Paura del Mare
Una riflessione sull’immigrazione
“Accedendo al Mediterraneo, scegliamo innanzitutto un punto di partenza: riva o scena, porto o evento, navigazione o racconto. Poi diventa meno importante da dove siamo partiti e più fin dove siamo giunti : quel che si è visto e come. Talvolta tutti i mari sembrano uno solo, specie quando la traversata è lunga; talvolta ognuno di essi è un altro mare”(P.Matvejevic)
Nonostante il passare dei giorni non sono ancora riuscito ad assuefarmi alle modalità con cui vengono fornite le informazioni sul dramma dei migranti dal nordafrica :si spazia dal quasi razzismo all’allarmismo ingiustificato, dal sensazionalismo all’uso politico della disperazione.
I numeri che ci vengono forniti dovrebbero invece disporci ad affrontare in modo sereno e solidaristico quello che sta avvenendo e che è già avvenuto anche in anni recenti basti pensare all’Albania e al Kosovo (da questo paese arrivarono in pochi mesi 50.000 profughi causa la guerra e in Germania oltre 400.000 mila senza nessun clamore mediatico). “Sotto i ponti son passate acque assai torbide: la propaganda razzista e sicuritaria, il veleno leghista somministrato giorno dopo giorno in dosi sempre più elevate, una politica mediocre che compete in cattiveria verso gli “estranei” a fini elettorali, un’Europa unita che sa unirsi quasi solo quando si tratta di denaro e di difesa dei propri confini dall’irruzione dei barbari.” ha scritto Annamaria Rivera e va ricordato che siamo anche il paese in cui una condizione di vita è diventata per legge reato indipendentemente dalle colpe realmente commesse. Sto parlando della clandestinità che non è solo di coloro che entrano abusivamente in Italia ma anche di coloro che perdendo il lavoro perdono automaticamente il diritto a vivere nel nostro paese. Non parliamo mai di persone ma sempre di “extracomunitari” che secondo i casi sono un problema o una risorsa. Se siamo nati da questa parte del mondo è solo un caso e chiunque di noi nelle stesse condizioni dei profughi si comporterebbe nello stesso modo. O si pensa che rischiare la vita per attraversare il mare, che per migliaia di persone è diventato una tomba senza nome, sia uno sport internazionale? ( non sono mancati gli squallidi servizi televisivi che invece di inquadrare i volti dei migranti si soffermavano sulle scarpe da ginnastica con il baffo di qualcuno come se fosse un sintomo di malcelato benessere). Per un popolo di migranti come quello italiano con milioni di connazionali sparsi in tutto il mondo la vergogna è doppia e non ci sono leggi contro la disperazione.
“E’ utopistico pensare di fermare queste ondate, men che meno con i trattati”(quello con Gheddafi era un’incivile condanna alla violenza per migliaia di persone bisognose solo di asilo).
Ma come ha scritto saggiamente Carlo Petrini “ si possono alleviare lavorando perchè queste persone vivano in modo dignitoso nei loro paesi, ma dovremmo aiutare l’Africa a diventare più ricca” e questo non si fa solo con gli aiuti economici (che troppi governi si dimenticano di versare o riducono a livelli ridicoli nonostante i proclami e gli accordi internazionali).
“Nessuno dimentichi – ha scritto Petrini – che nell’indifferenza più totale della comunità internazionale laggiù si stanno espropriando milioni di ettari (oltre 50) di terra fertile con la connivenza dei governi locali . Succede in Etiopia, Ghana,Mali, Sudan : si danno in concessione terre per 20,30 e anche 90 anni a paesi come la Cina, la Corea per produrre derrate, soprattutto biocarburanti. La terra è il bene più prezioso che hanno gli africani, la chiave per una loro rinascita. Invece – dice ancora Petrini – s’intensifica questo fenomeno del “land grabbing”, li abbiamo costretti a monocolture di cotone, caffè e cacao e poi si originano speculazioni sui prezzi del cibo che è inevitabile che conducano alla disperazione e alla fuga”. I capricci delle borse su alcune materie prime oggetto di monocolture in vari paesi possono gettare intere popolazioni nella miseria più nera, senza contare che spesso non sono neppure le popolazioni locali a controllare la commercializzazione di tali prodotti.
Ma torniamo ai numeri della presunta “invasione” che in questi giorni stanno drogando la nostra informazione televisiva e di carta e limitiamoci alla Toscana, terra solitamente di accoglienza, dove non sono mancate reazioni xenofobe al solo avanzare la possibilità che qualche decina di profughi potesse trovare alloggio temporaneo in qualche struttura pubblica non utilizzata.
