La mensa a km 0 e la sentenza della Consulta sulla legge regionale toscana

La mensa a km 0 e la sentenza della Consulta sulla legge regionale toscana

 

La pronuncia della Corte costituzionale sulla legge 75 della Regione Toscana del 2019, che riguarda le norme per incentivare l’introduzione di prodotti a km0 provenienti da filiera corta nelle mense scolastiche, ha suscitato un notevole dibattito per la bocciatura di 3 dei 5 articoli che la compongono.
Questo significa che nelle mense scolastiche non si potranno privilegiare prodotti biologici, di qualità o a km0 ? Assolutamente NO. Molti di coloro che hanno scritto anche commenti offensivi non hanno letto la sentenza ( che allego a fondo dell’articolo) e si dimenticano che esistono già altre leggi nazionali e regionali che tutelano la ristorazione collettiva di qualità.

Prima di tutto va detto che il ricorso lo ha fatto il governo nel gennaio 2020, come avviene in tutti casi in cui venga ravvisato un conflitto di competenze di tipo costituzionale, senza nessuna dietrologia. Altrimenti non si capirebbe come mai altre leggi regionali(vedi Veneto) non abbiano invece ricevuto rilievi ( neppure europei).

Anche in questo pronunciamento non è messo in discussione il diritto della Regione di legiferare in merito , infatti l’art.1 della legge non viene toccato dalla sentenza ed è quello che definisce gli obiettivi :La Regione, allo scopo di diffondere la corretta educazione alimentare , la cultura del cibo e delle tradizioni alimentari toscane e la lotta allo spreco alimentare , promuove il consumo di prodotti agricoli, di prodotti della pesca e dell’acqua coltura e alimentari toscani a chilometro zero, provenienti da filiera corta, nell’ambito dei servizi di refezione scolastica nei nidi d’infanzia, nelle scuole dell’infanzia, nelle scuole primarie e nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado.

Quindi la Regione lo può fare ma deve rivedere alcune delle definizioni contenute negli articoli che sono stati bocciati tipo questa : Ai fini della presente legge si intendono per prodotti a chilometro zero i prodotti agricoli, i prodotti della pesca e dell’acqua coltura e alimentari , la cui produzione e trasformazione della materia, o dell’ingrediente primario presente in misura superiore al cinquanta per cento, avviene entro i confini amministrativi della Regione Toscana.

Una definizione alquanto generica che potrebbe ingenerare anche qualche dubbio interpretativo a cui si aggiunge la definizione di filiera : Ai fini della presente legge si intendono per prodotti provenienti da filiera corta quelli che provengono da filiere produttive caratterizzate al massimo da un intermediario tra il produttore e la stazione appaltante .

Sono criteri che possono garantire da soli la qualità del prodotto somministrato ? Si parla al comma 3 delle definizioni anche di prodotti biologici, Dop e IGP, tradizionali, ma una legge per la somministrazione di questi prodotti nelle mense esiste già dal 2002 ed è la n,18 (non mi risulta sia stata abolita) in cui la regione eroga contributi ai Comuni, alle Aziende sanitarie e alle Aziende per il diritto allo studio universitario per l’utilizzo dei prodotti individuati all’ articolo 1 , comma 2, lettere a), b) e c)(ovvero biologici, da integrata e tipici e certificati), nelle mense scolastiche e universitarie nonché nelle refezioni ospedaliere per i degenti, come compartecipazione all’importo aggiuntivo medio, calcolato con riferimento alla spesa sostenuta nell’anno precedente , dagli stessi enti. Ai fini di cui al presente articolo il costo aggiuntivo derivante dall’utilizzo di tali prodotti è a carico dei Comuni, delle Aziende sanitarie e delle Aziende per il diritto allo studio universitario.

Perché è stato necessario fare una nuova legge se questa già tutelava la produzione locale e ne favoriva l’utilizzo nelle mense scolastiche e universitarie? Sulla base di questa legge, ad esempio, la Caf ha fornito carne biologica alle mense universitarie fiorentine.

Anche a livello nazionale esistono diversi riferimenti normativi a tutela di una ristorazione collettiva di qualità con prodotti locali. “Per garantire la promozione della produzione agricola biologica e di qualità, le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche ed ospedaliere prevedono nelle diete giornaliere l’utilizzazione di prodotti biologici, tipici e tradizionali nonché di quelli a denominazione protetta […]”legge finanziaria del 2000.
E lo stesso fa il Piano nazionale d’azione sul green public procurement del 2007.Il documento stabilisce infatti che gli enti pubblici possano attribuire punteggi aggiuntivi nella fase di valutazione delle offerte ai partecipanti che si impegnino a utilizzare prodotti alimentari “[…] caratterizzati dalla minore quantità di emissioni di gas a effetto serra […], espressi in termini di CO2 equivalenti lungo il ciclo di vita”(ovvero km0) . Il secondo elemento consiste nella possibilità per le pubbliche amministrazioni di descrivere l’oggetto dell’appalto evidenziando “[…] la sostenibilità ambientale e, ove presente, sociale in modo da segnalare la presenza di requisiti ambientali ed eventualmente sociali, nella procedura di gara […]”.

Tutti i comuni possono inserire, secondo me da sempre, criteri di qualità nella redazione delle gare per avere forniture di prodotti locali.

