Non sparate sull’affido famigliare
Sarebbe bello che tutti i bambini trovassero nella propria famiglia adulti in grado di sostenerli nel processo di crescita, di offrire loro sicurezza mentre imparano a diventare autonomi, affetto senza soffocarli, guida autorevole senza violenza (psicologica o fisica).
Che tutti i bambini avessero non tanto “genitori perfetti”, che non esistono da nessuna parte, ma genitori responsabili e consapevoli, anche dei propri limiti, quindi anche capaci e disponibili a farsi aiutare, a condividere con altri, dentro, ma anche fuori dalla rete familiare, la responsabilità di far crescere bene un bambino.
Non sono disposizioni e capacità che si sviluppano automaticamente dal dato biologico della procreazione. Richiedono maturità, processi di apprendimento, disponibilità emotiva e cognitiva. Crescere un bambino, inoltre, non può essere una avventura solitaria. Va condivisa, innanzitutto tra genitori (se ci sono entrambi), ma anche con altri – nonni, zii, insegnanti, anche amici – che possano costituire persone di riferimento aggiuntive per i piccoli e anche sostenere i genitori in momenti di difficoltà, o stanchezza.
La normale consapevolezza dei propri limiti, la disponibilità alla condivisione delle responsabilità e la capacità di chiedere aiuto, e la possibilità di farlo, tuttavia, purtroppo non sempre ci sono, o sono sufficienti. Uno o entrambi i genitori possono essere seriamente inadeguati rispetto alla responsabilità di crescere un figlio, mettendone a rischio lo sviluppo e talvolta la vita stessa.
Possono non avere nel loro intorno famigliare e amicale una rete di sostegno sufficiente, o adeguata al bisogno, o rifiutarla per un malinteso senso di autonomia e autosufficienza. In questi casi è assolutamente necessario che si attivino reti di relazione e protezione anche istituzionali, innanzitutto a difesa del bambino, al suo diritto a ricevere cure adeguate, a crescere in un ambiente sicuro anche dal punto di vista relazionale e affettivo.
Salvo che nei casi in cui vi è il fondato sospetto, o l’acquisita certezza, di violenze e di rischi gravi per il bambino, in cui interviene il Tribunale dei minori, il primo intervento non comporta l’allontanamento provvisorio dalla famiglia, quindi il collocamento in una comunità o in una famiglia affidataria.
Comporta invece un lavoro con la famiglia, i genitori e possibilmente il loro intorno sociale, per aiutarli a far fronte alle loro responsabilità e per individuare le criticità. Queste possono essere di ordine economico, ma più spesso sono di ordine culturale, cognitivo, psicologico. Mentre le difficoltà economiche possono essere, almeno in linea di principio, di agevole soluzione, le altre lo sono meno, richiedono tempi lunghi e non sempre si risolvono.
Per compensarle, mettendo in sicurezza la bambina pur mantenendo la relazione genitoriale, può bastare un rafforzamento della rete di sostegno formale e informale e una maggiore presenza dei servizi educativi e sociali. Altre volte, tuttavia, questo non è sufficiente. Per la sicurezza del bambino ed anche per dare la possibilità ai, o al genitore di riprendersi, o di maturare un equilibrio soddisfacente, è necessario ricorrere all’allontanamento temporaneo, vuoi in modo consensuale, vuoi ricorrendo al tribunale.
Si tratta sempre di decisioni drammatiche, veri e propri atti di riduzione del danno. Per questo non sono prese a cuor leggero. Contrariamente a ciò che sostengono coloro che hanno fatto del caso Bibbiano una bandiera a favore della “famiglia naturale” a prescindere e contro i servizi sociali percepiti come prepotenti intrusi, i servizi sociali e le famiglie affidatarie non “rubano i bambini” senza motivo a genitori con cui stanno bene. Ci possono essere casi specifici in cui si è agito, anche in buona fede, troppo frettolosamente, senza adeguate verifiche.
Occorre sicuramente rafforzare i servizi di sostegno alla genitorialità e investire nella formazione e supervisione di chi opera nel campo delle fragilità famigliari, evitando decisioni troppo solitarie o basate su stereotipi del “buon genitore” (soprattutto della “buona madre”). Ma è anche necessario non adagiarsi nell’idea che la famiglia “naturale” sia sempre e comunque il luogo più sicuro e migliore in cui crescere. Non sempre, purtroppo, è così. E l’affido famigliare è uno straordinario strumento di solidarietà a favore di bambini, e genitori, in più o meno temporanea difficoltà.
L’articolo è tratto da “la Repubblica” del 5 dicembre 2019