Riflessioni sulla nuova legge urbanistica voluta dall’assessore regionale Anna Marson
di ILARIA AGOSTINI*
La nuova legge urbanistica toscana (n. 65/2014, Norme per il governo del territorio) è stata tenacemente voluta dall’assessore all’urbanistica, Anna Marson. La legge è impostata sui principi di cura della città e del territorio, di riproduzione dei paesaggi regionali, di incremento delle pratiche partecipative e di interdipendenza delle comunità locali nel quadro della pianificazione sovracomunale. Al centro dell’architettura concettuale della nuova disposizione legislativa è il raggiungimento di un equilibrio stabile tra urbano e rurale, che si realizza a partire dalla presa d’atto del ruolo multifunzionale giocato dall’agricoltura nella salvaguardia idrogeologica, nel mantenimento della qualità paesaggistica e della biodiversità, e nell’incremento del benessere diffuso (anche economico) della popolazione. Il contenimento del consumo delle terre fertili, in quest’ottica, risulta perciò improrogabile.
Il superamento dell’idea di territorio come supporto inerte, o tabula rasa, assunto precipuo dell’urbanistica meccanicista, risulta finalmente compiuto. L’attribuzione di valore culturale all’ambiente rurale, ipotesi che costituisce lo scatto in avanti dell’approccio “territorialista”, è assicurata dalla definizione di «patrimonio territoriale» quale «insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future» (art. 3). Il cambio di paradigma promosso dalla legge è contenuto proprio nel passaggio dai concetti economicisti di “risorsa” e “prestazione territoriale” (impiegati nella passata legislazione) a quello di patrimonio territoriale, di matrice ecologista. Il richiamo alla «promozione» e alla «garanzia di riproduzione del patrimonio», inteso come bene comune territoriale, conferisce un’accezione genetico-evolutiva ai futuri atti di pianificazione.
L’articolato di legge conferma la bipartizione del piano regolatore comunale in parte statutario-strategica e parte operativa, ossia in «piano strutturale» e «piano operativo». Quest’ultimo, in sostituzione del vecchio regolamento urbanistico, disciplina l’attività urbanistica ed edilizia e ha valenza conformativa dell’uso del suolo. Il piano strutturale contiene invece lo «statuto del territorio» da costruire con la partecipazione dei cittadini in quanto «atto di riconoscimento identitario mediante il quale la comunità locale riconosce il proprio patrimonio territoriale e ne individua le regole di tutela, riproduzione e trasformazione» (art. 6). All’interno del piano strutturale sono individuate quindi le strategie di disciplina e di trasformazione, tra le quali spicca l’innovativa perimetrazione delle aree urbanizzate, che merita di essere qui approfondita.
Si tratta in effetti di una “linea rossa” tracciata tra città e campagna (l’espressione è di Vezio De Lucia), che definisce con perentorietà il territorio urbanizzato, costituito «dai centri storici, le aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio, turistico-ricettiva, le attrezzature e i servizi, i parchi urbani, gli impianti tecnologici, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria» (art. 4). A partire dall’entrata in vigore della legge, ogni nuova edificazione residenziale al di là della linea rossa – cioè sui terreni agricoli e fertili – sarà interdetta. Oltre tale linea, nuovi progetti per edifici produttivi e per grandi strutture di vendita costituiranno oggetto di verifica di conformità alle previsioni del PIT (piano di indirizzo territoriale) da parte di una «conferenza di copianificazione» nella quale il parere sfavorevole della Regione è vincolante (art. 25, c. 6). Resta valido comunque il principio che «nuovi impegni di suolo a fini insediativi o infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti».
In clima di smantellamento nazionale dei valori democratici, sociali e ambientali che hanno sovrainteso alla disciplina urbanistica, la legge Marson rappresenta un’importante e coraggiosa costruzione disciplinare, dall’auspicabile efficacia applicativa. Resta da sperare che il modello toscano, in questo caso, possa costituire un buon esempio da riproporre a livello nazionale.
* Ilaria Agostini, fiorentina, è docente all’università di Bologna. Insegna Tecnica Urbanstica