Plastic exit, ovvero come non trasformare un’opportunità in una tragedia

Plastic exit, ovvero come non trasformare un’opportunità in una tragedia

La deputata ecologista Rossella Muroni, in questo contributo, prova a delineare una strategia per uscire dalla trappola della confusione che ha sommerso il confronto sulla “plastic tax”

Foto Mali Maeder from Pexels

Dal 2021 saranno vietati nell’UE i prodotti di plastica monouso per i quali esistono alternative. Addio quindi a posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande, aste dei palloncini, prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Tutto grazie alla direttiva europea sulla plastica monouso, che intende così affrontare l’inquinamento da plastica, uno dei più diffusi nelle acque e sulle terre del pianeta.

Per l’Italia, che è all’avanguardia sia sul fronte normativo che tecnologico, l’entrata in vigore della direttiva è un’occasione da non perdere per continuare a giocare un ruolo da protagonista sul fronte strategico dell’innovazione e della sostenibilità del settore. Ricordo, infatti, che grazie a due emendamenti alla legge Finanziaria 2007 e alla Legge di Bilancio 2018 firmati da due parlamentari con una storia importante in Legambiente, rispettivamente Francesco Ferrante ed Ermete Realacci, il nostro Paese è stato il primo a mettere al bando gli shopper di plastica, i cotton-fioc non biodegradabili e le microplastiche nei cosmetici. Misure riprese dalla direttiva europea. Ma non solo. Abbiamo anche un primato tecnologico: siamo il paese che ha inventato sia la plastica che le bioplastiche compostabili. Un ruolo di leadership da coltivare e mantenere.

Conservare e rinnovare il primato in questo campo è anche una questione di occupazione: il 70% della plastica monouso che verrà messa al bando in Europa è prodotta in Italia e impiega 3 mila addetti. Per tutelare l’ambiente insieme alle imprese e ai lavoratori dobbiamo essere i più bravi anche sul fronte della transizione ecologica del settore. I divieti scatteranno dal 2021, ossia tra poco più di un anno, eppure la politica italiana sinora non ha fatto nulla per progettare e accompagnare le nostre imprese in questo grande cambiamento. Siamo pericolosamente in ritardo.

Solo ora si inizia a parlare di plastic-tax: usare la leva fiscale per orientare i consumi e indirizzare le produzioni verso la sostenibilità è misura giusta e necessaria ma richiede metodo, confronto ed equilibrio. Elementi che sinora non abbiamo visto. Chi ha scritto la misura, attualmente in discussione, sembra aver dimenticato di tenere conto non solo della direttiva europea sulla plastica usa e getta ma anche delle direttive europee che dovremmo recepire nel campo dell’economia circolare. E per essere efficace la tassa sulla plastica deve essere modulare: colpire chi inquina, secondo il noto principio europeo del chi inquina paga, e allo stesso tempo premiare i comportamenti virtuosi per l’ambiente quali il riuso, il riciclo, la semplicità con cui un prodotto può essere differenziato e quindi riciclato, le produzioni compostabili. Non una tassa lineare, dunque, ma una costruita secondo una formula modulare che tenga conto della composizione dei prodotti e del loro uso, oltre che della facilità di riciclo. Sarebbe un modo per valorizzare innovazione, eco-design, produzioni e stili di vita sostenibili. È positivo quindi che nel governo ci siano voci disponibili a correggere la misura, ma andrebbe fatta anche una riflessione sul campo di applicazione della tassa, che potrebbe essere estesa alla materia prima escludendo invece, insieme ai prodotti compostabili, quelli realizzati con plastica riciclata.  E prima di scrivere o annunciare una misura siffatta, sarebbe stato necessario un dialogo ampio con imprese, associazioni, sindacati, forze politiche e sociali. Anche se i tempi sono stretti, credo debba esserci un confronto con le aziende e gli operatori del settore, anche per capire quale sia il percorso migliore per incentivare la riconversione dei macchinari e dei modelli produttivi. Mi auguro che il tavolo ventilato dal ministro Gualtieri venga aperto a breve.

Per fare un salto in avanti, poi, vanno rimossi gli ostacoli normativi che ancora frenano il riciclo. Ad esempio eliminando al primo provvedimento utile l’obbligo di usare almeno il 50% di Pet vergine, e quindi al massimo il 50 % di Pet riciclato, nella produzione di bottiglie e vaschette per alimenti. Obbligo che vige solo per bottiglie e vaschette made in Italy, ma non per tutte le bottiglie e le vaschette vendute in Italia.

Abbiamo le capacità e le tecnologie per compiere con successo la transizione ecologica del settore, ma dobbiamo aiutare le nostre aziende in questo percorso. Partendo anche dalle capacità attuali della nostra produzione di bioplastiche, settore che oggi sarebbe in grado di rifornire la materia prima utile alla riconversione di prodotto ed in parte di gestire il processo nel settore industriale della plastica monouso. Dovremmo investire su questa produzione tutta italiana orientata alla sostenibilità e alla circolarità che alimenta filiere green legate ai territori e che nel 2018 ha registrato un fatturato di 685 milioni di euro, anziché continuare a importare quantità crescenti di polpa di cellulosa prodotta in Cina. Dovremmo farlo non tanto per campanilismo, ma perché la bioplastica – insieme alla riduzione degli imballaggi – è la soluzione. Gli investimenti necessari alla conversione industriale delle imprese che oggi producono plastica monouso richiedono, infine, certezze su tempi e modalità di recepimento della direttiva da parte dell’Italia e andrebbero aiutati con forme di defiscalizzazione come quelle dell’industria 4.0. Perché a beneficiarne sarebbe il Paese. Per evitare di trasformare un’opportunità in una tragedia serve un confronto ampio con i soggetti interessati dal phase-out dalla plastica usa e getta. O meglio una grande alleanza tra istituzioni, politica, mondo produttivo e della distribuzione e cittadini/consumatori che accompagni con responsabilità questa trasformazione.

* ecologista e deputata di LeU

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