In Toscana sono arrivati 506 profughi distribuiti per piccoli gruppi in tutte le province, meno di due per comune. Per una regione abituata annualmente all’invasione di milioni di turisti (certamente non tutti raccomandabili) una presenza quasi insignificante e non certo un problema di ordine pubblico, una banale azione di solidarietà per un volontariato fortemente presente in tutti i territori. Nessuna necessità di fare campi di prigionia come se avessimo a che fare con delinquenti per il solo fatto che fuggono dalla guerra e dalla miseria (la povera Tunisia con cui vorremmo fare trattati di blocco dell’emigrazione sta accogliendo 220.000 profughi dalla Libia e l’Egitto 180.000).
In Provincia di Firenze hanno trovato sistemazione 105 persone, meno di qualche gita scolastica, con molte strutture pubbliche o di enti religiosi vuote o sottoutilizzate. Da dove nasce la fibrillazione del mondo dell’informazione anche locale se non dalla necessità di cavalcare un caso per pompare l’attenzione. In questi casi è invece importante capire, conoscere e svolgere quasi un ruolo didattico data la delicatezza del tema e delle persone coinvolte.
Come paese e come governo oscilliamo invece tra allarmismo e vittimismo(abbasso la Francia e l’Europa), come ha scritto giustamente Emma Bonino sulla Stampa, nonostante che vi fossero anche tutti gli strumenti giuridici per intervenire. “la direttiva 55/2001 adottata per la crisi umanitaria del Kosovo del 1999 è intitolata : “Norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi” che riguarda la possibilità di concedere protezione per un anno prorogabile massimo per due e la condizione cessa quando è accertata la possibilità di un rimpatrio sicuro.”(idem) Direttiva recepita anche dall’Italia nel 2003, ma già dal 1998 , ricorda la Bonino, in base al testo unico sull’immigrazione misure eccezionali possono essere assunte con un semplice decreto del Presidente del Consiglio senza concertazione europea per “rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali e altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea”.Perchè non si sono adottate subito queste misure senza esasperare la situazione di Lampedusa?
“Da non tralasciare – scrive sempre la Bonino – neppure il capitolo, anche questo poco edificante, della direttiva sui rimpatri del 2008 che non è stata attuata dall’ordinamento italiano entro il termine del 24 dicembre scorso. La principale responsabilità è del ministro Maroni che ha affermato che l’Italia non poteva trasporre la direttiva a causa del reato d’ingresso o permanenza irregolare di stranieri previsto dalla legge 94/2009 che , appunto, viola le disposizioni della direttiva, come confermano le numerose pronunce giurisdizionali e le questioni pregiudiziali inviate alla Corte di Giustizia dell’Ue”((idem). Altro che chiamare in causa l’insensibilità dell’Europa quando si è fatto di tutto per non recepirne le norme.
“La vicenda dei migranti in arrivo dalla Tunisia è l’ultima lampante dimostrazione di uno Stato e di un’opinione pubblica dominati dall’egoismo”(Franco Arminio) che è diventato la caratteristica distintiva della nostra epoca, un “egoismo di massa” che ci impedisce di guardare in faccia la realtà e ci fa considerare nemico tutto ciò che non ci assomiglia. Abbiamo paura, abbiamo perso molte certezze che fino a qualche anno fa sembravano acquisite, le generazioni che oggi vivono nella precarietà sono le prime che hanno di fronte un futuro in cui non intravvedono un miglioramento rispetto alla condizione dei loro padri. Che tutto questo invece di spingere verso la ricerca di una maggiore uguaglianza e di maggiori opportunità nel soddisfacimento dei bisogni essenziali porti invece all’acuirsi del risentimento verso chi sta peggio e all’invidia/ammirazione verso i pochi che detengono la ricchezza è ancora , per me , un fatto inspiegabile. Per cui il problema non è l’impresa che delocalizza e non rispetta contratti e diritti , ma il migrante che , si dice, “ci ruba il lavoro”.
“L’Italia ha il 20% di disoccupazione e almeno 100.000 extracomunitari disoccupati che diventeranno il doppio dopo il crollo ampiamente previsto del mercato immobiliare. Dove li mettiamo ? Li ospiterà D’Alema sul suo Icarus o faranno compagnia ai nostri “ultimi”, pensionati e disoccupati delle periferie?…Un’invasione, perchè di questo si tratta…La destabilizzazione degli Stati è avvenuta da sempre anche grazie al fattore emigrazione”, questa serie di sciocchezze non le ha dette qualche intelligentone della Lega ma le ha scritte Beppe Grillo sul suo blog il 29 marzo (così hanno riportato sul Manifesto Della Seta e Ferrante in un pungente articolo) a dimostrazione che anche una parte che solitamente si ritiene molto attenta ai diritti presta poi la voce ad uno strisciante razzismo che vuole alimentare falsi localismi e piccole patrie senza senso.
