La morte di Giorgio Nebbia

Ieri è morto all’età di 93 anni Giorgio Nebbia uno dei padri dell’ambientalismo italiano. Docente di chimica e merceologia all’università di Bari fino al 1995 è stato molto attivo sui temi ambientali fin dagli anni 60. Numerose le sue pubblicazioni e i suoi articoli sui temi dell’energia, del ciclo dei rifiuti, sull’agricoltura e i cambiamenti climatici che hanno il dono di essere comprensibili anche ai non addetti ai lavori.(LR)

Che fine ha fatto l’ecologia?

Giorgio Nebbia

06 Febbraio 2016
land_art_02  di Giorgio Nebbia
Centocinquanta anni fa il naturalista tedesco Ernst Haeckel (1834-1919) “inventò” il nome “ ecologia ” (dalle parole greche “ecos”, casa, comunità, ambiente e “logos”, descrizione)  per indicare lo studio e la conoscenza dei rapporti fra gli esseri viventi e l’ambiente circostante. Ad ispirarlo era stata l’avventura umana e scientifica dell’inglese Charles Darwin (1809-1882); appassionato di biologia fin da ragazzo, dopo gli studi universitari, Darwin ebbe la fortuna di essere assunto, nel 1831, a ventidue anni, come assistente scientifico del capitano della nave Beagle che il ministero della marina britannico aveva incaricato di un viaggio lungo le coste dell’America meridionale e nelle isole del Pacifico, per conoscere risorse naturali vegetali, animali e minerali, e luoghi importanti per i futuri commerci del paese. In tale lungo viaggio, terminato nel 1836, Darwin ebbe modo di osservare i caratteri di specie vegetali e animali, molte fino allora sconosciute, e come i loro caratteri fossero influenzati dall’ambiente, dal clima e dalle risorse fisiche e biologiche disponibili. Il nome ecologia ebbe fortuna fra i biologi ma restò poco diffuso nel grande pubblico. Nei decenni successivi furono approfonditi gli studi su numerosi ecosistemi, ma l’ecologia ebbe una “età dell’oro” – come l’ha chiamata l’ecologo italiano Franco Scudo (1935-1998) – negli anni venti e trenta del Novecento, dall’incontro fra biologi e matematici. Una multinazionale di scienziati, l’americano Alfred Lotka (1880-1949), l’italiano Vito Volterra (1860-1940), il sovietico Giorgi Gause (1910-1986), il russo-francese Vladimir Kostitzin (1883-1963), descrisse le “leggi” che regolano i rapporti fra diverse specie e popolazioni e il cibo e lo spazio disponibile. Secondo l’adagio popolare che i pesci grandi mangiano i pesci piccoli, effettivamente nel mare i pesci di alcune specie (predatori) si nutrono di quelli di altre specie (prede); quando le prede sono abbondanti aumentano anche i predatori, ma se i predatori mangiano troppe prede, il numero delle prede diminuisce e diminuiscono anche i predatori che trovano meno cibo, con cicli di oscillazioni delle rispettive popolazioni. In altri casi gli organismi di due specie “collaborano” in “simbiosi” scambiandosi cibo e sostanze utili; oppure convivono facendosi concorrenza (proprio come le imprese in un mercato “economico”) per nutrirsi dello stesso cibo limitato; oppure una specie, quella dei parassiti, si nutre a spese di un’altra che ne soffre. L’ecologia spiega anche perché una popolazione che vive in uno spazio e con cibo limitati, cresce fino a un certo ”limite” e poi decresce; e descrive i