Agricoltura paesaggio e ungulati

Scorrendo tra le vecchie cose pubblicate sul sito ho trovato questa riflessione del 2016 su paesaggio agricoltura e presenza di ungulati che mi sembra ancora attuale.(Lr)

Agricoltura paesaggio e ungulati

“Nel piano del Mugiello vedi i migliori e fruttiferi terreni che sieno nel nostro contado, dove vedrai fare due o tre ricolte per anno e ciascheduna abbondante di roba e di tutte le cose che usi addomandare e vi si fanno perfette: e appresso ne’ poggi ha perfetti terreni e favvisi grande abbondanza di grano di biade di frutti e d’olio e vi si raccoglie assai vino con gran quantità di legnami con tante castagne e tanto bestiame che si crede fornisca Firenze”(G. Morelli – Ricordi 1393)

“In(Mugello) alcuni terreni da ronco, di monte, si alterna la cultura del grano e delle patate col pascolo naturale e le ginestre montane. Se in montagna le aree poderali sono costituite da castagneti da frutto, faggete, abetine, di seminativi nudi, pascoli e prati avvicendati di erba medica e trifogli, nei poderi di collina e di poggio si alternano ai coltivati con viti e olivi i boschi di querce e le paline di castagno e in quei di piano dominano terreni con viti in filari e piante da frutto”(Niccolai 1914)

FIERA AGRICOLA A VICCHIO DI MUGELLO

In un libro intitolato “Mangiare è un atto agricolo” Wendell Berry racconta la sua esperienza di studioso  in Toscana negli anni sessanta e ricorda come l’ agricoltura  della regione fosse  perfettamente adattata al luogo. Era altamente diversificata. Non sprecava nulla. Lavorava su una scala che permetteva di dedicare attenzione ad ogni singolo dettaglio. Ed era bella da vedere. Cominciai a capire che, forse, il capolavoro supremo dell’arte toscana erano i suoi paesaggi agricoli(Wendell Berry). Quando parliamo di agricoltura , paesaggio , boschi  dobbiamo essere coscienti che , almeno in Toscana , non c’è niente che non sia frutto del lavoro dell’uomo e della sua cultura.
 L’immagine vincente dell’Italia è quella di un paese che abbina prodotti tipici alla bellezza del paesaggio coltivato e la diversità dei nostri prodotti alimentari non è legata ad una generica biodiversità naturale, ma all’azione della cultura che ha modellato la natura creando il paesaggio(Agnoletti),una “coraltà produttiva” che affonda le sue radici, non nella  storia economica dei luoghi,ma, tout court, nella loro storia(Becattini).

Eppure nonostante questo le modificazioni nell’arco dell’ultimo secolo e in particolare dal secondo dopoguerra sono state  significative,  con la marginalizzazione e l’abbandono di territori e attività un tempo produttive e determinanti per la vita di intere popolazioni.  Si calcola che ogni anno vengano abbandonati in Italia 100.000 ettari di coltivazioni con la perdita nell’arco di un secolo di una quota pari a più di un terzo del territorio nazionale. “Un dato sovrastante sia quello del consumo di suolo, che negli ultimi dieci anni procede al ritmo di 8.000 ettari all’anno, sia i possibili effetti del riscaldamento climatico”(agnoletti). Sono aumentate le superficie boscate che sono passate da 4 milioni di ettari del 1920 a 10 milioni e mezzo nel 2012 con un incremento di 75.000 ettari all’anno al netto degli incendi.
Tutto questo invece di creare una certa preoccupazione è stato visto come una rivincita della naturalità e del ritorno ad un ecosistema non “inquinato” dalla presenza umana che non è mai esistito.
“Il risultato di questo “ritorno alla natura” è stata una banalizzazione del paesaggio, con una forte riduzione della sua diversità e complessità e la creazione di superfici forestali compatte e omogenee che coprono ormai la maggior parte delle Alpi e degli Appennini”(idem) che spingono ad un’illusoria ricerca di un’idea ” di ambiente e di natura sottratta ad ogni influenza antropica”.
Eppure la ricchezza del nostro paese  e il pregio delle sue produzioni agricole risiede anche nel recupero del paesaggio agrario. “Se , infatti, un buon vino o un formaggio si possono produrre in molti paesi del mondo, non si può riprodurre il paesaggio del luogo di produzione. Tanto più questo paesaggio si mantiene unico, e quindi attrattivo, tanto maggiori sono le possibilità di guadagnare spazio in un mercato sempre più attento alla qualità dei luoghi di produzione, mentre la qualità del prodotto è garantita dalla persistenza di tecniche tradizionali”. Il tanto discusso  piano territoriale della Regione Toscana va in questa direzione e il fatto che alcune associazioni agricole non lo abbiano compreso lascia un po’ perplessi. Il piano si propone di  “evitare la marginalizzazione e il conseguente abbandono delle colture agricole ad opera di nuove infrastrutturazioni e urbanizzazioni insediative e produttive “, promuovere “il recupero dei contenitori produttivi esistenti in disuso e mitigandone il loro impatto ambientale e paesistico attraverso la riqualificazione come “ aree produttive ecologicamente attrezzate”(…)” valorizzare i collegamenti trasversali con modalità di spostamento integrate sostenibili e multimodali” (nel caso del mugello  il ruolo fondamentale della faentina anche dal punto di vista turistico). Il piano vuol dare il suo contributo per arginare i processi di abbandono delle attività agrosilvopastorali soprattutto nelle aree collinari “tutelando la maglia agraria di impianto storico e la sua funzionalità ecologica(..)il recupero di colture tradizionali e la diffusione di colture biologiche, la promozione dell’offerta turistica e agrituristica legata alle produzioni enogastronomiche di qualità, favorendo il recupero della coltura del castagno da frutto e della viabilità di servizio.”(pit)

