Questa terra è la mia terra

Questa terra è la mia terra

 

La nuova opera letteraria di Tebaldo Lorini “Il podere di Lutiano” si differenzia molto dalla produzione precedente dell’autore volta soprattutto alla riscoperta delle tradizioni locali, in particolare gastronomiche, del territorio del Mugello oppure  impegnato nella saggistica con opere dedicate alla riscoperta di artisti contemporanei.

Il nuovo libro sta nel mezzo tra il romanzo e la ricostruzione storica, tra il racconto di fantasia con protagonisti reali e il perfetto inserimento storico della famiglia Lorini nelle vicende storiche che hanno coinvolto il Mugello nel corso dei secoli.

La prima sensazione che ho tratto è quella di un libro da quale potrebbero nascere altrettante storie che potrebbero avere una loro autonomia, ma che volutamente l’autore ha lasciato così come sono nate sul momento, compresa la scelta di utilizzare indifferentemente la prima o la terza persona sia per i fatti passati che per quelli più recenti. L’albero genealogico che da Lorino Lorini nato nel 1612 arriva fino all’autore nato nel 1943, allunga i suoi rami sui momenti cruciali della nostra storia e ci aiuta a capire i cambiamenti profondi nella vita delle persone nel corso dei secoli, nei rapporti con la terra, nel lavoro dei campi, con un’accelerazione soprattutto negli anni del secondo dopoguerra del XX secolo quando nel giro di qualche decennio si verificano dei mutamenti che non avevano avuto luogo nell’arco di vari secoli.

Tebaldo Lorini sceglie anche come filo conduttore del volume un “libro” che la famiglia Lorini si è tramandata per generazioni, una Gerusalemme Liberata del Tasso stampata a Lione e probabilmente proprietà di padre Niccolò Lorini domenicano fiorentino della famiglia nobile dei Lorini del Monte in quel di Vicchio, che , secondo la ricostruzione che ne fa Tabaldo, avrebbe perso questo libro nel 1614 mentre transitava nei pressi di Lutiano con la sua mula. Il personaggio è di rilievo nella vita religiosa del periodo con una fama che lo portava a predicare anche fuori della Toscana per contrastare gli eretici e soprattutto Galileo Galilei che con le sue scoperte scientifiche poteva portare il dubbio sulle sacre scritture e sul potere della Chiesa.

Questa “Gerusalemme Liberata” passa di padre in figlio e come era usanza nel passato era conosciuta a memoria dai contadini, compreso il nonno dell’autore Francesco. Nel mezzo ci sono le vite di personaggi che vengono descritti con affetto ma ben inquadrati nel loro periodo storico, con uno sguardo agli avvenimenti che è innanzitutto quello dei protagonisti ( che infatti raccontano spesso in prima persona le loro vicende). Persone che spesso sono vittime e non protagoniste delle vicende storiche in cui si trovano coinvolte (dalle guerre napoleoniche ai conflitti mondiali) e che , solo di recente hanno trovato spazio anche negli studi accademici. Un’operazione che muove dalla memoria e dalla fantasia , da una dimensione affettiva per acquisire la dimensione di “storia”

Ma la storia del podere di Lutiano è anche la storia difficile del rapporto con la terra , con la furia degli elementi, con la morte, con i sentimenti che non sempre potevano seguire il loro corso naturale. Il fiume Sieve che è fonte di vita ma anche di morte, l’abbondanza dei raccolti e le carestie che si portano via i figli piccoli. Una vita che scorreva per la maggior parte nel legame stretto con il podere e dove perfino la partecipazione al mercato paesano era vissuta come un evento nonostante la vicinanza a Borgo san Lorenzo. I rapporti sicuramente non facili con i proprietari terrieri che nei secoli avevano potere “di vita o di morte” sui contadini che coltivavano le loro proprietà. Una vita che è scorsa quasi sempre uguale per quasi 300 anni e che , prima gli avvenimenti bellici e poi l’industrializzazione , hanno cambiato profondamente sia nel rapporto con la terra sia fra le persone.

“ I campi di quello che fu il podere lavorato dalla famiglia Lorini, per la sua posizione sotto il livello della Sieve, sono rimasti intatti, la follia che in questi ultimi venti anni ha portato a costruire e cementizzare l’intero fondovalle spazzando l’intero paesaggio rurale, fatto di viottole di campagna , aie e case coloniche circondate da capanne e pagliai non c’è più.”