“Come Gregor Samsa, il protagonista del celebre racconto di Kafka, anche noi ogni mattina ci siamo guardati allo specchio e non ci siamo riconosciuti.Collettivamente.Qualcosa sembrava essersi spezzato nel profondo,alla radice di quelli che vanno sotto il nome di “sentimenti morali” della nazione. Il risentimento sembra diventato costume nazionale, la principale cifra del rapporto reciproco e soprattutto di quello con l’Altro. Un rancore acre, sordo, neppure tanto sommerso che talvolta si fa esplicitamente ferocia verso il basso, là dove la società è più fragile.Comunque una durezza fino a ieri sconosciuta nel “carattere degli italiani”, mascherata o addolcita, finora, dalla spensieratezza, dalla superficialità, forse anche da una qualche dose di ipocrisia bigotta, ma comunque mai così ostentata, agitata come una bandiera, elevata a segno identitario e a cifra territoriale(….)Quello a cui hanno dato luogo in questo primo scorcio di millennio non è la tradizionale guerra “verticale” dell’alto contro il basso, dei ricchi contro i poveri, dell’egoismo dei privilegiati contro l’impotenza degli ultimi. E’ un conflitto per molti versi nuovo, “orizzontale”, dei poveri, ma soprattutto degli impoveriti, o di chi teme l’impoverimento, contro altri poveri, “più poveri”, alla ricerca di un qualche risarcimento facile. Di un ripristino di distanza sociale che compensi l’ansia da declassamento, in un sistema-Paese che , tutto insieme, silenziosamente, si è ridislocato verso il basso (rispetto ai suoi partner) . O verso la periferia(rispetto all’Occidente)”(M.Revelli – Poveri noi- Einaudi 2010).
Se un bimbo o una donna fuggono da una famiglia violenta, una società civile li accoglie e non li rinchiude in carcere, cerca di ridonare loro condizioni di vita accettabili e cerca di eliminare la violenza da quella casa perchè possano tornare a viverci nel rispetto della loro dignità e dei loro diritti. Perchè le stesse cose non valgono per chi fugge dalla guerra e dalla miseria? L’accoglienza può aver dei limiti, così come la convivenza non può prescindere dal rispetto della legalità, ma nella situazione attuale niente può giustificare tanto risentimento e tanta paura.
Se non impariamo che la convivenza è una strada obbligata quello che si prospetta davanti a noi rischia di essere peggio di qualche romanzo di fantascienza ed è una strada inevitabile dove la demografia, che tanto peso ha avuto nelle rivoluzione arabe di queste settimane, ci mette di fronte allo specchio della nostra realtà.
“Nel 1993 il 16% degli italiani aveva non meno di 65 anni, circa il 4% non meno di 80. Queste quote oggi sono salite rispettivamente al 20 e al 6% e , secondo le ultime proiezioni Istat , raggiungeranno il 33% e il 13,5% nel 2050. L’invecchiamento della popolazione, che riflette il calo delle nascite e l’allungamento della vita media, ha implicazioni importanti per l’economia. Senza scendere in dettagli, per mantenere l’equilibrio macroeconomico occorre quindi lavorare più a lungo e in più persone , a meno di poter contare su un sufficiente aumento della produttività per ora di lavoro.Il prevedibile calo dell’offerta di lavoro potrà essere compensato solo col prolungamento della vita lavorativa, salvo ipotizzare un’insostenibile accelerazione dei flussi migratori. Le stime dell’Istat già incorporano un afflusso netto di immigrati di oltre 170.000 unità all’anno nei prossimi 40 anni. Nel 2050 gli stranieri residenti supererebbero i 10,5 milioni, oltre il 17% della popolazione totale. Si stima che , comprendendo anche le seconde generazioni, circa il 37% delle persone di età compresa tra i 15 e i 54 anni sarà nato all’estero o in Italia da genitori immigrati”(Ignazio Visco- l capitale umano per il XXI secolo– Il Mulino 1/2011).
Per affrontare tutto questo ci vuole una politica lungimirante e non la grettezza della gestione giorno per giorno degli interessi particolari. “ Se stiamo a raccontarci storielle nostalgiche non riusciremo mai ad affrontare i problemi con cui dobbiamo misurarci nel presente. Il passato è un paese straniero, e non possiamo tornarci. Ma c’è qualcosa di peggio che idealizzare il passato ed è dimenticarlo”(Tony Judt) e noi dal nostro passato più o meno recente abbiamo molto da imparare, non si tratta di essere xenofili ma semplicemente realisti.