flussi di materia e di energia con cui i vegetali sono capaci di nutrirsi da soli (autotrofi) usando i gas dell’atmosfera e l’energia solare; come gli animali (eterotrofi) vivono soltanto nutrendosi di vegetali o anche di altri animali, e come, infine, le spoglie di vegetali e animali vengono rielaborate da organismi decompositori che liberano sostanze utili ad altra vita, tutti protagonisti dell’affascinante e terribile dramma della vita. In quello stesso periodo, nel 1924, fu creata anche la prima (rimasta unica fino al 1970) cattedra italiana di ecologia nell’Università di Perugia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’ecologia aiutò a interpretare nuovi fenomeni: ci si chiese se la popolazione umana avrebbe potuto continuare a crescere rapidamente in un pianeta di dimensioni limitate; i rifiuti dei crescenti consumi umani stavano intossicando la natura; nuovi prodotti, come i pesticidi e le scorie nucleari, mettevano in pericolo la vita sull’intera Terra.eco51La generazione del “Sessantotto” scoprì nell’ecologia la bandiera di una contestazione della società dei consumi e del relativo inquinamento, della congestione delle megalopoli, dei nuovi veleni. L’apice dell’attenzione per l’ecologia si ebbe nel 1970 e la nuova parola significò aspirazione a “cose buone”, pulite. I venditori non persero tempo ad appiccicare il nome “ecologia”, ai detersivi, alla benzina, ai tessuti. Diecine di cattedre universitarie cambiarono nome e presero il nome di “ecologia”. L’ecologia entrò in Parlamento e ci fu perfino un breve “Ministero dell’ecologia”, ben presto soppresso; solo dopo vari anni sarebbe stato istituito un ministero ma questa volta “dell’ambiente”. Una rivista critica “Ecologia” sopravvisse solo due anni. Ben presto il potere economico riconobbe che questa gran passione per l’ecologia li costringeva a cambiare i cicli produttivi, a depurare i rifiuti, e a guadagnare di meno e la nuova parola fu bollata come ”sovversiva”L’attenzione per l’ecologia declinò presto e nuovi aggettivi più accattivanti comparvero come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente “biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali che un venditore vuole dimostrare “buoni”E la povera ecologia che fine ha fatto, in questi anni in cui proprio le conoscenze ecologiche sarebbero in grado di suggerire azioni per contrastare l’erosione del suolo e i danni degli inquinamenti, per il corretto smaltimento dei rifiuti, nell’interesse del principale animale della Terra, l’”uomo”? Ci voleva papa Francesco per ricordare l’importanza dell’ecologia, come “ecologia umana”, nella sua enciclica “Laudato si’”. Io spero che gli ecologi, quelli veri, ritrovino la passione di far conoscere ad alta voce il contenuto e gli avvertimenti della loro disciplina la cui conoscenza, soltanto, offre le ricette per rallentare i guasti ambientali, a cominciare dagli inarrestabili mutamenti climatici. Dalla cultura ecologica trarrebbero stimolo e beneficio i legislatori, i governanti e anche gli economisti dal momento che i soldi si muovono soltanto accompagnando il flusso, ecologico, appunto, di materie prime, di merci e di rifiuti, attraverso l’ambente naturale abitato dall’uomo.

