Un cammino continentale

Quello che segue è un pezzo pubblicato dallo scrittore Antonio Moresco sulla Marcia Parigi-Berlino a cui ha partecipato anche Mariangela di Borgo san Lorenzo e che abbiamo seguito con vari articoli e foto. La Marcia si è svolta tra la fine di maggio e l’inizio di luglio.

 

 

 

La nostra piccola Repubblica nomade ha appena concluso un lungo cammino da Parigi a Berlino, di 1300 chilometri, durato più di un mese e mezzo. È stato il più lungo, il più ambizioso, il più estremo e, in alcuni momenti, anche il più drammatico e tormentato tra i cammini da noi compiuti in questi ultimi anni. Gli abbracci e le lacrime di fronte alla porta di Brandeburgo, al termine di giorni e giorni di cammino attraverso foreste bagnate e fredde, ne sono stato il suggello emotivo.

Abbiamo attraversato quattro diversi paesi europei (Francia, Belgio, Olanda, Germania), abbiamo conosciuto, in alcune delle zone dove siamo passati, la solitudine e l’indifferenza, in altre lo stupore, il rispetto, la simpatia e la calda accoglienza da parte di persone incontrate lungo le strade e i sentieri o che ci hanno generosamente ospitato e in qualche caso sfamato, da parte di sindaci che sono venuti a incontrarci nelle palestre messe a nostra disposizione e dove abbiamo dormito sui pavimenti, dei Federalisti europei, che abbiamo incrociato più volte lungo il cammino, che hanno organizzato per noi punti di ristoro e con i quali c’è stato uno scambio intenso.

Abbiamo potuto vedere e toccare con mano le differenze tra i vari paesi e tra le diverse parti degli stessi paesi – come anche le differenze di sensibilità europeistica da parte di singoli e di istituzioni – e questo ci ha dato una conoscenza ravvicinata e tridimensionale del nostro continente e di ciò che sta fermentando al suo interno.

Il nostro cammino, da un certo punto in poi e soprattutto dopo che siamo entrati in Germania, è stato seguito con interesse dai media locali e, nella fase finale, anche dalla televisione, così che a volte le persone che incontravamo lungo la strada sapevano già chi eravamo e cosa stavamo facendo.

Questo è stato il nostro terzo cammino europeo, dopo quello da Mantova a Strasburgo, al termine del quale siamo stati ricevuti nella sede del Parlamento Europeo dall’allora presidente Martin Schulz, e quello da Trieste a Sarajevo, per ricordare le due guerre mondiali sorte sul nostro territorio e le guerre scoppiate negli anni Novanta del secolo appena trascorso nei Paesi della ex Jugoslavia. E per ricordare anche che quello che è successo solo pochi decenni fa in quella parte d’Europa potrebbe succedere di nuovo e in forme più vaste domani nel nostro continente, se non verrà fatto un passo avanti nella visione e nell’attuazione di un progetto continentale di grande respiro e visione, non inteso solo come terreno di dominio economico e finanziario ma come qualcosa di più vicino al sogno di chi ha da tempo compreso la necessità di questo passaggio, indicato con lucidità prima ancora della fine del secondo conflitto mondiale nel Manifesto di Ventotene, che abbiamo letto alla fine di alcune tappe e da cui questi nostri ultimi cammini hanno preso le mosse.

Il tema dell’unità dell’Europa e degli Stati Uniti d’Europa – ma di un’altra Europa – è cruciale in questi anni, in cui molti vorrebbero invece l’arroccamento difensivo e il ritorno ai singoli stati nazionali in un’Europa più debole e divisa, vaso d’argilla tra due vasi di ferro, cosa che aumenterebbe gli appetiti di potenze vicine e lontane, nazionali e multinazionali, e porrebbe il nostro continente su un piano inclinato creando le condizioni per nuovi conflitti e per nuove guerre.

È necessario, è urgente, è ultimativo un passo avanti verso un’unità federale dell’Europa che sia crogiolo di popoli e continente dove si sperimentano nuove e irradianti forme di convivenza tra paesi e popoli che si sono combattuti tra loro durante tutta la loro storia, nelle nuove emergenze che abbiamo di fronte su questo pianeta sovrappopolato e stremato da sempre nuovi conflitti e guerre e in cui la nostra specie sta distruggendo le condizioni stesse per la propria sopravvivenza.

La nostra piccola repubblica in movimento sta cercando di dire queste cose non solo con le parole, ma eleggendo il cammino e lo spostamento di corpi e di sogni a forma di comunicazione psicofisica totale, prefigurativa e irradiante.

Ora ci aspettano un grande lavoro di chiarificazione e rafforzamento e incontri fecondativi con altri movimenti e associazioni che operano da tempo su questo terreno o che sono sorti recentemente dal basso e che mostrano consapevolezza dei rischi geopolitici che abbiamo di fronte, in un’Europa dove stanno rinascendo derive nazionalistiche e xenofobe e antichi fantasmi e demoni stanno riprendendo corpo sotto vecchie e nuove forme, ma anche delle chance di questo esperimento continentale mai tentato prima.

Per la Repubblica nomade

Antonio Moresco

 

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