetti di plastica e sugli articoli di plastica monouso.

Ma l’industria della plastica sta reagendo, sostenendo che la plastica è indispensabile e che il vero problema è l’abbandono dei rifiuti da parte dei consumatori e l’inadeguatezza dei sistemi di gestione dei rifiuti stessi. Secondo le tesi principali dell’industria, i pazienti degli ospedali costretti al letto e gli anziani hanno bisogno delle cannucce di plastica, ed eliminare le pellicole per alimenti sui vegetali porterebbe a un disastroso spreco di cibo.

Non c’è dubbio che la gestione dei rifiuti in gran parte del mondo in via di sviluppo – e persino in molti paesi più ricchi – abbia bisogno di miglioramenti. Ma il mondo ricco deve anche fermare l’esportazione dei suoi rifiuti di plastica senza valore verso i paesi poveri per il cosiddetto “riciclaggio”. Anche troppo spesso, i rifiuti che gli europei e gli americani suddividono e separano in diversi bidoni finiscono in contenitori destinati all’Asia Sudorientale, per essere raccolti da lavoratori sottopagati in condizioni pericolose. Alla fine, gran parte di essi finisce comunque in discariche o in corsi d’acqua.

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Più precisamente, il flusso delle plastiche dentro i sistemi naturali è connesso direttamente agli altri fattori che stanno distruggendo il nostro ambiente, decimando la biodiversità, innescando i cambiamenti climatici ed esaurendo le risorse naturali. Questa è la principale scoperta dell’Atlante delle plastiche, pubblicato di recente dalla Fondazione Heinrich Böll e dal Movimento per la Liberazione dalla Plastica.

Come chiarisce l’Atlante – un compendio di fatti, numeri e informazioni generali sui polimeri sintetici che sono diventati una parte fondamentale delle nostre vite nel corso degli ultimi 70 anni – l’industria delle plastiche ci ha rivenduto un racconto falso. La crisi delle plastiche è molto di più che un problema di gestione dei rifiuti. La storia vera comincia da quando il petrolio e il gas vengono estratti dal suolo, e continua molto tempo dopo che i rifiuti di plastica entrino nei mari e negli altri ecosistemi. Non solo la produzione di plastiche è una fonte importante delle emissioni dei gas serra; essa rilascia anche una vasta gamma di prodotti chimici nell’ambiente, molti dei quali finiscono nei nostri polmoni e nei nostri stomaci.

Quindi, mentre gli sforzi per contrastare i rifiuti sono importanti, essi non devono distrarre la nostra attenzione dal problema principale: in primo luogo il mondo sta producendo di gran lunga troppa plastica. Tra il 1950 e il 2017 sono state prodotte globalmente circa 9,2 miliardi di tonnellate di plastica, l’equivalente ai nostri giorni di più di una tonnellata per persona vivente. Peggio ancora, più della metà delle plastiche sono state prodotte a partire dal 2000, e il ritmo della produzione continua ad accelerare, senza alcun rallentamento in vista.

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Secondo stime recenti, la produzione di plastiche e l’incenerimento arriverebbe ad emettere 56 miliardi di tonnellate equivalenti di anidride carbonica entro il 2050, che corrispondono al 10-13% del bilancio totale di anidride carbonica che possiamo “spendere” per la metà del secolo sulla base degli impegni attuali di riduzione delle emissioni.  Per la fine del secolo, le emissioni derivanti dalle plastiche corrisponderebbero alla metà del bilancio totale di anidride carbonica.

La crisi climatica e la crisi delle plastiche sono due facce della stessa medaglia. Per mantenere il riscaldamento globale entro livelli accettabili, dobbiamo assolutamente ridurre il quantitativo di plastica che produciamo, consumiamo e scartiamo. E questo non è un problema al quale possiamo trovare una via d’uscita con la raccolta differenziata. Meno del 10% di tutte le plastiche prodotte da sempre sono state riciclate. Nel caso degli Stati Uniti, vengono riciclate meno del 10% dei rifiuti di plastica; il resto è incenerito o scaricato in discariche.

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Mentre una migliore gestione dei rifiuti e un maggiore riciclaggio sono entrambe necessità, l’unica soluzione reale e duratura è anzitutto produrre meno plastiche. Dobbiamo cominciare a ridurre gli imballaggi di plastica che costituiscono il 40% di tutti i rifiuti di plastica. Il primo passo è eliminare gli articoli monouso come le plastiche alimentari e i sacchetti dei rifiuti, le posate di plastica ed anche, esattamente, le cannucce di plastica.

L’umanità deve trovare i modi per cavarsela senza riversare rifiuti sul pianeta. Questo significa ridurre, in termini assoluti, la quantità di materiale che usiamo attraverso l’economia. Più in generale, dobbiamo costringere i produttori manifatturieri a cambiare i loro sistemi di distribuzione e di consegna verso sistemi capaci di essere ricaricati e riusati, e a prendere responsabilità per il danno provocato dai loro prodotti.

Alcune di queste misure vengono già adottate. In Asia, intere città si stanno muovendo verso soluzioni rifiuti-zero attraverso iniziative decentrate guidate da comunità e accentrate, messe al bando delle plastiche monouso e gruppi di pressione contro l’incenerimento dei rifiuti. Molte soluzioni restano da essere scoperte e sviluppate; ma l’Asia si sta dimostrando essere il motore del cambiamento.

Il movimento per rifiuti-zero sta crescendo a livello globale. Esso chiama per nome e mette alla berlina le società che producono la maggior parte della plastica. E sta spingendo i Governi a mettere al bando i metodi della fratturazione e della perforazione, a imporre una ridotta produzione di plastica e a sostenere soluzioni di riuso e di ricarica.

[1] La tabella illustra le esportazioni di plastiche dal Regno Unito e dagli Stati Uniti (429.711 tonnellate dal primo paese e 787.631 dal secondo) verso il resto del mondo; soprattutto paesi asiatici (Malesia, Vietnam, India, Thailandia, Hong Kong) ma anche Olanda, Canada e Polonia.

[2] L’uso delle plastiche nei vari settori industriali ha corrisposto, nell’anno 2017, a 438 milioni di tonnellate, così suddivisi: 3 milioni di tonnellate nelle macchine industriali, 29 milioni di tonnellate nei trasporti, 45 milioni di tonnellate per i prodotti ai consumatori, 62 milioni di tonnellate nel tessile, 71 milioni di tonnellate nell’edilizia e nelle costruzioni, 158 milioni di tonnellate negli imballaggi.

Si faccia attenzione che il dato nella frase successiva si riferisce alla produzione (emissione) di anidride carbonica nei prossimi trenta anni. Ovvero: alcune centinaia di milioni di tonnellate annue di plastica annue utilizzate nell’industria, a fronte di decine di miliardi di tonnellate di anidride carbonica emesse nei processi di produzione di quelle plastiche e nel loro incenerimento nei prossimi trent’anni.

Nella frase successiva traduco “carbon emissions” con emissioni di anidride carbonica (non di carbonio), come del resto indica il dizionario.

[3] La figura mostra l’entità della minaccia rappresentata dalla produzione e dall’incenerimento delle plastiche: 56 miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2050, contro 420-570 miliardi di tonnellate totali entro lo stesso anno. Questo sarebbe il bilancio massimo consentito per soddisfare un obbiettivo di riscaldamento globale contenuto in 1,5 gradi centigradi.

 

 

 

 

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