Nel 2010 il Ministero della Salute ha redatto le “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica” con l’obiettivo di promuovere a partire dall’infanzia l’adozione di abitudini alimentari sane e in grado quindi di tutelare la salute e prevenire le malattie cronico-generative connesse alla scorretta alimentazione. Nel raggiungimento di tali finalità il documento attribuisce molta importanza alla qualità dei prodotti alimentari utilizzati nei servizi di ristorazione scolastica, che devono essere rispettosi dell’ambiente ma anche di altri valori che risultano connessi alla politiche alimentari. Si afferma infatti che: “A parità di requisiti di qualità e di coerenza con modelli di promozione della salute, bisogna porre attenzione ad una sostenibile valorizzazione di prodotti rispettosi dell’ambiente e di altri valori di sistema, direttamente e indirettamente correlati con le politiche alimentari, quali agricoltura sostenibile, sicurezza del lavoratore, benessere animale, tradizioni locali e tipicità, coesione sociale e commercio equo-solidale” . Nel documento viene inoltre indicato che in fase di aggiudicazione la valutazione della qualità dell’offerta può prendere in considerazione, tra gli altri, i prodotti a filiera corta definiti come prodotti “[…] che abbiano viaggiato poco e abbiano subito pochi passaggi commerciali prima di arrivare alla cucina o alla tavola”. Per questi prodotti il Ministero dell’ambiente invita le Regioni a elaborare un documento con la finalità di aiutare le pubbliche amministrazioni a definire capitolati d’appalto “[…] capaci di rispettare le norme di libera circolazione delle merci in ambito comunitario, tutelando contestualmente la freschezza, il chilometro zero/filiera corta, i prodotti locali (non necessariamente ancora classificati tra i tipici o tradizionali)” . Nel documento il tema della promozione della salute nel servizio di ristorazione scolastica è quindi affrontato con un approccio che prende in considerazione l’intera filiera di approvvigionamento delle materie prime alimentari includendo quindi gli aspetti ambientali, le caratteristiche gastronomiche e territoriali dei prodotti e il funzionamento della filiera. ( Buone pratiche della ristorazione collettiva – 2013)

C’è in tutti questi atti un accento particolare sul valore ambientale e salutistico di queste scelte che non possono essere intaccate da nessuna logica del prezzo più vantaggioso per l’amministrazione. Anche su questo esistono ormai da un decennio pronunciamenti chiari:

Il Consiglio di Stato ha rilevato che negli appalti relativi a mense scolastiche trova applicazione l’art. 59 comma 4, L. 23/12/1999, n. 488 che, dopo aver prescritto l’utilizzazione nelle mense dei prodotti biologici, tradizionali e tipici e di quelli a denominazione protetta, ha imposto che la scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa avvenga attribuendo “valore preminente” alla qualità dei prodotti agricoli offerti. Nella gare di appalto i Comuni, quindi, non devono dare prevalenza al criterio del prezzo, ma valutare in modo preminente la tipologia di prodotti alimentari offerti nelle mense. Offrire un’alimentazione biologica e di qualità a bambini e malati è, infatti, un obbligo a carico dei Comuni. La tutela del diritto alla salute passa attraverso la somministrazione di cibi sani alle fasce deboli della popolazione.

Come ha notato giustamente la Filcams Cgil di Firenze la sentenza della Consulta non ha nessuna incidenza sull’utilizzo di prodotti qualità nelle mense scolastiche: Sosteniamo da tempo che nelle mense scolastiche occorra portare avanti una politica di qualità del cibo anche con prodotti di filiera corta che sostengano anche i tanti piccoli produttori della nostra regione. Il pronunciamento della Corte costituzionale in merito alla legge regionale che si proponeva questi obiettivi non mette assolutamente in discussione la possibilità di perseguirli e di realizzarli, piuttosto entra nel merito di come farlo. E a nostro parere lo sviluppo del territorio con filiere corte e di prossimità, la qualità del servizio e quella del lavoro potranno essere più efficacemente concretizzate attraverso un rinnovato sistema di gestione pubblico delle mense scolastiche come ben dimostrano i modelli di questo tipo presenti anche nella nostra provincia. Riprendere il controllo pubblico di un servizio così rilevante significa infatti coniugare qualità del servizio e qualità del lavoro restituendo al territorio la centralità dovuta”.

La contestazione della Consulta sulla provenienza regionale dei prodotti avviene perché questo non è detto che sia un criterio qualitativo :Tali definizioni non si collegano, in quanto tali, a un criterio di prossimità tra produzione e vendita, né a un trasporto delle merci breve o con una bassa emissione di sostanze inquinanti, ma fanno una selezione in base al collegamento con il territorio regionale. Infatti, il chilometro zero è delineato, in difformità da quanto previsto dalla sopra ricordata normativa statale, solo in base alla produzione e trasformazione del prodotto all’interno della Regione Toscana, escludendo così le aree di prossimità extra-regionali, che ben potrebbero offrire prodotti con analoghe caratteristiche e che comportino persino una minore distanza tra produzione e consumo.”

Insomma il criterio del km0 e della filiera è già sufficiente a favorire i produttori locali più vicini al servizio mensa che si vuole effettuare, anche nel rispetto della “concorrenza”, se poi si specifica la natura biologica o certificata della provenienza dei prodotti il criterio della qualità e della sostenibilità ambientale ne verrebbe rafforzato.

Leonardo Romagnoli

11.3.21

sentenza consulta km 0

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