Le epidemie a Borgo san Lorenzo a metà 800.

Le epidemie a Borgo san Lorenzo a metà 800.

“Dominando il Cholera o qualche altra malattia epidemica in un paese o città è stato sempre osservato che le riunioni di molta popolazione ne favoriscono la diffusione e l’incremento , però è consigliato da tutti i savi medici lo impedirlo, Dal parroco del Borgo San Lorenzo e dalle Autorità fu obliato questo consiglio e invece furono fatte delle feste insolite. Due volte che nel mese di luglio concorse molta gente in paese per implorare dal Cielo misericordia e salute, adorando la miracolosa immagine di Gesù crocifisso che si venera in questa terra, e due volte si ebbe un aumento rimarchevole nel numero dei colpiti dal Cholera.(…) La storia ci narra molti esempi di epidemie già cessate e ricominciate improvvisamente con maggior furore, quando per ragioni di commercio o per spirito di religione si sono accumulate nei luoghi stessi molte persone. Io, sventuratamente, prima con la miliare , poi con il Cholera, mi trovai a vedere comparire molti nuovi ammalati tutte le volte che qualche consueta o insolita festa sacra richiamava maggior quota di popolo al maggior Tempio di questo luogo, del quale per inesplicabile capriccio furono tenute le finestre tutte chiuse e le porte solo in parte aperte. Così si riuniva molta gente senza pensare a farli respirare un’aria sufficientemente rinnovata, obliando affatto ogni principio anco ovvio d’igiene.(…) Più volte nel corso della epidemia della miliare palesai all’Autorità politica il timore che fosse per riuscire di danno l’essere tenuta poco ventilata la chiesa plebania. In ciò non feci che soddisfare ad un obbligo impostomi dall’impiego . (…) Dai medici tutti di questo fu replicatamente inculcato alle competenti Autorità di provvedere alla nettezza delle case e della strada , ma come fossero ascoltati lo dica l’intera popolazione , non la mia penna che potrebbe essere creduta sotto l’influenza di personale rancore .
I medici stessi consigliavano che le chiese fossero costantemente tenute aperte e ventilate, che non vi si associassero i morti , e che i cadaveri fossero tenuti il meno possibile nelle abitazioni. Escludendo i parroci di campagna che tutti indistintamente intesero la necessità di queste cautele, torno nuovamente ad invocare la testimonianza del popolo borghese perché dica quanti giorni la chiesa plebana fu tenuta tutta aperta , quanti cadaveri furono portati al Camposanto senza essere associati in qualche chiesa che subito dopo serviva alle sacre funzioni e alla celebrazione delle Messe, quanti morti non giacquero anco ventiquattro ore nel proprio letto, e quanti altri furono portati alla tomba con numerosa processione d’incappati. In quell’epoca di pubblica calamità fu consigliato ancora da tutti i medici di questa comunità di provvedere ai bisogni e migliorare la sorte delle classi disgraziate per diminuire il più possibile i focolai della malattia, ma da molti fu recusato ogni sacrifizio , ed i poveri dovettero continuare a far uso del consueto alimento poco riparatore e poco salubre .(…) la voce dei medici fu sempre come emessa nel deserto”.

Questa lunga citazione è tratta da una relazione del Dott. Antonio Lanini medico condotto della comunità di Borgo san Lorenzo del 1855-56.

Il Mugello era già stato colpito nel 1817 da una grave epidemia di tifo che costrinse le autorità a riaprire il Monastero di Luco che venne utilizzato come lazzaretto per ospitare i malati (questo fu uno dei motivi che portò 50 anni dopo alla scelta di questo luogo per realizzare il primo ospedale del Mugello). Un’altra epidemia di febbre tifoide interessò in particolare Borgo san Lorenzo dopo l’alluvione del 1844  con la Sieve che , superando gli argini, sommerse la parte del paese che si trova sotto il livello del fiume.

Intorno alla metà dell’800 il territorio venne nuovamente interessato da due importanti epidemie, la miliare e poi il colera che si era diffuso in tutta la Toscana.
Sulla miliare sappiamo poco ma mi attengo a quanto ha scritto Renzo Vignini nel suo saggio “Epidemie e politica sanitaria a Borgo san Lorenzo 1853-55.( Al contrario n. 30 del febbraio 1981 estratto della tesi di laurea che riportava alcune relazioni inedite di medici, tra cui il Lanini, custodite nell’archivio storico del comune).