Un piano a medio termine per l’ambente italiano — 2017

In: “Vivere (bene) nel 2030”, Futuri, n. 9, settembre 2017, p. 22-26

Giorgio Nebbia

Chiunque si occupa di problemi economici deve, per forza, fare delle previsioni. Ciò vale a maggior ragione per chi si occupa di processi di produzione di merci, di uso delle risorse naturali e di problemi ambientali. Ad esempio chi produce scarpe deve poter prevedere quante persone, l’anno venturo, avranno bisogno di scarpe da uomo o da donna; quando uno deve progettare la costruzione di un impianto che produrrà acciaio fra dieci anni deve prevedere quanto acciaio sarà richiesto per costruire case, ponti, automobili, lattine per le conserve di pomodoro, eccetera.

Ho avuto la sorte di studiare e poi di insegnare insieme a docenti e colleghi attenti alle tendenze produttive del futuro: addirittura allo studio di come i processi o le merci si fanno concorrenza nello stesso mercato, come una nuova merce (i computer, per esempio) può portare alla scomparsa della produzione di un’altra (le macchine per scrivere).

Ercole Moroni, un dimenticato economista dell’Università di Bologna, già nel 1957 pubblicò nel prestigioso “Giornale degli Economisti” un saggio dal titolo: “Progresso tecnico e teoria matematica della lotta per l’esistenza”.

Quando poi, negli anni sessanta del secolo scorso, è cresciuta l’attenzione per l’ecologia, è diventato necessario comprendere come sarebbero aumentati gli inquinamenti in seguito alla produzione di certe merci, o le alluvioni in seguito alla costruzione di edifici e strade nell’alveo dei fiumi.

Quando fu pubblicato il “rivoluzionario” libro sui “Limiti alla crescita”, a cura del Club di Roma, nel 1972, agli studiosi di Merceologia sembrarono ovvie le previsioni dei rapporti fra aumento di una popolazione, massa delle merci agricole e industriali usate, impoverimento delle riserve di risorse naturali e aumento degli inquinamenti.

Le crisi energetiche degli anni settanta hanno indotto i governi e gli studiosi ad elaborare delle previsioni dei fabbisogni energetici, dei processi per soddisfarli e degli effetti ambientali di ciascuno scenario.

Nell’ambito di Italia Nostra nel 1976, 1979 e 1980 furono pubblicate previsioni dei fabbisogni per un’Italia a bassa intensità di energia; previsioni per un’Italia sostenibile al 2020 furono pubblicate nel 1997 da EcoIstituto Veneto.

Naturalmente le previsioni venivano smentite dagli eventi economici e dalle innovazioni tecnologiche successivi ma offrivano l’occasione per comprendere le tendenze in atto. L’analisi retrospettiva delle previsioni sbagliate fatte nel passato è un interessante capitolo delle ricerche sul futuro.

Abbastanza curiosamente questo “furore” di studi sul futuro degli anni settanta è stato seguito, negli anni del benessere economico e delle successive crisi, da un rallentamento dell’interesse per tali studi proprio in decenni di grandi rivoluzioni come la comparsa di nuovi paesi industriali e di aumenti produttivi, il peggioramento del clima, l’impoverimento delle riserve di acqua o petrolio o di alcuni minerali, la crescita abnorme delle megalopoli.

Fortunatamente da alcuni anni sono ripresi gli studi sul futuro, le previsioni, le analisi delle ragioni per cui son state sbagliate le previsioni del passato. In quest’ambito si colloca la presente importante iniziativa col fine di analizzare le relazioni sulle condizioni dell’Italia nel 2030. La maggior parte delle relazioni presentate a questo incontro — che si svolge negli stessi giorni in cui il governo italiano ha presentato e offerto alla discussione una nuova versione della Strategia energetica, a quattro anno delle versione precedente del 2013 — riguardano fenomeni che hanno, direttamente o indirettamente, effetti sull’ambiente naturale.

In queste brevi note saranno esaminati soltanto alcuni possibili mutamenti nel fabbisogno di materiali e di energia, i settori che sono i principali responsabili di tali effetti ambientali.

Abitazioni e città

I circa 60-62 milioni di persone che abiteranno nei prossimi quindici anni in Italia avranno una distribuzione per età differente dall’attuale, con un aumento del numero degli anziani e degli immigrati di prima e seconda generazione.

Ci sarà una richiesta di abitazioni prefabbricate e di edilizia popolare, per situazioni di emergenza come quelle che si verificano dopo alluvioni o frane o terremoti, e come abitazioni per gli immigrati, il cui numero aumenterà, come aumenterà la necessità di superare le condizioni di precarietà in cui molti di essi vivono attualmente.

Questa transizione avrà effetti sulla richiesta di cemento e materiali da costruzione, di mobili ed elettrodomestici, con riflessi sull’occupazione nei rispettivi settori e sull’ambiente.