“La difficoltà di pensare l’immigrazione come elemento strutturale del panorama italiano, unita alla spinta xenofoba , ha impedito l’adozione di un preciso modello d’integrazione culturale, dello straniero, come avvenuto negli altri grandi paesi europei, mirato a garantire coesione in presenza di differenti culture -intese come insieme di valori, credenze, norme, simboli- nel medesimo spazio sociale. Il realtà questa mancata scelta ha prodotto un modello di fatto , condizionato dall’andamento del ciclo politico”(R.Guolo – gli italiani e l’immigrazione- Forum 2010) e si è sbarrato l’accesso alla cittadinanza, in nome del ius sanguinis, non solo allo straniero di recente residenza m anche “ a quanti sono nati o cresciuti, e si sono socializzati, in Italia.”.
Guolo ritiene giustamente una scelta poco lungimirante quella di non italianizzare i giovani, creando i presupposti per un’emarginazione pericolosa anche sotto il profilo della sicurezza.”Isolamento sociale e deprivazione relativa alimentano un atteggiamento oppositivo, che può culminare anche in un più marcato rifiuto della cultura maggioritaria”(idem) che porta all’affermarsi di comunità parallele su base etnica o religiosa che non dialogano tra di loro con seri pericoli per la convivenza .”Non incoraggiando l’assimilazione attraverso la cittadinanza si alimenta una separatezza che riproduce ghetti identitari, etnici o religiosi, favorendo un multiculturalismo negato nei principi e riprodotto, di fatto, nella sua versione,priva di vantaggi sistemici , dell’enclave rancorosa e ostile”(idem).
Si alimenta così la separatezza e la paura che sono il motore delle pseudo politiche della sicurezza che servono per raccogliere consensi ben sapendo che è proprio con certi provvedimenti legislativi si favoriscono le condizioni di irregolarità e soprattutto di “clandestinità” che obbligano la persona a cercare “ di sopravvivere con ogni mezzo, anche l’illegalità”, un serpente che si morde la coda ma che fornisce linfa vitale al partito della xenofobia e della paura. “L’insistenza , politica e mediatica, sulla sicurezza intesa come esclusiva protezione dell’incolumità, instilla la paura nel cuore di tenebra della vita collettiva”(idem).
L’Italia è però un paese strano pieno anche di tante persone e associazioni che fanno della solidarietà uno stile di vita quotidiano e siamo anche il paese che a Sanremo fa vincere una bella canzone di Roberto Vecchioni che inizia così:
E per la barca che è volata in cielo
che i bimbi ancora stavano a giocare
che gli avrei regalato il mare intero
pur di vedermeli arrivare.
Leonardo Romagnoli
8.4.2011
PS
Dopo avere concluso questa riflessione sul sito Lavoce.info ho trovato un interessante articolo di Andrea Stuppini dal titolo “Emergenza umanitaria tra ipocrisie e realtà” che riporta dati ufficiali sul problema dei profughi che fa apparire la posizione italiana verso l’Europa ancora più incomprensibile:
Dopo la crisi di Lampedusa, il governo italiano si è ripromesso inoltre di chiedere una revisione della convenzione di Dublino, che regola il diritto di asilo nell’Unione Europea. Proprio in questi giorni è uscito il rapporto 2010 dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, con cifre che spiegano perché si tratterà di un’impresa ardua.
Per effetto dell’accordo Italia-Libia del 2008, le domande di asilo presentate in Italia nell’ultimo biennio sono state assai scarse. E anche se guardiamo al quinquennio 2006-2010 il nostro paese con un totale di 80mila domande presentate è solo sesto nell’Unione Europea, preceduto da Francia (185 mila), Svezia (141 mila), Regno Unito (140 mila.000), Germania (131 mila) e Grecia (83 mila).
Un più equo computo dei richiedenti asilo sui residenti di ogni paese, pone però al primo posto Cipro con il 24 per mille, seguito da Malta con il 19 per mille, Svezia 15 per mille e naturalmente Grecia 7,5 per mille (la frontiera del fiume Evros tra Grecia e Turchia si conferma sempre più strategica per la “fortezza Europa”).
La media europea è stata del 2,3 per mille nell’ultimo quinquennio, l’Italia con il suo 1,3 per mille risulta addirittura al di sotto, nonostante nel 2008-2009 l’accordo con la Libia abbia notevolmente ridimensionato i flussi. Un paese di 60 milioni di abitanti con il 12 per cento della popolazione europea, collocato nel cuore del Mediterraneo, dovrà comunque fare i conti con il fenomeno dei richiedenti asilo in futuro, anche se le regole di Dublino fossero riviste (e occorreranno comunque alcuni anni).
Il fenomeno dell’asilo, come quello più generale dell’immigrazione, va quindi considerato come un elemento strutturale. Bisognerebbe poi intendersi sul significato della parola “emergenza” perché oggi in Italia vivono 55mila rifugiati, mentre in Francia sono 200mila e in Germania 600mila.
(Andrea Stuppini)
Fuori della propaganda i numeri sono impietosi.