“Per prima cosa , scrive Vignini, bisogna accennare alla scarsità di elementi a disposizione per una determinazione dell’esatta patogenesi della miliare. Per questo motivo essa non si può far corrispondere , con certezza assoluta, a nessuna moderna malattia conosciuta. La causa è da cercare nell’assenza, nella scienza medica della metà dell’800, di un preciso quadro nosologico , cioè di una conoscenza esatta della sintomatologia che caratterizzava ciascuna malattia.I sistemi conosciuti erano aspecifici e potevano associarsi a morbi di diversa origine. Perciò oggi che la malattia è scomparsa risulta difficile diagnosticarla riferendosi alle descrizioni dei secoli scorsi. A questo riguardo si possono fare delle ipotesi più o meno attendibili senza poter dare una risposta definitiva e esauriente. Si tratta di una forma settica caratterizzata da febbre e da eruzione cutanea di piccole vesciche dalle dimensioni di un grano di miglio ( da cui il nome miliare) ripiene di siero bianco- giallastro (miliare alba) o rossiccio (miliare rubra). La malattia a cui si può maggiormente avvicinare è il tifo”(Vignini). Per curiosità si può ricordare che la febbre miliare venne indicata come causa del morte di Mozart.

I primi casi di Miliare si verificarono intorno al 1849 soprattutto in alcuni paesi sulla riva destra del fiume come Sagginale o anche Polcanto e Montepulico. I primi malati a Borgo san lorenzo si registrarono nel 1853 nella zona di via Porciaia per poi estendersi a tutto l’abitato anche nell’anno successivo e cessare a metà del 1855. Nonostante fossero molti gli abitanti infettati la miliare aumentò di poco la mortalità della popolazione, mentre fu diversa la situazione del colera come dimostrano i dati statistici ancora di Borgo san Lorenzo nel solo 1855.
Gli ammalati furono 852 e i morti 397 in tutto il territorio comunale , che contava in quell’anno 11.797 abitanti, nel periodo da giugno a novembre. La maggiore concentrazione si ebbe nel mesi di agosto dove a fronte di 525 casi i morti furono ben 255.
Nel solo capoluogo i morti furono 137 su una popolazione di 3956 “anime”, a Ronta 43 su una popolazione di 1146 abitanti, a Pulicciano che aveva ben 548 abitati ci furono solo 8 decessi , 24 morti a Grezzano e 29 a Luco che avevano rispettivamente 518 e 751 abitanti. Curioso il caso della loc. M. Aceraia dove i morti furono 44 su una popolazione di 449 persone , mentre a San Cresci furono 23 su 905 abitanti. Casaglia che aveva 307 abitanti ebbe un solo morto.

Tra l’altro l’epidemia di colera arrivò dopo due anni difficili per l’agricoltura con “ una penuria di cibo nel 1853 e in parte del 1854 “ (Lanini)e con un aumento consistente dei prezzi dei beni di prima necessità che indebolirono ulteriormente la parte più povera della popolazione . Il granturco che a maggio 1853 costava 9,5 lire nel 1854 raggiunse le 24 lire , il grano da 16,4 a 31 lire , l’orzo da 15,10 a ben 26 lire.

Oltre a questo nel 1851 Borgo san Lorenzo era stato interessato ancora una volta da una grave alluvione alla fine di ottobre i cui effetti sono descritti dal Collegio dei Priori, come riportato nello studio del Vignini, in una deliberazione dei primi di novembre: “il Collegio dei Priori in seguito alla luttuosa e deplorevole circostanza della straordinaria inondazione di quattro quinti di questo paese avvenuta nelle prime ore pomeridiane del 31 ottobre scorso, aveva non solo dovuto distribuire una quantità di pane ai miserabili, ma eziandio trovar ricovero ad alcune famiglie della contrada della Sieve , le quali furono fortunate di essere riuscite in tempo a fuggire dalle loro abitazioni , facendo aprire alcune stanze del casamento Maganzi, e provvedendole di paglia , fuoco e lume. “ Furono stanziate 109 lire per distribuire pane , legna e brace alla popolazione più povera che era rimasta alluvionata e 809 lire per liberare questa parte del paese dalla “mota depositata dalla inondazione”.

Il colera del 1855 a Borgo san Lorenzo si diffuse anche per queste condizioni “favorevoli” ma era un’epidemia che ormai interessava tutta la Toscana dove era iniziata a Livorno l’anno precedente e si era poi diffusa alle altre province e quindi anche in Mugello a partire da Barberino per poi interessare anche San Piero e Scarperia e, dopo Borgo, Vicchio.

“In Mugello il colera arrivò a più riprese, sempre importato da località colpite in precedenza : a Mangona da Brozzi, a Barberino da Pistoia, a Cavallina da Sesto, alle Filigare e Pietramala dalla Romagna pontificia; da qui si estese da un lato a San Piero a Sieve e Vaglia, e dall’altro a Borgo san Lorenzo, Vicchio e Dicomano. Betti( importante medico mugellano) ritenne pertanto che “ chiunque parta da luogo contagiato debba esser carico di elementi contagiosi per le continue comunicazioni che egli ebbe colle cose e colle persone “(Signorini)