Se il periodo appare non dei più brillanti , con l’inserimento di un neologismo efficace come cementizzare , è però essenziale per comprendere il pensiero dell’autore sull’evoluzione del paesaggio agrario in Mugello. A questo proposito ritengo che affermare che sono stati gli ultimi venti anni a stravolgere il territorio non sia corretto, non tenga conto dell’evoluzione che è avvenuta innanzitutto negli anni 60 con la fuga dalle campagne e soprattutto l’affermarsi di “agricoltura senza uomini “ , per dirla con Giovanni Haussmann, che porta l’occupazione nel settore primario dal 45% circa della prima metà del 900 allo striminzito 2/3% attuale. Il Mugello che mantiene per molti aspetti le caratteristiche di un distretto rurale conta appena il 4/5% di occupati diretti in agricoltura. “ Nel 1951 per raccogliere a mano con squadre di braccianti un quintale di grano o di mais occorrevano intorno a 30 ore, con la raccolta meccanica bastano solo 30 minuti”(P.Bevilacqua – La mucca è savia. roma 2002)

“L’agricoltura senza uomini” e quella che tende alla monocultura che spazza via, lo dice anche Lorini, la piccola vigna, le varietà di frutta locale, la viottola di campagna ,la possibilità dell’autosufficienza, che impone l’utilizzo di pesticidi e concimi chimici. “La “rottura degli equilibri” tra società e suolo – tipica della “civiltà delle città” – è data dal prevalere di un atteggiamento “speculativo”, di sfruttamento e di rapina, su quello simbionte, in conseguenza del quale si sacrificano, se occorre, “le norme intangibili della conservazione della fertilità, mirando solo a ricavare in breve tempo dal suolo il massimo possibile”(Ercole Ongaro – introduzione a G. Haussmann “La terra come placenta”. Citazioni da Suolo e Società di G.Haussmann). I terreni nei pressi delle città diventano quindi per gli stessi proprietari sbocco naturale per la redditizia espansione urbana , per la creazione delle zone industriali per attività ormai incompatibili con il tessuto cittadino.

E questo avviene tra fine degli anni 50 e la fine degli anni 60, ed è nei primi piani regolatori della prima metà degli anni 70 che prende corpo l’espansione recente, per certi versi inferiore a quello allora ipotizzata.

A questo va aggiunto che , secondo me, l’urbanistica contemporanea e la pianificazione territoriale sono ormai guidate più dall’elevato livello della motorizzazione privata che non dalle reali necessità delle popolazioni. In Italia abbiamo raggiunto un livello insostenibile rispetto a tutti i paesi europei di un mezzo quasi per ogni abitante. Vi siete mai chiesti cosa comporta questo in termini di territorio sottratto al paesaggio e all’uso agricolo? Fra il 1982 e il 2007 si sono persi in italia3,1 milioni di ettari di superficie agricola utile (SAU) e 5,8 milioni di ettari di superficie agricola totale (dati Istat), una parte di questa superficie è tornata a bosco ( una delle contraddizioni della nostra era cementificatrice ) ma 1,8 milioni di ettari sono stati occupati da asfalto e cemento ovvero ad un ritmo medio di 200 ettari al giorno.

Su questo si sono innestate le grandi opere con il loro impatto ambientale significativo su ampie zone del territorio. Nonostante questo il Mugello conserva un patrimonio paesaggistico e ambientale importantissimo e una ruralità forte che ha portato la gran parte degli agricoltori a recuperare un rapporto più saggio con la terra e la sua fertilità.

Quello che indirettamente ci dice nelle sue conclusioni il libro di Lorini è che oggi abbiamo tutti i mezzi e le conoscenze per vivere un rapporto più sereno e produttivo con la nostra terra , con uno sguardo non nostalgico ma storico e appassionato verso il passato, per un futuro dove ancora la nebbiolina lungo i campi di Sieve si tinge “ d’oro e di rosa al sorgere del sole dietro al Falterona”.

“Noi siamo anche il rapporto che abbiamo saputo e voluto stabilire con i luoghi.(…) I luoghi hanno una loro posizione geografica, spaziale, ma sono sempre, ovunque,una costruzione antropologica. Hanno sempre una loro storia, anche quando non decifrabile ; sono il risultato dei rapporti tra le persone. Hanno una loro vita : nascono, vengono fondati, si modificano, mutano, possono morire, vengono abbandonati, possono rinascere.” (V.Teti).

Quello di Tebaldo è un rapporto simbionte con la sua terra e il libro è un invito a riscoprire in coloro che ci hanno preceduto tanti protagonisti di una storia che non si è ancora conclusa.

Leonardo Romagnoli

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