Ci sarà una tendenza alla diffusione di impianti a energia solare per rendere autonomi, come rifornimento di elettricità, gli edifici unifamiliari.

Acqua e fognature

Saranno necessarie azioni per diminuire le perdite di acqua potabile (di buona qualità, una risorsa scarsa) nelle reti di distribuzione (attualmente tali perdite ammontano a circa il 30 % dell’acqua immessa nelle reti) e per migliorare lo stato delle fognature, insufficienti anche in grandi città, e dei processi di depurazione delle acque usate, attualmente molto carenti con conseguenti inquinamenti delle falde sotterranee, dei fiumi e del mare e diffusione di malattie.

I processi di depurazione delle acque usate urbane, stimate in 5 miliardi di metri  cubi all’anno, producono come residui dei fanghi da cui è possibile ottenere metano da usare come combustibile.

Città e trasporti

I prossimi quindici anni saranno caratterizzati da mutamenti nei mezzi e nelle modalità di trasporto, al fine di diminuire il consumo di energia (oggi circa un terzo dei consumi totali di energia italiani, soprattutto sotto forma di prodotti petroliferi) e di diminuire l’insostenibile inquinamento dell’aria urbana dovuto al traffico.

I mezzi di trasporto privati dovranno essere ridimensionati sia come parco circolante, sia come qualità, con tendenza verso modelli a basso consumo di energia e a basso inquinamento.

Dovranno essere incentivate le azioni per un maggiore fattore di utilizzazione degli autoveicoli esistenti; gli autoveicoli privati attualmente sono responsabili di un elevato “consumo di spazio”, considerando che un autoveicolo in generale sta fermo un tempo stimabile nel 90 % delle ore della giornate durante le quali occupa spazio, privato, ma soprattutto pubblico.

Si diffonderanno veicoli elettrici, ibridi o totalmente elettrici, con una richiesta di stazioni stradali urbane di ricarica dell’elettricità.

Per azionare i motori per autoveicoli elettrici ci sarà una tendenza all’uso di celle a combustibile ad idrogeno, prodotto con l’elettricità e distribuito in speciali reti di distribuzione.

Al fine di diminuire la domanda di trasporti privati sarà privilegiato il trasposto pubblico su rotaia con treni adatti per pendolari. Sarà quindi fermata l’attuale tendenza a linee ferroviarie veloci, pensate come alternativa al trasporto aereo per passeggeri, e saranno potenziate le reti ferroviarie già esistenti, con molto minore impatto sul territorio.

Sempre al fine di diminuire i consumi di energia nei trasporti molte attività produttive e uffici saranno decentrati nei quartieri residenziali per diminuire il pendolarismo dei lavoratori.

Allo stesso fine sarà incoraggiato il telelavoro sia in unità decentrate, sia nelle stesse abitazioni degli impiegati, con evoluzione della normativa a difesa dei lavoratori.

Energia

I prossimi quindici anni saranno caratterizzati da una diminuzione dei consumi di petrolio, limitati ai trasporti, e di carbone, molto inquinante, attualmente usato principalmente nelle centrali termoelettriche.

Le centrali termoelettriche residue saranno alimentate con gas naturale. Una crescente frazione dell’elettricità, la cui richiesta aumenterà sia pure limitatamente, sarà prodotta con impianti fotovoltaici o eolici.

Una parte degli impianti fotovoltaici saranno usati, come si è detto, nelle singole abitazioni con accumulo di energia; la parte principale sarà in impianti di maggiori dimensioni che scambiano elettricità con le reti di distribuzione in coordinamento con la produzione termoelettrica. Bisognerà avere cura di evitare le speculazioni finanziarie favorite dall’attuale politica di incentivazione con denaro pubblico di impianti privati a energie rinnovabili.