La conservazione o il recupero della biodiversità e del paesaggio non sono elementi del passato ma punti di forza della qualificazione e innovazione delle filiere agricole e non è casuale che anche nell’ultimo bando Pif del Programma di Sviluppo Rurale della Toscana i progetti più importanti riguardanti il Mugello e la Valdisieve puntino ad una valorizzazione delle produzioni biologiche facendo di questo territorio un distretto d’eccellenza a livello regionale e nazionale.
“La cronica mancanza di attenzione per il valore del paesaggio rurale diventa oggi non una negligenza ma una colpa per chi governa il sistema economico”(Agnoletti) e all’interno di questa problematica ci sta anche la sovrappopolazione  di ungulati che sta creando non pochi problemi all’agricoltura toscana.
Stando alle cifre ufficiali in Toscana ci sono 200.000 cinghiali, 200.000 caprioli, 8 mila Daini e 4 mila Cervi, in gran parte concentrati nelle zone appenniniche, che hanno comportato danni per 15 milioni di euro negli ultimi  sei anni.  Chi considera questi dati un segnale dell’ottimo stato di salute del territorio sbaglia di grosso in quanto si stanno superando i limiti di sostenibilità ecologica che comportano l’abbandono di terreni agricoli definiti “marginali” ma che sono importanti per le produzioni qualità e per l’allevamento al pascolo,  con il rischio di interrompere il rapporto virtuoso tra agricoltura e zootecnia che deve continuare a caratterizzare  aree come il Mugello.
“Il ritorno di lupi, orsi, e una sterminata popolazione di ungulati, ormai fuori controllo, sono la metafora di un imbarbarimento idealmente paragonabile a quanto avvenuto con il crollo della civiltà agricola di Roma e il ritorno della selva “oscura” dell’Alto Medioevo: un processo che segnala lo scollamento fra la realtà storica del paesaggio e una parte maggioritaria della società contemporanea, ormai lontana dalla “terra” e dall’agricoltura”. Queste considerazione di Mauro Agnoletti riassumono egregiamente il dibattito che si è aperto in Toscana dopo l’approvazione della legge che vorrebbe ricondurre entro tre anni la popolazione di ungulati in numeri sostenibili per il territorio. E’ vero che , per quanto riguarda i cinghiali, la prima responsabilità è dei cacciatori e delle pubbliche amministrazioni che negli anni 70 favorirono l’immissione  di esemplari provenienti dall’estero che per caratteristiche fisiche e riproduttive non avevano niente a che fare , per esempio, con il cinghiale maremmano. Ma questo non può significare che non si debba far nulla per contenere questi animali. Per raggiungere lo scopo è stato valutato che  sono necessari abbattimenti selettivi in accordo con gli agricoltori. Ci sono altre strade? L’antagonista naturale del cinghiale e del capriolo è il lupo che quando ha iniziato a ripopolare l’appennino si cibava essenzialmente di questi animali, poi soprattutto dopo la siccità del 2003 si è verificato uno spostamento di selvaggina a valle a ridosso dei campi coltivati e degli allevamenti con conseguenti danni alle colture e attacchi ai greggi di pecore, prede più facili certamente di un cinghiale o di un capriolo.