Due medici mugellani ebbero un’ importanza fondamentale nello studio e nella lotta alla diffusione del colera in Toscana : Pietro Cipriani di San Piero ( che nel 1870 venne nominato senatore da Vittorio Emanuele II di cui era medico personale) e Pietro Betti (nato a Mangona a Barberino nel 1784 e morto a Firenze nel 1863). Ambedue furono impegnati nella epidemia di colera che si verificò a Livorno nel 1835, il Betti in quanto ricopriva la carica di direttore sanitario del porto e il Cipriani come medico presso due ospedali cittadini. L’opera del Cipriani venne molto apprezzata dal governo granducale che gli conferì una medaglia d’oro e nell’epidemia del 1854-55 gli assegnò la direzione di tutti gli ospedali attivati a Firenze e dintorni per il ricovero e la cura dei colerosi, mentre il Betti venne nominato dal Granduca sovrintendente dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e poi “nel 1851-52 rappresentò la Toscana al primo congresso internazionale di Parigi dove tutti i sapienti del mondo dissertarono intorno alle epidemie, specie di colera” (Vanni), durante l’epidemia del 1854 fu nominato responsabile di tutti i lazzaretti della regione.

Dalle sue esperienze e analisi sulla diffusione del colera trasse alcune “memorie” poi riunite in cinque volumi dal titolo “Considerazioni sul colera asiatico che contristò la Toscana”.
Pietro Betti fu un innovatore anche nel campo della medicina legale (Ottaviani 2017).

Un altro medico che svolse un ruolo importante nell’epidemia di colera del 1855 fu il fiorentino Chiarino Chiarini che operò a Firenzuola dove realizzò un ospedale all’interno del paese che rimase in funzione per alcuni mesi accogliendo 173 colerici.(dopo questa struttura aperta dal Chiarini bisognerà aspettare il 1891 perchè il comune si doti di una struttura sanitaria per iniziativa di mons. Luigi Medolaghi. (E. Armocida 2016).

Tornando all’opera di Pietro Betti va sottolineato che, pur non prospettando progressi sul piano della terapia, ebbe molti elementi innovativi sul fronte della prevenzione e dell’ informazione come sottolineato da L.F.Signorini. Il Betti invitava ad identificare ogni singolo malato, ad isolarlo, poneva attenzione all’igiene personale, a comportamenti idonei in ambienti di uso collettivo, per non parlare delle condizioni igieniche di case e opifici, dello smaltimento dei liquami e dell’inquinamento fecale di acque potabili, della disinfezione degli ambienti di vita e del divieto, per quanto possibile, degli assembramenti popolari religiosi o civili.

“Betti consigliava anche di evitare le paure e i patemi d’animo (…) e con spirito anticipatore sottolineava la necessità di una corretta informazione della popolazione per evitare in essa false interpretazioni ed erronei atteggiamenti, come quello di celare i casi”(Signorini) Il Betti era anche cosciente che il mondo stava cambiando attraverso uno “ smisurato e incoercibile accrescimento del movimento terrestre” di uomini e merci per cui era difficile applicare integralmente misure fortemente restrittive. “ Infatti le popolazioni temevano grandemente i possibili effetti economici negativi di tali misure : esisteva dunque “ la persuasione del maggior numero di sottomettersi più volentieri alla decimazione che potesse essere indotta nella famiglia delli uomini dalla successione di interpolate sopravvenienze del Colera, piuttostoché alli effetti che potrebbero venire indotti nella totalità della famiglia umana dal ritardo o dalla interruzione del commercio pel trattenimento quarantinario”(Betti)”(idem)

Ma nella lotta al colera incidevano anche diffidenza, superstizioni e abitudini difficili da contrastare come ricorda proprio il dott. Lanini in relazione al colera a Borgo san Lorenzo nel 1855.
“Nonostante le raccomandazioni dei medici e le precauzioni da essi consigliate al fine di limitare il propagarsi di morbi epidemici e per attenuarne gli effetti, le strade rimanevano piene di ogni sorta di immondizie e di escrementi, si persisteva nel bere acqua inquinata di pozzi situati vicino alle stalle e ai letamai o comunicanti con latrine. L’ignoranza e la diffidenza di gran parte della popolazione , l’attaccamento a consuete e secolari abitudini deleterie in tempi di epidemie , non erano minimamente modificate dall’eccezionalità della situazione. Molti colerosi rifiutavano di farsi curare perché credevano i medici incaricati dal governo di somministrare loro un veleno mortale; si continuavano a fare fiere e mercati e feste religiose quando la presenza di molte persone in uno spazio ristretto facilitava il diffondersi delle malattie.” Nell’agosto del 1854 fu chiuso anche il pozzo che era situato in piazza dell’orologio (oggi piazza Cavour) a Borgo san Lorenzo in quanto infiltrato dalle acque di scolo e quindi fonte di diffusione del colera e altre malattie.

Anche a metà ottocento per il Granduca e i suoi medici non era facile far rispettare le nuove norme igienico sanitarie senza incappare in accuse di complottismo e odio popolare.

Leonardo Romagnoli
11.3.20

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