La crescente richiesta di elettricità da fonti rinnovabili incoraggerà la produzione nazionale di impianti fotovoltaici ed eolici, attualmente in gran parte importati; vi sarà un aumento dell’occupazione per la manutenzione degli impianti fotovoltaici.

Vi sarà un aumento della produzione di elettricità con impianti idroelettrici di piccole dimensioni, di produzione nazionale, che utilizzano piccoli salti d’acqua, anche come conseguenza di una nuova gestione dei bacini idrografici.

Industria

Alla crisi delle produzioni industriali tradizionali — acciaio, alluminio, chimica di base — la risposta sarà offerta dal potenziamento di produzioni meccaniche ed elettriche di cui esiste una lunga tradizione in Italia.

Nel campo degli autoveicoli aumenterà la produzione di autoveicoli privati di piccola dimensione e di mezzi di trasporto pubblici come tram e autobus elettrici, oltre che di treni per pendolari.

Aumenterà la richiesta di impianti a energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico e biomasse) e di batterie di accumulatori dell’elettricità sia per autoveicoli, sia per singole abitazioni.

Un ruolo importante avranno le attrezzature per servizi igienici e sanitari (depurazione delle acque usate) e per il trattamento e riciclo dei rifiuti.

Il trattamento dei rifiuti riguarderà una massa crescente di materiali, dagli attuali 150 ad oltre 200 milioni di tonnellate all’anno. Aumenteranno anche i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e di mezzi di trasporto, con conseguente crescente richiesta, anche a livello universitario, di tecnologie di riciclo; tali operazioni forniscono materiali di recupero che alimenteranno alcuni settori industriali (acciaio al forno elettrico, alluminio secondario), con minore richiesta di materie di importazioni e minori inquinamenti.

Agricoltura

Si verificherà una revisione delle politiche agroalimentari al fine di diminuire le importazioni di prodotti che erano tradizionali dell’agricoltura italiana.

L’agricoltura trarrà benefici dall’uso a fini di produzioni chimiche e energetiche di residui e sottoprodotti, ad esempio delle attività zootecniche e delle coltivazioni agricole.

La transizione richiede un intenso impegno nelle ricerche della microbiologia industriale.

Saranno riprese le coltivazioni anche di alcune piante da fibra e da cellulosa in cui l’Italia aveva una posizione dominante in passato e che rappresentano alternative rinnovabili alle fibre tessili sintetiche basate su prodotti petroliferi e alle materie prime cartacee di importazione

CI saranno innovazioni nella zootecnia per diminuire le importazioni di carni e per diminuire le emissioni nell’atmosfera di gas che alterano il clima e le emissioni nelle acque di rifiuti organici, dalla cui depurazione sarà possibile recuperare crescenti quantità di metano combustibile.

Difesa del suolo

Il maggiore impegno ambientale dei prossimi quindici anni riguarda il contrasto ai fenomeni di frane e alluvioni dovuti sia al diboscamento e all’abbandono delle zone montane e collinari, sia a costruzioni di edifici e strade che ostacolano il flusso delle acque.

I mutamenti climatici renderanno più frequente l’alternarsi di improvvise piogge intense e di siccità che aggravano l’erosione del suolo.

La soluzione andrà cercata in una nuova politica di gestione dei corsi di acqua, dai fossi, ai torrenti, ai fiumi secondari, ai fiumi principali, cioè dei vari bacini idrografici, considerati come unità ecologiche e amministrative.

Per assicurare lo scorrimento delle acque verso valle sarà necessario creare strutture di vigilanza sui corsi di acqua per prevedere le zone e i tempi interessati a frane e alluvioni e prevenirne le conseguenze.

Nelle valli dovranno essere intensificate azioni di rimboschimento e di copertura vegetale, le uniche che rallentano e frenano la forza erosiva delle acque. La difesa del suolo rappresenta una grande occasione di occupazione. Un esercito del lavoro che utilizzi giovani disoccupati e immigrati.

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