Nel 1944 la guardia costiera americana liberò sull’isola di St. Matthew 29 renne, dopo 20 anni nel 1963 erano diventate 6000 , ma  alla fine di quell’anno ne erano rimaste appena 50 magre e affamate perchè si era superato (overshoot) ogni livello di sostenibilità tra ricrescita vegetativa e aumento della popolazione di renne. Il nostro non è certo un sistema chiuso come un’isola ma bisogna comunque fare una scelta  pensando innanzitutto all’agricoltura e al  paesaggio. Il grano, la frutta o gli ortaggi, la vite o l’olivo non crescono in aree incontaminate ma in aree coltivate, scrive ancora Agnoletti, e  l’Italia è un paese in cui non un solo centimetro quadro del territorio è stato risparmiato dall’influenza antropica, compreso i grandi boschi  che sono spesso il prodotto di pratiche di gestione rivolte a produrre legname da costruzione. Non bisogno dimenticare che sono state  le sistemazioni idraulico-agrarie tradizionali e i boschi coltivati  che nel corso dei secoli , e anche in epoche recenti,  hanno permesso di contenere il dissesto idrogeologico.
“L’Italia e la Toscana si sono costruite un’immagine basata su un paesaggio rurale in cui l’uomo ha modellato la natura, producendo cibo di qualità e bellezza e in cui il bosco è funzionale all’agricoltura, ed è sempre stato coltivato, quindi utile, non importa che sia tanto. Ci abbiamo messo qualche millennio e un’immane fatica, basta guardare i terrazzamenti in pietra a secco che ancora  resistono in tante zone di collina e montagna o castagneti da frutto. La nostra competitività si  basa  su questo abbinamento, dato che il tentativo di puntare sulla quantità della produzione  è stato sconfitto dalla globalizzazione   e dobbiamo puntare sulla qualità del cibo abbinata a quella dei luoghi per  farcela.” 

Parliamo spesso di autosufficienza alimentare ma facciamo poco per contrastare la cementificazione e l’abbandono di terre coltivate. Oggi importiamo oltre il 50% del grano  indispensabile per produrre pasta e pane e sarebbe naturale pensare di recuperare terreni invasi nel corso degli ultimi decenni da sterpaglie e boscaglie per renderli nuovamente produttivi, lo stesso vale per l’olio o la carne. Proprio nel nostro territorio all ‘ Ente Toscano Sementi che ha sede a Spedaletto di Pelago sono state selezionate nel secolo scorso alcune varietà di grano molto adatte ad una coltivazione anche a quote più elevate : L’Est Mottin 72 venne costituito nel 1937 da Oliva per selezione di una popolazione dell’alta Savoia, il Verna nel 1953 da Gasparini per selezione pedigree dall’incrocio Est Mottin 72 x Mont Calme 245 ed il Sieve nel 1966 sempre per selezione dall’incrocio Est Mottin 72 x Bellevue II.

 


Recuperare terreni collinari o montani alle coltivazioni e al pascolo comporta necessariamente anche un contenimento della pressione esercitata oggi dalla popolazione di ungulati e altri animali.

Partendo da  suo padre agricoltore così  lo scrittore Maurizio Maggiani descrive  il lavoro agricolo e il suo rapporto con il paesaggio : “Quell’uomo per tutta la sua lunga vita ha manipolato, forzato e represso la Natura, e ha edificato meraviglia e bellezza costruendo il pane quotidiano per la sua famiglia. Io non sono migliore di lui e nemmeno più incline alla naturalezza nuda e cruda; vivo in una campagna dove i contadini non hanno lasciato un solo centimetro quadrato di wildness, dove tutto è tracciato, seminato, piantumato, arginato, pettinato, guardo questa immane opera collettiva di land art e so che gli uomini non possono essere meglio di questo e a questa terra non poteva andare meglio di così”.

Leonardo Romagnoli
aprile 2016

I commenti sono chiusi.